Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giugno 2021, n. 24140
Rapporto di lavoro, Pagamento della retribuzione, Omissione
– Modelli DM10, Fonte probatoria
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Roma in data 15 settembre
2021, quale giudice del rinvio disposto il 6 febbraio 2020 dalla Corte di
Cassazione a seguito di appello proposto avverso la sentenza del 6 febbraio
2017 del tribunale di Frosinone, confermava la predetta sentenza.
2. Avverso la sentenza suindicata C. A., tramite il
proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando tre motivi di
impugnazione.
3. Con’ il primo motivo, deduce il vizio di
violazione di legge, in relazione alla ritenuta assenza di elementi costitutivi
del reato di cui all’art. 2 L. 638/83 e al mancato riconoscimento della causa
di non punibilità ex art. 45 c.13 oltre che il vizio di motivazione; ta corte
non avrebbe tenuto conto, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato,
della circostanza della intervenuta ammissione al concordato della società del
ricorrente, C.G.B. s.p.a., disposta il 26.1.2016 a seguito di domanda del
5.02.2015. Cui seguì la revoca il 2.8.2017, con contestuale dichiarazione di
fallimento della società medesima. In particolare, la predetta ammissione al
concordato avrebbe comportato l’impossibilità di destinare risorse
all’adempimento di un’obbligazione in luogo di altra, senza previa
autorizzazione degli organi della procedura. E quindi l’omesso versamento dei
contributi sarebbe dovuto a cause indipendenti dalla volontà dell’imputato ex
art. 45 c.p. Si aggiunge che i contributi contestati sarebbero rientrati nel
piano del concordato preventivo ex artt. 182 ter e 160 L. Fall. e, quindi,
oggetto di regolarizzazione contributiva con conseguente inconfigurabilità del
reato. La corte, a fronte di tali dati probatori, non avrebbe spiegato il
convincimento della sussistenza di un lacunoso compendio probatorio sulla base
del quale ha adottato la sentenza impugnata e, in tal modo, avrebbe anche
violato il principio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
4. Con il secondo motivo, deduce i vizi di
illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione. Sarebbe
contraddittoria la motivazione nella parte in cui, da una parte, si dà atto
dell’omesso adempimento dei contributi contestati, e dall’altra, dato atto di
una procedura concorsuale pendente, si omette di considerare la circostanza
dell’omesso accertamento in primo grado della avvenuta corresponsione delle
restribuzioni da parte dell’imputato. Si osserva in proposito, come la condanna
sarebbe fondata esclusivamente sulla base della acquisizione al fascicolo
dibattimentale dei modelli DM10, laddove essi non costituirebbero fonti
probatorie primarie ai fini del giudizio di responsabilità in questionea j
essendo necessario dimostrare, pur in presenza di tali elementi, l’avvenuto
pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavoro, che nel caso di
specie non sarebbe avvenuto in ragione dello stato di cirsi in cui versava
l’impresa dell’imputato.
5. Con il terzo motivo, rappresenta il vizio ex art.
606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 133 e 175 c.p. e
quello di illogicità e contradditotrietà della motivazione. La pena inflitta
sarebbe sproporzionata, ben potendosi applicare, piuttosto, una pena vicina al
minimo edittale. Oltre a potersi concedere il beneficio della non menzione.
Inoltre, sarebbe carente la motivazione in tema di dosimetria della pena in
presenza di un pleonastico riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è inammissibile.
1.1. Si premette che il reato di omesso versamento
delle ritenute previdenziali e assistenziali (art. 2, D.L. 12 settembre 1983,
n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638), in quanto reato omissivo
istantaneo, si consuma, secondo la formulazione precedente alle modifiche
apportate dal d.lgs 15 gennaio 2016, n. 8, norma più favorevole applicabile al
caso in esame, (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308), nel
momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il
versamento, attualmente fissato, dall’art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs.
n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si
riferiscono i contributi, essendo irrilevante, ai fini dell’individuazione del
momento consumativo, che la data per adempiere al pagamento sia fissata nei tre
mesi successivi alla contestazione della violazione, poichè la pendenza di tale
termine determina esclusivamente la sospensione del corso della prescrizione
per il tempo necessario a consentire al datore di lavoro di avvalersi della
causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1 bis, del citato D.L. (Sez.
3, n. 26732 del 05/03/2015, Rv. 264031).
Consegue, alla luce del capo di imputazione, che fa
riferimento a contributi dovuti sino al mese di dicembre 2013, e del ricorso
proposto, secondo cui l’ammissione al concordato sarebbe stata disposta il
26.1.2016 ( al di là di quanto al riguardo osservato dalla corte di appello e
di cui appresso, quanto alla mancata concreta dimostrazione di tale
allegazione), che nel caso in esame, alla data della scadenza del termine per
il versamento, che costituisce il momento consumativo del reato, nei confronti
della società non sarebbe stata ancora aperta la procedura di concordato preventivo,
e, rispetto a tale momento, il reato si sarebbe già consumato in tutti i suoi
elementi oggettivi e soggettivi. Alla luce della sentenza impugnata peraltro,
in data 26.9.2014 il ricorrente avrebbe ricevuto la formale diffida dell’INPS a
regolarizzare l’inadempienza accertata.
Va conseguentemente anche ricordato che il reato in
esame è escluso solo allorquando il debitore sia stato ammesso al concordato
preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo
versamento, per effetto della inclusione, nel piano concordatario, del debito
d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 2860 del
30/10/2018„ Rv. 274822 – 01; Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, Rv. 273838 – 01;
Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Rv. 263436 – 01).
1.2. Quanto all’elemento soggettivo del reato, esso
si configura quando il datore di lavoro consapevolmente omette il versamento
dei contributi previdenziali alla scadenza del termine per l’adempimento
dell’obbligazione. A tal fine è sufficiente la consapevolezza di omettere il
versamento che si sa dovuto, in adempimento dell’obbligo gravante
sull’imprenditore di effettuare le trattenute e versarle all’istituto di
previdenza, e al di fuori dell’assoluta impossibilità di adempiere; in tale
quadro è noto che le difficoltà nell’adempimento, pur imputabili a terzi, non
valgono ad escludere la responsabilità per l’omesso versamento. E’ sufficiente,
dunque, la volontà dell’omissione alla scadenza del termine (Sez. 3, n. 3663
del 08/01/2014, Rv. 259097)
1.3. Con riguardo alfine, alla fattispecie di cui
all’art. 2, comma 1 bis, del citato D.L., quale causa personale di esclusione
della punibilità, secondo cui il legale rappresentante della società, vincolata
al versamento contributivo, resta tenuto ad adempiere alla diffida ai sensi
dell’art. 2 d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. dalla legge 11 novembre 1983,
n. 638, e può beneficiare della causa personale di non punibilità adempiendo
all’obbligazione in nome e per conto di quest’ultima, secondo lo schema del
pagamento del terzo di cui all’art. 1180 cod. civ. (Sez. 3, n. 30879 del
27/03/2018, Lazzari, Rv. 273335), va osservato che tanto è astrattamente
possibile anche qualora, medio tempore, la società debitrice dei contributi
previdenziali sia stata ammessa alla procedura concorsuale. In questa, il
legale rappresentate che non è privato del tutto della gestione sociale
(secondo il principio comunemente affermato dello “spossessamento
attenuato”), può attivare la procedura di autorizzazione per il compimento
di atti di amministrazione straordinaria urgenti, prevista dagli artt. 161
comma 7 e 167 legge fall. e chiedere al Tribunale l’autorizzazione al pagamento
dei debiti.
La procedura di concordato preventivo, a differenza
della procedura fallimentare, non priva l’imprenditore in crisi
dell’amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti
gestori. In tale ambito, la disciplina prevista dalla legge fallimentare,
contempla la possibilità per l’imprenditore, che ha fatto domanda di concordato,
e anche prima della sua ammissione (art. 161 comma 7 legge fall.), di compiere
atti gestori, e ciò in coerenza con il limitato spossessamento dei beni cui
segue la limitata facoltà di gestione patrimoniale, potendo compiere gli atti
di ordinaria amministrazione e quelli urgenti di straordinaria amministrazione,
dietro autorizzazione del Tribunale (art. 161 comma 7, 167 legg. fall.) (Sez. 3 – , n. 31327 del 06/06/2019 Ud. (dep. 17/07/2019) Rv. 276277 –
01).
1.4. Tanto premesso, le censure proposte, come anticipato,
sono inammissibili. In particolare, è indimostrata la riferita procedura di
concordato, come anche la sua cronologia, come già rilevato della corte di
appello – secondo la quale con l’atto di gravame si sarebbe solo richiamata la
predetta procedura, senza alcuna precisazione al riguardo e senza procedere ad
alcuna produzione di documentazione pertinente – e considerata la assenza di
puntuale allegazione in ricorso (sempre nella misura, esclusa dai giudici di
secondo grado, in cui si fosse trattato di atti già prodotti).
Ed invero il nuovo testo dell’art. 606, comma primo,
lett. e), cod. proc. pen., introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, nel
fare riferimento ad “altri atti del processo” che devono essere
“specificamente indicati” dal ricorrente, ha dettato una previsione
aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581, lett. c),
cod. proc. pen., secondo cui i motivi d’impugnazione devono contenere
l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta, con l’effetto di porre a carico del ricorrente un
peculiare onere d’inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione
degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta
più adeguate, compresa l’allegazione degli stessi atti (Sez. 6, n. 20059 del
16/01/2008 Rv. 240056 – 01). Principio di portata generale, come tale valevole
anche in caso di deduzione di vizi di violazione di legge assunti sulla base
della valorizzazione – come nel caso di specie formulata dal ricorrente – di
circostanze ritenute esistenti e non valutate.
1.5. Ancor prima quindi, di poter esaminare il
fondamento giuridico della deduzione per cui la procedura di concordato avrebbe
impedito il pagamento del debito contestato (invero inesistente, alla luce dei
principi sopra esposti, per cui tale procedura non impedisce, previa
autorizzazione, il relativo pagamento) viene in rilievo la mancata
dimostrazione e quindi l’indeducibilità della situazione di fatto da cui si
vorrebbe desumere la sussistenza della invocata forza maggiore ostativa
all’adempimento.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo
motivo, relativo all’omesso accertamento in primo grado della avvenuta
corresponsione delle retribuzioni da parte dell’imputato, stante l’insufficienza
probatoria, a tali fini, dei modelli DM10. E’ sufficiente osservare al riguardo
che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
operate dal datore di lavoro, i modelli DM 10, formati secondo il sistema
informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva
corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure
generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla
base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale
fornite dallo stesso contribuente (Sez. 3 – , n. 28672 del 24/09/2020 Rv.
280089 – 01).
3. Il terzo motivo, quanto al trattamento
sanzionatorio, è manifestamente infondato, perché del tutto carente di
specificità. Ciò in quanto esso, a fronte di una motivazione che dà conto della
adeguatezza del trattamento sazionatorio al quanto mite, a fronte di fatti
gravi quali quelli contestati, alla luce della entità delle somme non versate,
per i quali si sono comunque applicate le circostanze attenuanti generiche, si
riduce alla mera invocazione di una pena più mite, senza in alcun modo dedurre
le ragioni di fatto e di diritto a supporto di tali considerazioni.
Quanto alla mancata concessione del beneficio della
non menzione, va richiamato il principio per cui, in relazione ai requisiti
della motivazione in genere, la sentenza costituisce un tutto coerente ed
organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla
sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere
autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la
conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare
da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure
implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Pg in proc.
Spezzacatena e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico
ed altri, Rv. 191487).
Consegue l’emersione di una motivazione sussistente,
siccome integrata dalla esclusione del beneficio invocato in ragione delle
peculiarità dell’imputazione, da intendersi, evidentemente, nel quadro
complessivo della sentenza, come riferita alla gravità dei fatti. Come tali
ostativi alla concessione della non menzione. Tale motivo appare dunque
infondato.
Da tale ultima notazione discende, stante
l’instaurazione di un valido rapporto processuale in assenza di una
declaratoria di manifesta infondatezza della censura, la rilevabilità d’ufficio
della intervenuta estinzione per prescrizione delle omissioni contestate,
limitatamente alla mensilità di aprile 2013 (scadendo il termine massimo al
febbraio 2021).
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la
Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata relativamente
alla mensilità di aprile 2013, perché il reato è estinto per prescrizione, con
rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma per la rideterminazione
del trattamento sanzionatorio. Con dichiarazione di inammissibilità nel resto
del ricorso e intervenuta irrevocabilità del giudizio di responsabilità per le
restanti mensilità, ex art. 624 cod. proc. pen.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata relativamente alla
mensilità di aprile 2013, perché il reato è estinto per prescrizione e rinvia
ad altra sezione della corte di appello di Roma per la rideterminazione del
trattamento sanzionatorio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.