Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 giugno 2021, n. 22256

Violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro, Cooperazione colposa con il lavoratore, Omessa adozione del DUVRI,
Responsabilità

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 19 novembre 2019 la Corte
d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado con la quale
L.C., nella qualità di datore di lavoro, è stato dichiarato colpevole del reato
di lesioni colpose, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro – commesso in cooperazione colposa con il lavoratore
P. F., per il quale si è proceduto separatamente – e condannato alla pena di
euro 500,00 di multa ed E. s.r.l. è stata riconosciuta responsabile
dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e 25-septies, comma 3, d.lgs. 8 giugno
2001, n. 231 e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 12, comma 2, del medesimo
d.lgs, condannata a pagamento della sanzione amministrativa di euro 12.900,00.

2. La vicenda, secondo l’accertamento compiuto nel
giudizio di merito, attiene a un infortunio sul lavoro subito, in un impianto
di selezione di rifiuti della E. s.r.l. (di cui il C. all’epoca dei fatti era
amministratore delegato), da K. I. – autista dipendente della società E. s.r.l.
– perché, sceso dal mezzo, mentre stava rimuovendo il telo del cassone al fine
di consentire Io scarico del materiale proveniente dalla raccolta
differenziata, veniva urtato dal muletto condotto da P. F., lavoratore
dipendente della E. s.r.I., riportando lesioni gravi, consistite nella frattura
della tibia e del piede sinistro.

La responsabilità del datore di lavoro è stata
riconosciuta in quanto le lesioni sono state ritenute conseguenti alla
violazione del combinato disposto di cui agli artt. 63 e 64, comma 1, d.lgs. 9
aprile 2008, n. 81, per non avere il C. organizzato i luoghi di lavoro in
maniera conforme all’allegato IV, punto 1.4., ed in particolare per non avere
organizzato una viabilità sicura regolamentando, con cartellonistica e
segnaletica orizzontale, la circolazione nel piazzale esterno dell’impianto di
selezione rifiuti, separando le corsie di marcia, indicando i luoghi  di stoccaggio e le corsie destinate ai
carrelli elevatori e ai pedoni, nonché le aree di manovra dei mezzi.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione, tramite il difensore, tanto il C., quanto la E. s.r.l.

3. Il ricorso proposto dal difensore del C. è
affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo viene dedotto il vizio di
motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il
datore di lavoro non abbia valutato il rischio di infortunio derivante dalle
possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti
allo scarico del materiale e non abbia predisposto misure per contenere tale
rischio, deducendosi che – contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza
impugnata, e secondo quanto invece risultante dalla deposizione della teste A.
(allegata al ricorso) – la E. s.r.l. non solo aveva adottato il documento di
valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), ma aveva anche previsto, in
tale documento, tanto lo specifico rischio dell’investimento del personale a
terra da parte dei carrelli elevatori, quanto le misure di prevenzione di tale
rischio, le quali erano state considerate insufficienti dagli ispettori della
ASL che avevano impartito le proprie prescrizioni (realizzazione di segnaletica
orizzontale).

Evidenziandosi che con l’atto d’appello era stata
dedotta la mancanza di una fonte della regola cautelare individuata dagli
ispettori della ASL, e la sua incompatibilità con le esigenze di produzione
della E. s.r.I., con il primo motivo, quindi, si lamenta che la doglianza fatta
valere con l’atto d’appello – relativa alla insussistenza della regola
cautelare per la cui violazione il C. era stato condannato in primo grado
(mancata realizzazione di segnaletica orizzontale) – è stata disattesa sulla
base dell’erroneo convincimento circa la mancata valutazione del rischio in
questione e la mancata predisposizione di misure di prevenzione specifiche.

3.2. Con  il
secondo motivo di ricorso la difesa del C. deduce la violazione degli artt. 43, 590 cod. pen.,
63 e 64 d.lgs n. 81 del 2008
in relazione all’allegato IV, punto 1.4., nonché il difetto di motivazione
della sentenza nella parte in cui ha ritenuto le misure individuate dagli
ispettori della ASL preferibili a quelle individuate dalla società nel DUVRI
(che, per il rischio di investimento di personale a terra nel piazzale di
stoccaggio di rifiuti, prevedeva – oltre all’individuazione di un preposto – le
procedure che i conducenti dei muletti dovevano seguire, cioè il mantenimento
di una distanza di sicurezza dal personale a terra e di una velocità non
superiore a 5 km all’ora ed il divieto di avvicinarsi ai cumuli dei rifiuti non
direttamente lavorati) senza indicarne la fonte.

Con tale motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata deducendo, in primo luogo, che la regola cautelare indicata dal
personale della ASL – quale specificazione del punto 1.4. dell’allegato IV del d.lgs n. 81 del 2008 richiamato
dagli artt. 63 e 64 d.lgs. n. 81
del 2008 – non avrebbe una fonte giuridica (quale ad esempio la
consuetudine, ove fosse usuale per le aziende che usano i muletti per le
operazioni di carico e scarico), ma sarebbe stata creata o prodotta dagli
agenti accertatori, e che, nonostante la relativa specifica doglianza mossa con
l’atto d’appello, la sentenza impugnata non ha motivato sul punto. Con lo
stesso motivo il C. deduce, inoltre, che né la sentenza di primo grado né
quella d’appello hanno motivato in ordine all’insufficienza delle misure di
prevenzione adottate dalla E. s.r.I., con particolare riguardo alla
previsione   di un preposto alla
vigilanza del rispetto delle misure previste, volta proprio a prevenire ed
evitare la violazione da parte dei lavoratori delle disposizioni antinfortunistiche.

4. Il ricorso proposto dal difensore di E. s.r.l. è
affidato ad un unico motivo con cui viene dedotta la violazione dell’art. 5, lett. b), d.lgs n. 231 del
2001 e difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui
ha ritenuto che la condotta omissiva addebitata al datore di lavoro sia stata
posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio della società.

Con tale motivo il ricorrente lamenta che la
sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non ha indicato (o non ha
colto) in cosa sia consistita la mancata realizzazione di segnaletica
orizzontale segnalata dalla Asl (cioè nella mancanza di una striscia rossa con
funzione di guida per il muletto) e non ha approfondito la generale
organizzazione della E. s.r.l. in materia di sicurezza del lavoro, dati,
questi, che avrebbero consentito di escludere l’interesse e il vantaggio per
l’ente derivante dalla mancata adozione di tale cautela.

L’ente si duole che la Corte d’appello, nel riconoscere
il requisito dell’interesse e/o vantaggio per l’ente, abbia mosso il suo
ragionamento da un travisamento delle prove – ritenendo che la società non
avesse valutato il rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze
tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti allo scarico del
materiale – e che, al pari del giudice di primo grado, non abbia tenuto conto
della generale organizzazione della E. s.r.l. in materia di sicurezza del
lavoro né del fatto che la società aveva adottato il DUVRI, ivi prevedendo il
rischio di investimento nonchè le misure per prevenirlo; deduce, inoltre, che
la mancanza previsione nel DUVRI e la mancata realizzazione di una semplice
striscia rossa orizzontale non hanno comportato né un risparmio di spesa – in
quanto la sua previsione nel DUVRI non avrebbe aumentato i costi sostenuti per
la predisposizione di tale documento, e i costi della sua sarebbero irrisori
rispetto a quelli complessivi sostenuti dall’impresa – né un vantaggio in
termini di miglioramento della produttività dell’azienda, il quale è stato
meramente presunto dal giudice di primo grado, sulla base della possibilità per
i muletti di muoversi più rapidamente.

5. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso del C. è infondato mentre quello proposto
da E. s.r.l. è meritevole di accoglimento.

1. Riguardo al primo motivo di ricorso del C. si
rileva che la sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado, in
punto di riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro, individuando
la sua condotta colposa nella previsione, nel documento di valutazione rischi,
di misure di prevenzione (obbligo, dei conducenti dei carrelli elevatori, in
presenza di personale a terra, di limitare la velocità e passare a una distanza
di due metri dal pedone stesso) inidonee a prevenire le eventuali disattenzioni
dei lavoratori, e non nell’omessa valutazione del rischio di infortunio
derivante dalle possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori
e gli addetti allo scarico del materiale e nella mancata previsione, nello
stesso documento, di qualsivoglia misura per contenere tale rischio.

La Corte territoriale, infatti, – avuto riguardo al
motivo d’appello con cui era stata dedotta la colpa esclusiva del conducente
del muletto nella causazione del sinistro e l’insussistenza della regola
cautelare per la cui violazione il C. era stato condannato in primo grado
(mancata realizzazione di segnaletica orizzontale) – ha respinto l’appello non
sulla base dell’erroneo convincimento circa la mancata valutazione del rischio
in questione e la mancata predisposizione di misure di prevenzione specifiche,
bensì in ragione della considerazione che «la protezione delle persone negli
ambienti di lavoro non possa essere rimessa esclusivamente alla prudenza e
all’attenzione dei lavoratori, essendo onere del datore di lavoro predisporre
dei modelli organizzativi idonei a prevenire anche le eventuali disattenzioni»
(pag. 5 della sentenza impugnata), posta a fondamento della valutazione di
inidoneità delle misure di prevenzione approntate dal datore di lavoro.

La sentenza impugnata, quindi, ha preso in
considerazione la misura di prevenzione prevista dal datore di lavoro nel
documento di valutazione dei rischi e ha ritenuto che la stessa, unitamente
alla corretta formazione dei lavoratori, non fosse sufficiente a neutralizzare
il rischio di investimento sul piazzale, ritenendo  all’uopo necessarie «misure prevenzionistiche
che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e
gli addetti allo scarico del materiale, rendendo di fatto impossibile il
verificarsi del sinistro». In tal modo la sentenza impugnata – nella
valutazione dell’idoneità della misura prevista dal datore di lavoro per
prevenire il concretizzarsi del rischio di investimento dei pedoni da parte dei
carrelli elevatori nel piazzale di stoccaggio dei rifiuti – ha fatto corretta
applicazione del principio secondo cui le «norme antinfortunistiche sono
dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad
imperizia dello stesso lavoratore» (Sez. 4, n.
12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 23925301), – costantemente affermato
dalla Corte riguardo al tema degli estremi necessari affinchè il comportamento
colposo del lavoratore possa essere ritenuto abnorme ed idoneo ad escludere il
nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo (ex
multis, e per tutte, si veda Sez. 4, n. 27871 del
20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201, secondo cui «perché possa ritenersi che
il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto
in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca
concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della
responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche
le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio
di comportamento imprudente») – e, quindi, correttamente ha ricondotto all’area
del rischio governato dal latore di lavoro anche il possibile investimento dei
pedoni derivante da negligenza, imprudenza, imperizia dei conducenti dei
muletti. D’altra parte, poiché «in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro,
il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro
per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere
tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale» (Sez.
7, n. 11487 del 19/02/2016, Lucchetti, Rv. 26612901; Sez. 4, n. 37840 del
01/07/2009, Vecchi, Rv. 24527401) e stante il principio secondo cui «le norme
antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori
nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino
nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di
dipendenza con il titolare dell’impresa» (Sez. 4,  Sentenza n. 32178 del 16/09/2020, Dentamaro,
Rv. 28007001), deve ritenersi che correttamente la Corte d’appello abbia
ritenuto che il datore di lavoro, nel predisporre misure di prevenzione
relative al rischio specifico di investimento di terzi da parte dei lavoratori
dipendenti conducenti dei muletti, dovesse realizzare anche le cautele
finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento
imprudente o negligente di tali conducenti.

2. Queste considerazioni giustificano anche
l’infondatezza del secondo motivo di ricorso del C., sotto il profilo della
dedotta mancanza di motivazione, avendo la sentenza impugnata adeguatamente
motivato perché le misure individuate dagli ispettori della ASL
(predisposizione di percorsi obbligati per i muletti, evidenziati da
segnaletica di tipo orizzontale) dovevano ritenersi preferibili a quelle
individuate dalla società nel DUVR: le misure previste dal datore di lavoro,
infatti, sono state ritenute inidonee a governare il rischio di investimento
del pedone non solo perché non atte a prevenire anche il comportamento
imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dei conducenti dei muletti, ma
anche perché  incapaci di impedire
qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e gli addetti allo
scarico del materiale, e, quindi, di neutralizzare del tutto – e non solo a
ridurre – il rischio di investimento dei pedoni.

Una tale valutazione comporta, sia pure
implicitamente, un giudizio di inidoneità anche in ordine alla previsione, nel
documento di valutazione rischi, della vigilanza di un preposto in relazione al
rispetto delle misure previste dal datore di lavoro, attinenti esclusivamente
alle modalità della condotta di guida dei conducenti dei muletti, perché se è
la misura di prevenzione ad essere inidonea – in quanto anziché eliminare si
limita a ridurre il rischio di investimento dei pedoni – la previsione di un
preposto non può valere a sanare tale inidoneità, tanto più con riferimento a
una situazione in cui il rischio deriva dalla conduzione di un veicolo, nella
quale il potere del preposto di incidere sul condotta di guida del conducente
non può che essere relativo.

Il secondo motivo di ricorso è infondato anche sotto
il profilo della dedotta violazione di legge, essendo stata individuata la
fonte della regola cautelare violata negli artt. 63 e 64 d.lgs n. 81 del 2008
in relazione all’allegato IV, punto 1.4. La
sentenza impugnata, infatti, aderisce alla individuazione della regola
cautelare violata (previsione di misure, come i percorsi obbligati evidenziati
da segnaletica orizzontale, idonee a evitare qualsivoglia interferenza tra i
muletti e il personale a terra) operata dalla sentenza di primo grado, la cui
fonte è espressamente ravvisata nel punto 1.4. dell’allegato
IV del d.lgs n. 81 del 2008 richiamato dagli artt. 63 e 64 d.lgs. n. 81 del 2008.
Tale norma (secondo cui «1.4.1. Le vie di circolazione, comprese scale, scale
fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo
tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza
e conformemente alla loro destinazione e che í lavoratori operanti nelle
vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio. (…) 1.4.3.
Qualora sulle vie di  circolazione siano
utilizzati mezzi di trasporto, dovrà essere prevista per i pedoni una distanza
di sicurezza sufficiente. (…) 1.4.5. Nella misura in cui l’uso e
l’attrezzatura dei locali lo esigano per garantire la protezione dei lavoratori,
il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.»), prevede una
regola cautelare elastica che per sua natura, indicando un comportamento non
rigidamente definito ma determinabile in base a circostanze contingenti,
richiede una specificazione (e non la sua creazione) ad opera del datore di
lavoro prima, in sede di predisposizione delle misure di prevenzione idonee a
neutralizzare quello specifico rischio, e da parte del giudice poi, con la
conseguenza che non può affermarsi che si tratti di una norma creata ex post
dagli ispettori della ASL o dal giudice.

3. Il ricorso proposto dal difensore di E. s.r.l. è
fondato sotto il profilo del dedotto difetto di motivazione della sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la condotta omissiva addebitata al
datore di lavoro sia stata posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio della
società ai sensi dell’art. 5,
lett. b), d.lgs n. 231 del 2001.

3.1. In tema di responsabilità da reato degli enti
derivante da reati colposi di evento, costituiscono principi pacifici nella
giurisprudenza della Corte quelli secondo cui:

– i concetti di interesse e vantaggio, vanno di
necessità riferiti alla condotta e non all’evento (Sez.
4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501; Sez. U, n.
38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 2611150);

– tali criteri di imputazione oggettiva sono
alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime
una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento
della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente
soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente
oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente
derivati dalla realizzazione dell’illecito (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018,
Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002; Sez. 4, n.
2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501; Sez. U, n. 38343
del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 26111401);

– ricorre il requisito dell’interesse qualora
l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo
di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio
qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme
prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della
spesa con conseguente massimizzazione del profitto (Sez.
4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501) o della
produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso
(Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002).

La Corte ha altresì precisato – sempre in tema di
responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione
della normativa antinfortunistica – che «il “risparmio” in favore
dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva
rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola
riduzione dei tempi di lavorazione» (Sez. 4, n.
16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 27557001), tant’è vero che il vantaggio
è stato ravvisato anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che
sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019,
Calcinoni, Rv. 27659603). E’ stato inoltre ripetutamente affermato il
principio, la cui applicazione è stata invocata dall’ente nel suo ricorso,
secondo cui «ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur
non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha
consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona
giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele
antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione
dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione
necessarie ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi
di impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del
lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa
cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere
alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre il
requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente,
pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha
violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, e, dunque ha realizzato
una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro,
consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con
conseguente massimizzazione del profitto». (Sez.
4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697
del 20/04/2016, Mazzotti, non mass. sul punto; Sez.
4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 , Gastoldi, non mass. sul punto).

D’altra parte la Corte ha avuto anche occasione di
approfondire la diversità dei due criteri di imputazione obiettiva del reato
all’ente costituiti dall'”interesse” e dal “vantaggio”,
chiarendo che «l’interesse è un criterio soggettivo, il quale rappresenta
l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del
reato. Per questo, l’interesse è indagabile solamente ex ante ed è del tutto
irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato. Ebbene, è
evidente che, nei reati colposi d’evento, affinchè l’interesse per l’ente
sussista,  sarà certamente necessaria la
consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche, in quanto è
proprio da tale violazione che la persona fisica ritiene di poter trarre un
beneficio economico per l’ente (vale a dire un risparmio di spesa). […]
Diversamente deve ragionarsi con riferimento al vantaggio. Esso è criterio
oggettivo, legato all’effettiva realizzazione di un profitto in capo all’ente
quale conseguenza della commissione del reato. Per questo deve essere
analizzato, a differenza dell’interesse, ex post. Chiaramente, come si è detto,
nei reati colposi si dovrà guardare solamente al vantaggio ottenuto tramite la
condotta. La condotta, nei reati colposi d’evento contro la vita e l’incolumità
personale commessi sul lavoro, è rappresentata dalla violazione delle regole
cautelari antinfortunistiche, ed è dunque in riferimento ad essa che bisognerà
indagare se, ex post, l’ente abbia ottenuto un vantaggio di carattere
economico. Qualora la persona fisica abbia violato sistematicamente le norme
prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della
spesa con conseguente massimizzazione del profitto, allora potrà ravvisarsi il
vantaggio per l’ente. In tale schema, marcatamente obiettivo, non è necessario
che il reo abbia volontariamente violato le regole caute/ari al fine di
risparmiare, in quanto la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale
differenza rispetto all’interesse, ma solamente che risulti integrata la
violazione delle regole cautelari contestate. In questo modo, il vantaggio
viene rapportato alle specifiche contestazioni mosse alla persona fisica,
salvaguardandosi il principio di colpevolezza, ma allo stesso tempo permettendo
che venga attinto da sanzione penale anche il soggetto che, in concreto ed
obiettivamente, si è giovato della violazione cautelare, vale a dire l’ente.
Quanto, poi, alla consistenza del vantaggio, deve certamente trattarsi di
importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento è rimesso alla valutazione
del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed
adeguatamente motivata» (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda
s.c.a., Rv. 27432002). Avuto riguardo all’esatta individuazione del parametro
di imputazione oggettiva costituito dall’interesse dell’ente, la Corte ha
approfondito il tema della rilevanza o meno del connotato di sistematicità
delle violazioni, ritenendo ravvisabile tale criterio di imputazione «anche in
relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea,
senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni
antinfortunistiche, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento
finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente» (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv.
28077701; Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria s.p.a., Rv. 27966001).

In tali pronunce è stato evidenziato che la
necessità di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilità
dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza
(evitando che l’affermazione della responsabilità dell’ente consegua
automaticamente, una volta dimostrati il reato presupposto e il rapporto di
immedesimazione organica dell’agente, e assicurando che la persona fisica abbia
agito nel suo interesse e non solo approfittando della posizione in esso
ricoperta), è soddisfatta dall’esclusione dal novero delle condotte a tal fine
rilevanti quelle sostenute da coscienza e volontà, ma non anche dall’elemento
della “intenzionalità”, come sopra definita, cioè dallo scopo di
conseguire un’utilità per la persona giuridica. Ciò posto è stato rilevato che
il connotato della sistematicità della violazioni «attiene al piano prettamente
probatorio […], quale possibile indizio della esistenza dell’elemento
finalistico della condotta dell’agente, idoneo al tempo stesso a scongiurare il
rischio di far coincidere un modo di essere dell’impresa con l’atteggiamento
soggettivo proprio della persona fisica» (Sez. 4,
n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 28077701), in quanto l’art. 25-septies d.lgs n. 231 del 2001
non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa
antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell’ente
derivante dai reati colposi ivi contemplati, né tale connotato è imposto dalla
necessità di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilità
dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza.

E si è altresì osservato che è eccentrico rispetto
allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur
sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non
siano espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle
regole cautelari, considerato peraltro l’innegabile quoziente di genericità del
concetto di sistematicità (Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria
s.p.a., Rv. 27966001).

Analogamente può ritenersi che il connotato della
sistematicità della violazioni sia estraneo anche al requisito del vantaggio e,
anche con riferimento a tale criterio di imputazione, attenga ad un piano
prettamente probatorio, quale possibile indice della sussistenza e consistenza,
sul piano economico, del vantaggio, derivante 
dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di
prevenzione. Ritenuti pienamente condivisibili i suddetti principi si ritiene
che – onde impedire un’applicazione automatica della norma che ne dilati a
dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di
qualsivoglia misura di prevenzione (che implica quasi sempre un risparmio di
spesa il quale può, però, non essere rilevante) – ove il giudice di merito
accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle
cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa
delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro (ed in mancanza di altra
prova che la persona fisica, omettendo di adottare tali cautele, abbia agito
proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica, e –
quindi – in una situazione in cui l’omessa adozione delle cautele dovute sia
plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio
o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla
salvaguardia della salute dei lavoratori), ai fini del riconoscimento del
requisito del vantaggio occorre la prova della oggettiva prevalenza delle
esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute
dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse: la prova, cioè,
dell’effettivo, apprezzabile (cioè non irrisorio) vantaggio (consistente nel
risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare,
anche, dall’omissione di una  singola
cautela e anche dalla conseguente mera riduzione dei tempi di lavorazione) non
desumibile, sic et simpliciter, dall’omessa adozione della misura di
prevenzione dovuta.

In altri termini laddove non vi sia la prova –
desumibile anche dalla sistematica sottovalutazione dei rischi – che l’omessa
adozione delle cautele sia il frutto di una scelta finalisticamente orientata a
risparmiare sui costi di impresa, (cioè di una specifica politica aziendale
volta alla massimazione del profitto con un 
contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela
della vita e della salute dei lavoratori), e risulti, invece, l’occasionalità
della violazione delle norme antinfortunistiche, dovendosi escludere il
requisito dell’interesse, deve essere rigorosamente provato quello del
vantaggio, che può alternativamente consistere in un apprezzabile risparmio di
spesa o in un, sempre apprezzabile, aumento della produttività, e la motivazione
della sentenza che riconosca tale vantaggio deve dare adeguatamente conto delle
prove, anche per presunzioni, dalle quali lo ha desunto.

3.2. La motivazione della sentenza impugnata, letta
alla luce dei motivi d’appello dell’ente, risulta carente proprio sotto questo
profilo, non dando conto delle prove dalle quali ha desunto il vantaggio
conseguito dall’ente, in termini di apprezzabile risparmio di spesa e di
apprezzabile accelerazione del processo 
produttivo, nonostante le specifiche censure mosse sul punto con l’atto
d’appello, avverso la sentenza di primo grado.

La sentenza di primo grado aveva, infatti,
riconosciuto la sussistenza del requisito della commissione del reato
«nell’interesse o comunque a vantaggio dell’ente» ritenendo che l’omessa predisposizione
delle misure di prevenzione abbia consentito sia un risparmio di spesa –
ravvisato non nel solo costo della vernice necessaria per l’apposizione della
segnaletica orizzontale, ma «anche, e non solo, [nella] spesa per la consulenza
necessaria a colmare la carenza del modello organizzativo, in modo tale che
questo sia funzionale rispetto allo specifico processo produttivo» – sia
l’accelerazione dei «tempi e ritmi del ciclo produttivo, evitando, ad esempio,
i disagi inerenti la predisposizione di un percorso obbligato per i carrelli
elevatori anziché consentire di optare per il tragitto nell’immediato più
breve, ma meno sicuro per l’incolumità delle persone». Tale motivazione era
stata censurata con l’atto di appello, invocandosi l’applicazione dei principi
affermati dalla Corte secondo cui il requisito dell’interesse non ricorre
quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere
l’esito di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva
considerazione delle misure di prevenzione necessarie e non di una scelta
finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa, e quello
del  vantaggio richiede la sistematica
violazione delle norme prevenzionistiche, e, dunque una politica di impresa
disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro,  che consenta una riduzione dei costi e un
contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

In particolare con l’atto d’appello era stata
censurata la sentenza di primo grado: nella parte in cui aveva ritenuto
ravvisabile un risparmio della spesa con riferimento alla consulenza necessaria
a colmare la carenza del modello organizzativo, lamentandosi l’omessa
considerazione del fatto che la E. s.r.l. si era avvalsa di una consulenza per
redigere il documento di valutazione dei rischi, nel quale erano stati
contemplati il rischio di investimento dei pedoni nel piazzale e le misure per
prevenirlo, da cui era desumibile che la mancata previsione delle diverse
misure indicate dagli ispettori della ASL non aveva determinato alcun risparmio
di spesa ed era riconducibile a una sottovalutazione del rischio, oppure ad un
erronea considerazione delle misure di prevenzione, che secondo la
giurisprudenza della Corte non possono portare a riconoscere il requisito
dell’interesse ai sensi dell’art.
5 del d.lgs. n. 231 del 2001; e nella parte in cui aveva ritenuto che la
mancata predisposizione delle cautele avesse velocizzato i tempi e i ritmi del
processo produttivo, in modo apodittico, senza alcun approfondimento sul punto.

Con il medesimo atto di appello la sussistenza del
requisito del vantaggio era stata inoltre contestata sotto il profilo
dell’omessa considerazione che la politica della E. s.r.l. era stata sempre
improntata ad estremo rigore nel settore della sicurezza e del rispetto della
normativa antinfortunistica, dato, questo desumibile  anche dal fatto che all’autista del muletto
era stata impartita una formazione specifica per la guida di tali mezzi, anche
prima dell’entrata in vigore della normativa che ha imposto l’adozione del
patentino. In riferimento a tale motivo d’appello la sentenza impugnata si è
limitata a rilevare «come risultino fragili e non seriamente sostenibili, tanto
da doversi disattendere, le obiezioni della difesa in merito alla corretta
individuazione, da parte del tribunale, del vantaggio conseguito dall’azienda a
seguito della mancata predisposizione di un adeguato sistema di sicurezza;
risulta, infatti, indubitabile che la contestata omissione prevenzionistica
abbia, per un verso, comportato un 
risparmio di spesa per l’azienda, nella misura in cui non sono stati
predisposti e prima ancora adeguatamente valutati i necessari correttivi, e,
per l’altro, abbia semplificato, e quindi accelerato i processi produttivi, a
discapito della tutela dei lavoratori e delle persone gravitanti nell’ambiente
di lavoro».

Sebbene, per le ragioni già esposte nell’esame del
ricorso del C., non sia ravvisabile il dedotto travisamento della prova,
tuttavia, il ricorso di E. s.r.l. coglie nel segno sotto il profilo del dedotto
difetto di motivazione. La sentenza impugnata, infatti – a fronte delle
articolate deduzioni svolte, sia in fatto che in diritto, a sostegno del motivo
d’appello con cui era stata censurato il riconoscimento del criterio di
imputazione di cui all’art. 5
d.lgs 231 del 2001 – non ha adeguatamente motivato la ritenuta sussistenza
del vantaggio derivato all’ente dall’omessa previsione e adozione delle cautele
ritenute dovute, sia sotto il profilo dell’asserito risparmio di spesa – non
avendo dato conto né delle ragioni per le quali, nonostante il ricorso da parte
della società a un consulente per la predisposizione del DVRI, la previsione
della misura omessa avrebbe comportato una spesa ulteriore, né dei costi per
l’esecuzione delle misure omesse, né della generale organizzazione della E.
s.r.l. in materia di sicurezza del lavoro – sia sotto il profilo, anch’esso
specificamente contestato nell’atto d’appello, dell’asserita accelerazione dei
processi produttivi, conseguente all’omessa adozione della cautela.

Tale difetto di motivazione non può, peraltro,
ritenersi escluso neppure alla luce del principio secondo cui, in caso di cd.
“doppia conforme” «la struttura motivazionale della sentenza di
appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo
argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e
nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive
decisioni» (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218
01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep.2012
Valerio, Rv. 25261501; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv.
25759501; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n.
11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).

Ed invero, la sentenza di primo grado, quanto al
ritenuto risparmio di spesa derivante dall’omessa previsione e adozione della
cautela, si limita a richiamare le spese «per la consulenza necessaria a
colmare la carenza del modello organizzativo, in modo tale che questo sia
funzionale rispetto allo specifico processo produttivo» , mentre la sentenza
impugnata – a fronte della specifica deduzione svolta con l’atto d’appello
secondo cui, per la predisposizione del documento di valutazione dei rischi, la
società si era avvalsa dell’opera di un consulente, il cui compenso non sarebbe
cambiato in conseguenza della previsione della cautela omessa – non ha fornito
alcun chiarimento in ordine alla natura, al titolo e alla consistenza delle
spese che la società avrebbe dovuto sostenere ove avesse previsto e adottato le
cautele omesse.

Quanto all’accelerazione dei tempi e ritmi del ciclo
produttivo derivanti dalla mancata adozione della cautela dovuta, il giudice di
primo grado si limita a rilevare che tale misura avrebbe comportato un percorso
obbligato per i carrelli elevatori, tale da non consentire loro «di optare per
il tragitto nell’immediato più breve, ma meno sicuro per l’incolumità delle
persone», facendo implicitamente ricorso all’applicazione di una massima di
esperienza secondo cui un percorso obbligato è comunemente più lungo di un
percorso “libero”, ma senza fornire alcuna indicazione in ordine all’entità
della riduzione dei tempi di lavorazione connessa all’omessa adozione della
cautela.

La sentenza impugnata risulta pertanto affetta dal
dedotto vizio di motivazione sia per non avere argomentato, quanto alla
ritenuta sussistenza del criterio obiettivo di imputazione – ravvisato dalla
Corte territoriale nel “vantaggio” derivante dalla commissione del
reato – in ordine alle specifiche censure mosse con l’atto d’appello avverso il
relativo punto della sentenza di primo grado, sia per non avere in alcun modo
valutato la consistenza del vantaggio, nel caso di specie derivante
dall’omissione di una singola misura di prevenzione e non dalla sistematica
violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, che
deve essere «di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento è rimesso
alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove
congruamente ed adeguatamente motivata» (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018,
Consorzio Melinda s.c.a., non mass. sul punto).

Tanto impone l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata affinchè si proceda, alla luce delle censure mosse sul punto
con l’atto d’appello avverso la sentenza di primo grado, a nuovo esame in
ordine alla sussistenza del criterio di imputazione di cui all’art. 5 d.lgs n. 231 del 2001.

3.3. Il giudice del rinvio, in particolare dovrà
procedere a nuovo esame circa la sussistenza del requisito
“dell’interesse” e/o del “vantaggio” necessario per
l’affermazione della responsabilità dell’ente per il reato commesso dal C.,
riconosciuto dalla sentenza di primo grado, alla luce delle specifiche censure
mosse sul punto con l’atto d’appello e dei principi affermati dalla Corte. Il
profilo relativo alla sussistenza o meno dell’interesse dell’ente – seppure
assorbito, nella sentenza impugnata, dal riconoscimento del requisito
alternativo del vantaggio – potrà costituire oggetto di nuovo esame ad opera
del giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 627, comma
2, cod. proc. pen., secondo cui «il giudice del rinvio decide con gli
stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata», perché
la sentenza di primo grado ne aveva riconosciuto la sussistenza e con l’appello
dell’ente il relativo punto era stato devoluto al giudice dell’impugnazione.

In particolare il giudice del rinvio, nell’esaminare
se il reato può ritenersi commesso nell’interesse e/o a vantaggio dell’ente,
dovrà valutare l’omessa adozione della cautela nell’ambito della complessiva
condotta tenuta dalla società in tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, e alla luce della censura di apoditticità dell’affermazione secondo cui
la mancata predisposizione di percorsi obbligati avrebbe velocizzato i tempi e
i ritmi del ciclo produttivo, nonché delle altre deduzioni svolte nell’atto di
appello relative: all’avvenuta nomina, da parte dell’ente, di un consulente al
fine della predisposizione del documento di valutazione dei rischi, con
sopportazione dei relativi i costi; alla contemplazione, da parte di tale
documento, del rischio di investimento dei pedoni da parte dei carrelli
elevatori e di specifiche misure per prevenirlo; all’insussistenza di un
risparmio di spesa connesso all’omessa previsione ed esecuzione della cautela omessa,
stante il compenso comunque corrisposto al consulente e il costo limitato
dell’esecuzione delle misure di prevenzione omesse; alla conseguente
riconducibilità dell’omissione della cautela a una sottovalutazione del
rischio, oppure ad un erronea considerazione dell’adeguatezza delle misure di
prevenzione previste nel documento di valutazione dei rischi.

Il giudice del rinvio, nella valutazione della
sussistenza del requisito dell’ “interesse”, dovrà inoltre fare
applicazione dei principi secondo cui: «ricorre il requisito dell’interesse
quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o
lesioni de/lavoratore, ha consapevolmente […violato la normativa cautelare]
allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica [… e] la mancata
adozione delle cautele antinfortunistiche [… è] l’esito (non di una  semplice sottovalutazione dei rischi o di una
cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma) di una scelta
finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa [ …] in materia
di prevenzione» (in tal senso: Sez. 4, n. 16598
del 24/01/2019, Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697 del
20/04/2016, Mazzotti, non mass. sul punto; Sez. 4,
n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016, Gastoldi, non mass. sul punto);
«l’interesse è un criterio soggettivo, il quale rappresenta l’intento del reo
di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato. […che
deve essere accertato mediante una valutazione] ex ante [… essendo] del tutto
irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato» (Sez. 4, n. 38363
del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002);

il requisito della commissione del reato
nell’interesse dell’ente non richiede, ai fini della sua integrazione, la
sistematicità delle violazioni antinfortunistiche, essendo ravvisabile «anche
in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea,
allorchè altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la
violazione e l’interesse dell’ente», in quanto la sistematicità della
violazioni «attiene al piano prettamente probatorio […], quale possibile
indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente» (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv.
28077701; Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria s.p.a., Rv. 27966001).

Il giudice del rinvio, nella valutazione della
sussistenza del requisito del “vantaggio”, dovrà fare applicazione
dei principi secondo cui: – «ricorre il requisito del vantaggio quando la
persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi
dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le
norme prevenzionistiche, e, dunque ha realizzato una politica di impresa
disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione
dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del
profitto» (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019,
Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, non
mass. sul punto; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 –
dep. 2016, Gastoldi, non mass. sul punto) ovvero «massimizzazíone della
produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso»
(Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv._27432001),
oppure consentendo una «riduzione dei tempi di lavorazione». (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv.
27557001; Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 27659603);

– «[H]vantaggio […] è criterio oggettivo, legato
all’effettiva realizzazione di un profitto, di importo non irrisorio, in capo all’ente
quale conseguenza della […violazione delle regole cautelar’
antinfortunistiche, il quale] deve essere analizzato, a differenza
dell’interesse, ex post [… senza che sia ] necessario che il reo abbia
volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto
la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale differenza rispetto
all’interesse» (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., non
mass. sul punto);

«il concreto apprezzamento della consistenza del vantaggio,
cioè del suo importo non irrisorio, è rimesso alla valutazione del giudice di
merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata»
(Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., non mass. sul
punto);

– ai fini dell’integrazione del requisito del
vantaggio non è necessaria la sistematicità delle violazioni
antinfortunistiche, essendo ravvisabile tale criterio di imputazione anche in
relazione a una trasgressione isolata, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino
la consistenza del vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato, in
quanto la sistematicità della violazioni attiene al piano prettamente
probatorio, quale possibile indizio della consistenza del vantaggio.

3. Al rigetto del ricorso proposto dal C. consegue
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto
concernente la responsabilità amministrativa dell’ente e rinvia alla Corte di
appello di Firenze, altra sezione.

Rigetta il ricorso di C. L. e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 giugno 2021, n. 22256
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