Giurisprudenza – TRIBUNALE DI ROMA – Ordinanza 12 aprile 2021, n. 87

Impiego pubblico, Personale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie, Applicazione delle fonti della disciplina del rapporto di lavoro
dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, Previsto assoggettamento alle
disposizioni del codice civile e alla contrattazione collettiva., Decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), artt.
2, commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo
periodo; 45, comma 1; e 51, comma 1.

 

l giudice sciogliendo la riserva rilevato che:

1. La parte plurisoggettiva
ricorrente di cui in epigrafe, ut supra rappresentata
e difesa, ha proposto ricorso a questo Tribunale per:

«1) L’accertamento e la dichiarazione del diritto
alla regolamentazione con legge di ogni aspetto giuridico ed economico del
rapporto di lavoro del personale non dirigenziale appartenente ai ruoli delle
cancellerie e segreterie giudiziarie del Ministero della giustizia in
osservanza dell’art. 108, comma 1 Cost.;

2) L’accertamento e la dichiarazione del diritto
alla regolamentazione del trattamento retributivo del personale non
dirigenziale appartenente ai ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie
del Ministero della giustizia con criteri proporzionati alla qualità del lavoro
prestato in osservanza dell’art. 36 comma 1 Cost. e dell’art 3, comma 1 Cost.;

3) L’accertamento e la dichiarazione
dell’inapplicabilità al personale non dirigenziale delle cancellerie e
segreterie giudiziarie delle norme di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alla dipendenza delle
amministrazioni pubbliche – e successive modificazioni, recanti la disciplina
sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche e precisamente: art. 2, comma 2, decreto legislativo
n. 165/2001; art. 2, comma 3, decreto legislativo n. 165/2001; art. 3, comma 1,
decreto legislativo n. 165/2001; art. 51, comma 1, decreto legislativo n.
165/2001; art. 40, comma l, decreto legislativo n. 165/2001, primo periodo;
art. 40, comma 2, decreto legislativo n. 165/2001, primo periodo; art. 45,
comma 1, decreto legislativo n. 165/2001, primo periodo;

4) l’accertamento e la dichiarazione
dell’appartenenza del personale non dirigenziale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie all’Ordine giudiziario».

2. A tali fini, detta parte esponeva e argomentava –
in fatto e in diritto – quanto segue.

«I ricorrenti sono tutti dipendenti del Ministero
della giustizia appartenenti ai ruoli del personale non dirigenziale in
servizio presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie con sede in Roma.

I ricorrenti, in assolvimento dei compiti di
ufficio, concorrono istituzionalmente all’attuazione della funzione
giurisdizionale espressiva del potere giudiziario.

Per tale qualificata connotazione sostanziale della
prestazione lavorativa gli istanti posseggono esclusiva specifica tipicizzata professionalità ragionevolmente meritevole di
apposito riconoscimento ordinamentale e di simmetrica
valorizzazione giuridica ed economica.

L’attività d’ufficio condotta dai ricorrenti, per la
peculiarità che la caratterizza quanto a responsabilità personali e finalità
istituzionali, comporta necessariamente che il rapporto di lavoro alla
dipendenza del Ministero della giustizia debba essere regolamentato con
adeguata coerente normativa speciale di settore idonea a disciplinare in
termini chiari e definiti, da un lato, qualifiche compiti responsabilità e
percorsi di carriera, e dall’altro, il corrispettivo economico della
prestazione di lavoro da parametrarsi in coerente sinallagmatico apprezzamento delle esclusive connotazioni
qualitative dei compiti affidati al personale giudiziario.

Il vigente regime del rapporto di lavoro del
personale giudiziario da oltre un ventennio ha impedito, come attualmente
impedisce, la congrua valorizzazione ed il riconoscimento in termini
retributivi della specifica professionalità dai lavoratori della giustizia.

La privatizzazione del rapporto di lavoro, infatti,
in grave pregiudizio degli interessi economici della categoria, ha
illegittimamente e irragionevolmente determinato l’inammissibile omologazione
economico/giuridica del personale giudiziario al personale meramente
amministrativo del comparto ministeriale e ora al personale amministrativo del
più ampio comparto delle funzioni centrali (CCNL 23 dicembre 2017, triennio
2016/2018) che ha determinato e determina l’ingiusto appiattimento
professionale ed economico della categoria.

Siffatta irrazionale forzosa assimilazione del
personale giudiziario a categorie di personale non omogeneo è preclusa
nell’intrinseco dalla natura della prestazione di lavoro resa dai ricorrenti i
quali, come dianzi evidenziato, concorrono all’attuazione della funzione
giurisdizionale, mentre, diversamente, il restante personale è addetto ad
attività lavorative strettamente amministrative che concorrono all’attuazione
della funzione esecutiva ben distinta da quella giurisdizionale.

La differenziazione ontologica della categoria del
personale giudiziario, come di seguito si esporrà in diritto, è scolpita
dall’appartenenza dei lavoratori della giustizia all’ordine giudiziario come
stabilito dalla legge (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) e dai tassativi precetti in
materia sanciti dalla costituzione (art. 108, comma 1 Cost.).

L’evidenziato appiattimento della specifica
professionalità posseduta dai ricorrenti, resa sostanzialmente irrilevante e
non adeguatamente valorizzabile ad opera dalla dinamica massificante della
contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, di carattere privatistico introdotta dalla privatizzazione del rapporto
di lavoro alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni, lede il diritto
degli istanti ad ottenere un regime retributivo proporzionato alla qualità
della prestazione resa garantita dall’art. 36, primo comma della Costituzione.

Recita l’art. 36, comma 1 della Costituzione «il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionale alla qualità e quantità
del suo lavoro …».

L’art. 36 Cost., comma 1,
per costante interpretazione della giurisprudenza lavoratistica,
è norma che possiede immediata efficacia precettava applicabile direttamente
nel rapporto di lavoro.

L’art. 36, comma 1 Cost. è uno dei massimi riferimenti
per tutti i lavoratori e garantisce il diritto al giusto salario.

La giurisprudenza è concorde da tempo nel ritenere
che l’art. 36 Cost, abbia un’applicazione «erga omnes», le sue disposizioni, cioè, si applicano a tutti i
lavoratori, non solamente a quelli iscritti a sindacato.

L’art. 36, comma 1 Cost. fa assurgere il diritto
alla retribuzione proporzionale alla qualità della prestazione al rango di
diritto fondamentale della persona e costituisce limite invalicabile
all’autonomia negoziale e tutela del lavoratore.

Il diritto alla giusta retribuzione proporzionata
alla qualità della prestazione nel sistema costituzionale assurge al rango di
diritto assoluto, vero e proprio pilastro, invalicabile da qualsiasi altra
fonte anche legale, compreso il diritto dei contratti.

Il principio della proporzionalità della
retribuzione alla qualità della prestazione è immanente nel contratto di lavoro
ed opera anche nei confronti delle amministrazioni pubbliche.

L’attuale pregiudizievole assetto del rapporto di lavoro
dei ricorrenti, regolamentato interamente da irragionevoli norme pattizie generiche, inoltre, non solo viola l’art. 36,
comma 1 Cost., che assicura agli istanti qualificata
pretesa soggettiva all’osservanza della prescrizione costituzionale, ma, lede
altresì l’interesse soggettivo altrettanto qualificato dei ricorrenti,
costituzionalmente protetto, a veder ragionevolmente disciplinato e
regolamentato il proprio speciale rapporto di lavoro alle dipendenze del
Ministero della giustizia ad opera di chiare, certe norme legislative primarie
contenenti coerenti e sistematici precetti, sul livello retributivo, sui
percorsi di carriera, sulle mansioni e sulle qualifiche.

In tale profilo la pretesa azionata dagli istanti è
radicata nell’art. 108, comma 1 della Costituzione che prescrive: «Le norme
sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge».

Il contenuto della prescrizione appare finalizzato
ad assicurare l’autonomia del potere giudiziario da ogni altro potere, ed in
particolare dal potere esecutivo.

Il precetto costituzionale ha stabilito in materia
il principio della riserva assoluta di legge che preclude l’introduzione di
disciplina sull’ordinamento giudiziario ad opera di fonti diverse dalla legge.

A ben vedere l’art. 108 Cost. sembrerebbe aver
stabilito una riserva rinforzata di legge per aver previsto non soltanto
l’obbligo di disciplinare in modo diretto con legge la materia riservata, ma
anche l’obbligo di conferire alla legge un contenuto specifico certo e prestabilito
(disciplina dell’ordinamento giudiziario).

La lettura logica e sistematica del precetto
costituzionale consente di affermare che la materia dell’«ordinamento
giudiziario» riguardi e comprenda non soltanto la regolamentazione
dell’esercizio della funzione giurisdizionale ad opera dei magistrati, ma
includa necessariamente anche la disciplina complessiva attinente
all’organizzazione dell’apparato servente l’assolvimento della funzione
giurisdizionale e alle tipicizzate competenze proprie
ed esclusive degli addetti alle strutture dell’organizzazione giudiziaria onde
garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e l’esercizio
neutrale della funzione giurisdizionale.

In tale ottica debbono essere disciplinate con legge
le posizioni lavorative dei soggetti che operano in intimo collegamento
organico con l’amministrazione della giustizia e comunque dei soggetti che a
vario titolo prestano servizio presso gli uffici appartenenti
all’organizzazione giudiziaria che concorrono all’attuazione della funzione
giudiziale.

Ne discende dal precetto costituzionale che la
privatizzazione del rapporto di lavoro del personale delle segreterie e
cancellerie giudiziarie, introdotto dal decreto legislativo n. 29/1993
confluito nel decreto legislativo n. 165/2001 e successive modificazioni si
configura come una grave forzatura ordinamentale per confliggere con il dianzi richiamato art. 108, comma 1
della Costituzione il quale, in termini ineludibili,
ha stabilito: «Le norme sull’ordinamento giudiziario sono stabilite con legge».

In senso tecnico l’ordinamento giudiziario è
costituito dall’insieme di tutte le norme istituzionalmente finalizzate a
regolare e organizzare il funzionamento degli organi che esercitano l’ufficio
giurisdizionale.

Al riguardo significativamente ha statuito il
vigente art. 3, comma 1 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 – Ordinamento
Giudiziario -: «ogni corte ed ufficio di conciliazione ha una cancelleria ed
ogni ufficio del pubblico ministero ha una segreteria.

L’ufficio di cancelleria o di segreteria può essere
costituito anche presso le sezioni distaccate di sui alla tabella B annessa al
presente ordinamento». Ed il comma 3 del medesimo art. 3, altrettanto
significativamente ha statuito «Il personale e gli uffici delle cancellerie e
segreterie giudiziarie … sono regolati da leggi particolari»”.

Non può quindi il rapporto di lavoro dei ricorrenti
essere disciplinato da fonti negoziali pattizie
totalmente privatistiche applicative del decreto
legislativo n. 165/2001 e successive modificazioni stante la riserva di legge
in materia stabilita dall’art. 108, comma 1 della Costituzione che affida
invece la disciplina del rapporto di lavoro alla legge primaria.

Dunque il vigente indiscriminato assetto pattizio della disciplina del rapporto lavorativo del
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie lede permanentemente da un
lato il diritto fondamentale dei ricorrenti, discendente direttamente dall’art.
36, comma 1 della Costituzione, diritto vivente, ad ottenere un apposito
trattamento retributivo parametrato effettivamente
alla qualità della prestazione di lavoro resa, e dall’altro, viola altresì il
diritto dei ricorrenti, discendente direttamente dall’art. 108, comma 1 della
Costituzione, a vedersi regolamentato il proprio rapporto di lavoro ad opera
della legge e non ad opera di atti meramente privatistici
inidonei all’adeguata valorizzazione della specifica professionalità posseduta
dal personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie.

Con il presente ricorso i ricorrenti propongono
azione per l’accertamento e la dichiarazione della violazione dei propri
diritti fondamentali di rango costituzionale.

L’azione di accertamento che gli interessati
propongono costituisce l’unica strada percorribile per la tutela
giurisdizionale dei propri diritti assoluti e fondamentali, costituzionalmente
protetti, a fronte dei dianzi illustrati ingiusti pregiudizi subiti e subendi ad opera della violazione permanente delle
precitate norme della Costituzione.

L’azione è conforme all’art. 24, comma 1 della Cost.
a mente del quale «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi» ed all’art. 111, comma l Cost. che, in garanzia
dell’effettività della tutela giurisdizionale, ha statuito: «la giurisdizione
si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge».

Allo stato la regolamentazione del rapporto di
lavoro dei ricorrenti è posta impropriamente dal contratto collettivo nazionale
di lavoro del comparto «Ministeri» 2006/2009 siglato il 14 settembre 2007, dal contratto
collettivo nazionale integrativo 2006/2009 del personale non dirigenziale del
Ministero della giustizia stipulato il 29 luglio 2010, come integrato dal
decreto ministeriale 9 novembre 2017 e dal recente C.C.N.L. del personale del
comparto delle funzioni centrali 2016/2018 stipulato il 23 dicembre 2017.

In precedenza la disciplina del rapporto di lavoro e
l’ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie era
contenuto in apposite leggi speciali coerenti e ragionevolmente sintoniche alla
specificità delle funzioni primarie ed esclusive del personale giudiziario
(legge 23 ottobre 1960, n. 1196, decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 1970, n. 1077, legge 28 ottobre 1970, n. 775, decreto del Presidente
della Repubblica 1° giugno 1972, n. 319).

La regolamentazione di dettaglio della categoria
professionale dei lavoratori del Ministero della giustizia appartenente al
ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie è stata introdotta dal
Contratto collettivo nazionale integrativo del personale non dirigenziale del
Ministero della giustizia 2006/2009 siglato il 29 luglio 2010 (alto privatistico).

Il contratto integrativo ha classificato il
personale giudiziario in tre aree professionali suddivise in profili
professionali.

Nella terza area sono inseriti i profili di
funzionario giudiziario e direttore amministrativo; nella seconda area i
profili di operatore giudiziario, assistente giudiziario e cancelliere; nella
prima area il profilo di ausiliario.

I ricorrenti appartengono ai profili di funzionario
giudiziario e direttore della terza area; di assistente giudiziario dì
cancelliere e di operatore giudiziario della seconda area; di ausiliario
giudiziario della prima area.

Come può leggersi nella declaratoria dei contenuti
professionali dei profili, i ricorrenti assolvono funzioni direttamente
connesse e rilevanti sia nel processo civile che in quello penale.

Il direttore dirige gli uffici di cancelleria e
rappresenta l’amministrazione; il funzionario giudiziario fornisce «collaborazione
qualificata alla giurisdizione compiendo tutti gli atti attribuiti dalla legge
alla competenza del cancelliere»; il cancelliere esplica «compiti di
collaborazione qualificato al magistrato nei vari aspetti connessi all’attività
di ufficio, anche assistendo nell’attività istruttoria o nel dibattimento, con
compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali»; l’assistente
giudiziario svolge «attività di collaborazione in compiti di natura giudiziaria
… e attività preparatoria o di formazione degli atti attribuiti alla
competenza della professionalità superiore, curando l’aggiornamento e la
conservazione di atti e fascicoli in relazione all’esperienza maturata in
almeno un anno di servizio gli stessi possono essere adibiti anche dell’assistenza
al magistrato nell’attività istruttoria o nel dibattimento con compiti di
redazione e sottoscrizione dei relati verbali»;
«l’operatore giudiziario svolge: «attività lavorative di collaborazione,
amministrativa e/o tecnica, ai processi organizzativi e gestionali connessi al
proprio settore di competenza. Personale che svolge attività di sorveglianza
degli accessi, di regolazione del flusso del pubblico cui forniscono
eventualmente le opportune indicazioni, di reperimento, riordino ed elementare
classificazione dei fascicoli, atti e documenti, dei quali curano ai fini
interni la tenuta e custodia, nonché attività d’ufficio di tipo semplice che
richieda anche l’uso di sistemi informatici, di ricerca ed ordinata
presentazione, anche a mezzo dei necessari supporti informatici, dei diversi
dati necessari per la formazione degli atti attributi alla competenza delle
professionalità superiori; lavoratori incaricati della custodia e della
vigilanza dei beni e degli impianti dell’amministrazione; lavoratori adibiti ad
una postazione telefonica con compiti di inoltrare le relative comunicazioni e
di fornire eventualmente le opportune indicazioni al pubblico. Lavoratori
addetti alla chiamata all’udienza»; il cancelliere: «lavoratori che, secondo le
direttive ricevute ed avvalendosi anche degli strumenti informatici in
dotazione all’ufficio, esplicano compiti di collaborazione qualificata al
magistrato nei vari aspetti connessi all’attività dell’ufficio, anche
assistendo nell’attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di
redazione e sottoscrizione dei relativi verbali»; l’ausiliario svolge:
«attività ausiliarie e di supporto ai processi organizzativi e gestionali del
proprio settore di competenza con l’ausilio degli strumenti in dotazione, anche
informatici. Lavoratori che svolgono le seguenti attività: di movimentazione
fascicoli, oggetti, documenti e materiale librario, fotocopiatura e
fascicolazione copie, ritiro e consegna corrispondenza, ricevimento al
pubblico»; l’assistente alla vigilanza « … collabora con le professionalità
superiori (direttore-funzionario giudiziario) nella gestione del personale
addetto alla vigilanza e custodia dei locali o alla conduzione di autoveicoli.
In tale ambito assicura la costante efficienza dei materiali e dei mezzi tramite
una puntuale gestione dei locali e degli automezzi. Svolge anche attività
preparatoria o di formazione degli atti attribuiti alla competenza della
professionalità superiore, curandone l’aggiornamento e la conservazione».

Con il decreto ministeriale del 9 novembre 2017 il
Ministero della giustizia ha di recente rimodulato il
profilo del funzionario giudiziario della III area che è ora tenuto: «Attività
di contenuto specialistico, con assunzione di compiti di gestione per la
realizzazione delle linee di indirizzo e degli obiettivi definiti dal
dirigente. Lavoratori che, nell’ambito di direttive di massima ed avvalendosi
anche degli strumenti informatici in dotazione all’ufficio forniscono una
collaborazione qualificata alla giurisdizione assicurando il presidio delle
attività che la legge attribuisce alla competenza del cancelliere esperto.
Lavoratori che svolgono attività di direzione di una sezione e reparto
nell’ambito degli uffici di cancelleria. Lavoratori che partecipano
all’attività didattica dell’amministrazione per le materie di competenza.

In relazione all’esperienza maturata in almeno sette
anni di servizio nel profilo, possono essere adibiti, su base volontaria, alle
attività connesse alla tutela dei crediti erariali e delle spese di giustizia,
anche coordinando le professionalità inferiori».

Con il medesimo decreto si è poi definita la figura
professionale del cancelliere esperto della II area cui compete:

«Lavoratori che, secondo le direttive ed avvalendosi
anche degli strumenti informatici in dotazione all’ufficio, esplicano compiti
di collaborazione qualificata al magistrato nei vari aspetti connessi
all’attività dell’ufficio, anche assistendolo nell’attività istruttoria o nel
dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali,
nonché di rilascio di copie conformi e di ricezione di atti, anche in modalità
telematica, e tutte le altre attività che la legge attribuisce al cancelliere
…».

Il sovra descritto mansionario
riflette in termini estremamente sintetici la complessa attività d’ufficio,
tipica e speciale, cui è tenuto il personale giudiziario all’interno del
processo civile e penale congiuntamente al magistrato.

Ed invero una sequenza di apposite norme processuali
cardine (c.p.a. e c.p.c.)
che, in schema di sintesi, di seguito si riportano, codifica le fasi ed il
rilievo giuridico nel processo riservate alla competenza imprescindibile del
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie che integra, in
dispiegamento di funzioni pubbliche, l’attività del magistrato nel corso del
processo, sin dal primo avvio e fino alla conclusione finale.

Riguardo i procedimenti giurisdizionali civili.

L’art. 57 codice di procedura civile affida al
cancelliere (pubblico funzionario) il dovere/obbligo d’ufficio di documentare
«a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività
proprie e quelle degli organi giudiziari e delle parti; di assistere il
giudice» in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale [126,
130, 44, 46 att.]; di stendere la scrittura e di apporre la sottoscrizione dopo
quella del giudice «quando il giudice provvede per scritto, salvo che la legge
disponga altrimenti».

L’art. 58 codice di procedura civile codifica le
ulteriori attività (doveri d’ufficio) del cancelliere con lo stabilire che il
cancelliere (pubblico funzionario) «Attende al rilascio delle copie ed estratti
autentici dei documenti prodotti, all’iscrizione delle cause a ruolo, alla
formazione del fascicolo di ufficio [168] e alla conservazione di quelli delle
parti, alle comunicazioni [136] e alle notificazioni prescritte dalla legge o
dal giudice, nonché alle altre incombenze che la legge gli attribuisce».

L’art. 136 codice di procedura civile disciplina le
comunicazioni e le notificazioni attinenti al processo a mente del quale: «il
cancelliere con biglietto di cancelleria (45 att.) fa le comunicazioni
(133,134) che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero
(71), alle parti (170, 176, 280, 292, 308, 377,485,538, 176 att.), al consulente
(192), agli altri ausiliari del giudice (68) e ai testimoni, e dà notizia di
quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge tale forma abbreviata di
comunicazione.

Il biglietto è consegnato dal cancelliere al
destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta
elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare,
concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti
informatici. Salvo che la legge disponga diversamente se non è possibile
procedere ai sensi del comma che precede, il biglietto viene trasmesso a mezzo
telefax, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica».

Pregnante l’art. 168 codice di procedura civile che
affida al cancelliere ed agli uffici di cancelleria la funzione essenziale
dell’iscrizione delle cause a ruolo e la formazione e della tenuta del
fascicolo d’ufficio.

Prescrive al riguardo l’art. 168 all’atto della
costituzione dell’attore, o, se questo non si è costituito, all’atto della
costituzione del convenuto [166], su presentazione della nota di iscrizione a
ruolo [71 att.] il cancelliere iscrive la causa al ruolo generale.

Contemporaneamente il cancelliere forma il fascicolo
di ufficio [36 att.] nel quale inserisce la nota di iscrizione a ruolo, copia
dell’atto di citazione [51 att.], delle comparse e delle memorie in carta non
bollata [73 att.] e, successivamente, i processi verbali d’udienza [126], i
provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e copia del dispositivo delle
sentenze.

Dalle citate norme processuali emerge palese là coessenzialità dell’attività del personale di cancelleria a
quella condotta dal magistrato cui compete l’obbligo sostanziale di assistere
il giudice monocratico o collegiale in ogni fase
processuale onde assicurare e garantire la piena validità sostanziale e formale
del processo.

I verbali sottoscritti dal cancelliere e
dall’assistente giudiziario (processo verbale) documentano gli atti e le
attività condotte nel corso del processo e fanno pena prova fino alla querela
di falso.

E’ significativa la frase che accompagna
inscindibilmente la fase conclusiva di ogni rito o provvedimento secondo cui il
giudice «manda alla cancelleria per gli adempimenti». E’ altrettanto
significativo l’art. 60 del c.p.c. che sanziona pregnantemente la responsabilità personale diretta del
cancelliere per le pubbliche funzioni esercitate con lo statuire che: «il
cancelliere e l’ufficiale giudiziario sono civilmente responsabili (28 Cost.; 2043 ss.cc.): 1) quando,
senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente
richiesti oppure omettono di compierli nel termine (328 c.p.) che, su istanza
di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati
delegati; 2) quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave (162²).

Riguardo il processo penale.

Art. 126, codice di
procedura civile: «Assistenza al giudice» Il giudice in tutti gli atti ai quali
procede, è assistito dall’ausiliario a ciò designato a norma dell’ordinamento,
[1 reg.] se la legge non dispone altrimenti».

Art. 1 del decreto
ministeriale 30 settembre 1989, n. 334 – Regolamento per l’esecuzione del
codice di procedura penale; «I compiti che il codice, le norme di attuazione e
il presente regolamento attribuiscono all’ausiliario, al funzionario di
cancelleria, al pubblico ufficiale, alla cancelleria o segreteria si intendono
attribuiti al personale di cancelleria e segreteria secondo le mansioni
ciascuno spettanti a norma delle disposizioni sullo stato giuridico. Il
dirigente dell’ufficio di cancelleria o di segreteria con ordini di servizio,
ripartisce i compiti fra il personale in modo di assicurare la continuità e
l’efficienza del servizio».

Art. 2 del decreto
ministeriale 30 settembre 1989, n. 334 – Regolamento per l’esecuzione del codice
di procedura penale: «gli uffici giudiziari tengono, nella materia penale, i
registri obbligatori conformi ai modelli approvati con decreto del Ministro di
grazia e giustizia. Possono altresì tenere registri sussidiari, senza carattere
ufficiale, che ritengono utili.

I registri non devono presentare alterazioni o
abrasioni. Se occorre eseguire cancellature, le stesse sono fatte in modo da
lasciare leggere le parole cancellate [48 att.].

I registri sono tenuti in luogo non accessibile al
pubblico e possono essere consultati solo dal personale giudiziario».

Discende dalle dianzi riportate norme processuali
che il personale operante nelle cancellerie dei tribunali penali e nelle
segreterie giudiziarie delle Procure della Repubblica presso i tribunali ha il
compito di documentare e certificare tutte le attività del giudice e del
pubblico ministero. In particolare compete a detto personale:

collaborazione diretta e qualificata al magistrato,
assistendolo nelle attività di udienza e provvedendo alla redazione e
sottoscrizione dei verbali;

autenticazione, rispetto agli atti formati dal
giudice;

imprime il sigillo della ufficialità e della
legalità;

documentazione delle attività proprie, quelle degli
organi giudiziari e delle parti;

assistenza nella formazione degli atti del giudice e
sottoscrizione dei provvedimenti giudiziali;

ricezione di ogni dichiarazione di parte, relativa
al processo penale, che non debba per legge essere resa al giudice
(costituzione di parte civile, dichiarazione ed elezione di domicilio,
impugnazione di provvedimenti) e di ogni ricorso o istanza diretta all’autorità
giudiziaria in materia penale o civile;

esecuzione di avvisi, comunicazioni e notifiche alle
parti e agli altri soggetti interessati;

rilascio di copie e estratti autentici dei documenti
prodotti;

provvedere alle comunicazioni e alle notificazioni
prescritte dalla legge o dal giudice;

provvedere all’aggiornamento e alla corretta
conservazione di atti e fascicoli;

svolgimento, su provvedimento del pubblico
ministero, gli adempimenti per l’esecuzione delle sentenze di condanna;

apposizione delle cosiddette apostille
agli atti amministrativi o giudiziari provenienti da ordinamenti esteri;

ricezione del giuramento di perizie stragiudiziali e
di stime fallimentari;

ricezione degli atti di notori, rilascio di copie,
estratti e certificati;

legalizzazione delle firme;

registrazione, custodia e vendita dei corpi di reato
e le altre operazioni conseguenti alla confisca di cose sequestrate, non
vendibili;

vendita all’incanto, in alternativa con l’ufficiale
giudiziario, dei beni mobili pignorati;

vendita all’incanto dei beni mobili di minori
interdetti e inabilitati;

pubblicazione e comunicazione delle sentenze;

rimozione dei sigilli e formazione dell’inventario;

ricezione di cauzioni in materia civile e penale;

recupero delle spese di giustizia in materia penale
e nella riscossione delle pene pecuniarie;

emissione di ordini di pagamento di spese di
giustizia anticipate dall’erario: indennità a testimoni, periti, interpreti
etc. e nella tenuta del registro (mod. 12);

scansione dei tempi per l’esecuzione dei
provvedimenti nel rispetto delle norme vigenti.

Le sovraevidenziate
funzioni processuali, di esclusiva competenza del ricorrente personale
giudiziario evidenziano che l’attività dispiegata presso le segreterie e
cancellerie giudiziarie concorre all’attuazione della funzione giurisdizionale
ovverosia all’applicazione del diritto al caso concreto.

In altri termini il personale giudiziario integra la
funzione giurisdizionale esercitata dai magistrati con una serie di atti
strutturalmente connessi alla concreta realizzazione della giurisdizione.

Per siffatta connotazione istituzionale delle
competenze e delle funzioni d’ufficio il personale delle cancellerie e
segreterie giudiziarie possiede ed è titolare di proprio speciale «status»
giuridico che lo distingue rispetto alla generalità dei pubblici dipendenti la
cui attività, a differenza dei primi, è condotta per la realizzazione della
funzione esecutiva do amministrativa e non per la realizzazione della funzione
giurisdizionale.

Riguardo il personale, delle cancellerie e
segreterie giudiziarie il comma 3 dell’art. 4, regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12, ha lapidariamente statuito: «il personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie di ogni gruppo e grado fa parte
dell’ordine giudiziario».   La norma ha
nettamente separato e distinto il personale giudiziario dal personale meramente
amministrativo delle pubbliche amministrazioni. Ed invero soltanto il personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie appartiene all’ordine giudiziario.

E’ significativo inoltre che il comma 3 dell’art. 4
sia sistematicamente inserito nell’art. 4 laddove il primo comma dello stesso
art. 4 ha statuito: «l’ordine giudiziario è costituito dagli uditori, dai
giudici di ogni grado dei tribunali e delle corti e dai magistrati del pubblico
ministero».

Le richiamate norme, in congiunta lettura, hanno
unitariamente e chiaramente individuato l’insieme dei soggetti, ciascuno per
quanto di competenza, appartenenti all’ordine giudiziario in quanto chiamati
all’attuazione della funzione giurisdizionale, vale a dire il personale
appartenente ai ruoli della magistratura ed il personale appartenente ai ruoli
delle cancellerie e segreterie giudiziarie.

Le norme in commento sono collocate nell’ambito
della ampia disciplina sull’ordinamento giudiziario contenuta nel regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12 e successive modificazioni che regolamenta il
funzionamento e l’organizzazione degli organi e degli uffici deputati
all’Amministrazione della giustizia.

Al riguardo il regio decreto n. 12/1941, titolo
primo – Disposizioni generali – capo I dopo aver definito all’art. 1, comma 1,
le autorità (organi) alle quali è affidata l’Amministrazione della giustizia in
materia civile e penale (giudice di pace, Tribunale ordinario, Corte di
appello, Corte di cassazione, Tribunale dei minorenni, magistrato di
sorveglianza, Tribunale di sorveglianza, ufficio del pubblico ministero), ha
significativamente e sistematicamente stabilito all’art. 3, primo comma che
«ogni corte, tribunale ed ufficio di conciliazione ha una cancelleria ed ogni
ufficio del pubblico ministero ha una segreteria. L’ufficio di cancelleria e di
segreteria può essere costituito anche presso le sezioni distaccate di cui alla
tabella 3 annesso al presente ordinamento».

Altrettanto significativamente il comma 3 dello
stesso art. 3 prescrive che: «il personale e gli uffici delle cancellerie e
segreterie giudiziarie … sono regolati da leggi particolari».

L’ordito normativo in commento (norme
sull’ordinamento giudiziario) ha disciplinato unitariamente l’organizzazione
dell’apparato giudiziario al quale appartengono i ricorrenti, essendo palese
l’inscindibile connessione strutturale stabilita dalla legge tra le cancellerie
e segreterie giudiziarie ed ogni corte, tribunale ed ufficio di conciliazione
ed ogni ufficio del pubblico ministero.

Ne deriva, alla luce delle sistematiche osservazioni
in fatto ed in diritto in precedenza dispiegate, che il rapporto di lavoro dei
ricorrenti non può essere assoggettato al regime privatistico
introdotto dal decreto legislativo n. 165/2001 che preclude in radice la
valorizzazione giuridica ed economica della prestazione del lavoro resa
all’amministrazione della giustizia.

In tutela dei propri intangibili interessi
professionali i ricorrenti prospettano il contrasto del regime giuridico del
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie con l’art. 108, comma 1 Cost., con l’art. 36 e 1 Cost. e con l’ari. 3, comma 1
Cost. per i motivi di diritto che di seguitosi dispiegano».

3. Sulla base di tali premesse e assunti, la parte
ricorrente ha eccepito, rispetto alla vigente normativa di rango primario, gli
asseriti profili di illegittimità costituzionale di cui appresso.

Per un primo gruppo di questioni ha assunto a
parametro di verifica della legittimità costituzionale della legge vigente
l’art. 108, primo comma, della Costituzione.

Tali questioni sono state formulate dalla parte
ricorrente come segue.

«Violazione del comma 1 dell’art. 108 della
Costituzione.

L’evidenziata appartenenza dei ricorrenti all’ordine
giudiziario, sia in profilo di speciale “status” a mente del citato
comma 3 dell’art. 4 del regio decreto n. 12/1941 (il personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie di ogni gruppo e grado fa parte
dell’ordine giudiziario), che in profilo organizzativo, per essere i ricorrenti
addetti alle cancellerie e segreterie giudiziarie, uffici questi operanti in
sinergia e diretto supporto con la magistratura ai fini dell’attuazione della
funzione giurisdizionale, preclude l’assoggettazione
del personale giudiziario al regime generale della privatizzazione del rapporto
del personale alla dipendenza delle amministrazioni pubbliche introdotto dal
decreto legislativo n. 29/1993 e successive modificazioni poi confluite nel
decreto legislativo 30 marzo 2001, n 165.

Il regime privatistico
infatti, per venire a determinare la regolamentazione del rapporto di lavoro
dei ricorrenti con atti collettivi negoziali; confligge
recta via con l’art. 108, comma 1 della Costituzione
che, riguardo alla materia dell’organizzazione del potere giurisdizionale e/o
della funzione giurisdizionale (ordinamento), ha stabilito: “Le norme
sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con
legge”. Nell’ambito dell’area precettiva della
norma costituzionale sono indubbiamente attratte le norme dirette a
regolamentare il rapporto di lavoro del personale delle cancellerie e
segreterie giudiziarie in quanto anche esse preordinate a disciplinare il
funzionamento dell’istituzione giurisdizionale nel suo complesso.

Non è dubitabile che l’ordinamento giudiziario sia
formato dall’insieme delle norme che regolano la costituzione ed il
funzionamento degli uffici giudiziari.

Ne deriva pertanto il conflitto con il primo comma
dell’art. 108 Cost. delle norme di cui al decreto legislativo n. 165/2001 nella
parte in cui hanno disposto la privatizzazione del rapporto di lavoro anche nei
confronti del ricorrente personale delle segreterie e cancellerie giudiziarie e
la rimessione della disciplina di ogni aspetto dello
“status” economico-giuridico alla negoziazione collettiva, mentre
tutta la materia deve essere regolata dalla legge primaria in quanto materia
riguardante l’ordinamento giudiziario.

Al riguardo il comma 1 dell’art. 108 della
Costituzione ha posto la regola intangibile della riserva di legge. La norma
costituzionale nello stabilire che “le norme sull’ordinamento giudiziario
… sono stabilite con legge” ha prescritto che la disciplina della materia
in questione debba essere regolata dalla sola legge primaria, vale a dire
esclusivamente ad opera della legge formale approvata dal parlamento.

La regola costituzionale, riguardo al personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie, impedisce al legislatore di
disporre che la materia possa essere disciplinata da atti e/o fonti
appartenenti ad un livello gerarchico (gerarchia delle fonti) inferiore alla
legge e per l’effetto ogni altra fonte diversa dalla legge è incompetente a
regolare la materia in questione.

La riserva di legge stabilita dal comma primo
dell’art. 108 Cost. è riserva assoluta rinforzata per aver stabilito la
costituzione il contenuto della legge nel senso che le norme in tema di
ordinamento giudiziario debbano essere esclusivamente stabilite con legge
primaria (contenuto della legge).

Le dianzi dispiegate prospettazioni
sulla vigente riserva assoluta di legge in materici
di ordinamento giudiziario ex art. 108, comma 1 Cost. offrono fondato sospetto
di illegittimità costituzionale della sequenza normativa contenuta nel decreto
legislativo n. 165/2001 che ha assoggettato la regolamentazione del rapporto di
lavoro del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie al regime privatistico.

Si appalesano pertanto
affette da vizio di costituzionalità per conflitto con il comma 1 dell’art. 108
Cost., nella parte in cui determinano l’applicabilità
al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie del regime privatistico:

1) l’art. 2, comma 2 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, secondo cui: “i rapporti di lavoro dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo
I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute
nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo.
Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che
abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia
limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi,
possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva
ai sensi dell’art. 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal
presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per
la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili”.

Le riferite prescrizioni, laddove vengono a
prevederle la generalizzata applicazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche delle disposizioni del capo I, titolo II, del
libro V del codice civile e delle leggi sul rapporto di lavoro subordinato
nell’impresa sono inapplicabili al personale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie che appartiene all’ordine giudiziario. Diversamente, stante la
riserva assoluta di legge ex art. 108, comma 1 Cost.,
il rapporto di lavoro dei ricorrenti deve essere necessariamente disciplinato
da apposita specifica legge primaria. Ed invero, deve ribadirsi che in materia
prescrive ineludibilmente il comma l dell’art. 108
Cost. “le norme sull’ordinamento giudiziario … sono stabilite con
legge”.

2) L’art. 2, comma 3 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n 165, secondo cui: “I rapporti individuali di lavoro di cui
al comma 2 sano regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono
stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente
decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all’art.
45, comma 2. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire
esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma
3-ter e 3- quater dell’art. 40 e le ipotesi di tutela
delle retribuzioni di cui all’art. 47-bis o, alle condizioni previste, mediante
contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti
amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da
contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore dal
relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in
godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai
contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le
risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.

Le prescrizioni, nel prevedere la regolamentazione
contrattuale dei rapporti di lavoro individuali in aderenza ai contratti
collettivi di lavoro e l’attribuzione del trattamento economico esclusivamente
mediante contratti collettivi è inapplicabile al personale delle cancellerie e
segreterie giudiziarie che, diversamente, agli effetti della insuperabile
riserva assoluta di legge ex art. 108, comma 1 Cost. deve essere
obbligatoriamente regolamentato con legge primaria di natura pubblicistica e
che regoli unilateralmente il trattamento economico, le qualifiche, il percorso
di carriera e la costituzione del rapporto di lavoro con atti unilaterali
dell’amministrazione.

3) L’art. 3, primo comma del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, a mente del quale: “In deroga all’art. 2, commi 2 e 3,
rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari,
amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il
personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della
carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli
enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e
dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni,
e 10 ottobre 1990, n. 287”.

La prescrizione in commento, nell’escludere il
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie dalle categorie del
personale in regime di diritto pubblico, confligge
irragionevolmente con l’art. 108, comma 1 Cost. che tassativamente impone la
permanenza in regime pubblicistico del personale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie che concorre all’attuazione della funzione pubblica giurisdizionale
nel quadro delle norme sull’ordinamento giudiziario oggetto di riserva di legge
assoluta e rinforzata.

4) L’art. 51, primo comma del decreto legislativo 30
marzo 2001, a mente del quale: “Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli arti. 2,
commi 2 e 3, e 3, comma 1”.

La sovrariportata
prescrizione, nel ribadire con precetto di chiusura l’assoggettamento del
rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche al regime privatistico stabilito dai richiamati articoli 2, commi 2 e
3 e 3, comma 1 è viziata per diretto contrasto con l’art. 108, comma 1 Cost., che, diversamente, alla luce di quanto in precedenza
esposto e dedotto, esclude il personale delle cancellerie e segreterie
giudiziarie del regime privatistico introdotto dal
decreto legislativo n. 165/2001 dovendosi osservare il comma 1 dell’art. 108
Cost. secondo cui le norme sull’ordinamento giudiziario sono stabilite con
legge.

5) Discende dalla ripetutamente rilevata effrazione
dell’art. 108, comma 1 della Costituzione il vizio di costituzionalità che,
relativamente al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, inficia
le prescrizioni del decreto legislativo n. 165/2001 regolatrici in dettaglio
dei procedimenti di contrattazione collettiva privatistica
del rapporto di lavoro del personale dipendente dalle amministrazioni
pubbliche. La questione di costituzionalità riguarda: l’art. 40, comma 1 del
decreto legislativo n. 165/2001, primo periodo, laddove prescrive: “la
contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni
sindacali con le modalità previste dal presente decreto”; l’art. 40, comma
2 del decreto legislativo n. 165/2001, primo periodo laddove prescrive:
“Tramite appositi accordi tra l’ARAN e le confederazioni rappresentative
secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5 e 47, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino ad un massimo di
quattro comparti contrattazione collettiva …”; l’art. 45, comma 1 del
decreto legislativo n. 165/2001, secondo cui “Il trattamento fondamentale
ed accessorio fatto salvo quanto previsto dall’art. 40, commi 3-ter e 3-quater,
e dall’art. 47-bis, comma 1, è definito dai contratti collettivi”.

Le richiamate prescrizioni, nel rimettere la
disciplina del rapporto di lavoro del personale giudiziario a fonti
strettamente privatistiche, contrastano palesemente
con l’art. 108, comma 1 Cost. che ha riservato alla legge primaria la
competenza a porre la regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti
appartenenti all’ordinamento giudiziario.

Il chiaro precetto costituzionale non ammette nella
materia competenze normative alternative e/o sostitutive.

Le prospettate questioni di costituzionalità
dispiegate nei confronti dei commi 2 e 3 dell’art. 2 del decreto legislativo n.
165/2001, del primo comma dell’art. 3 del decreto legislativo n. 165/2001, del
primo comma dell’art. 51 decreto legislativo n. 165/2001, del primo comma,
primo periodo dell’art. 40 del decreto legislativo n. 165/2001, del secondo
comma, primo periodo dell’art. 40 del decreto legislativo n. 165/2001, del
primo comma, dell’art. 45 del decreto legislativo n. 165/2001 appaiono non
manifestamente infondate e rilevanti affini della decisione nel merito del
ricorso atteso che, ove le impugnate prescrizioni del decreto legislativo n.
165/2001 dovessero essere ritenute conformi alla Costituzione, il presente
ricorso dovrebbe essere respinto. Deve di conseguenza disporsi la sospensione
del giudizio e la remissione degli atti all’esame della Corte costituzionale ai
fini del controllo della legittimità costituzionale delle impugnate norme del
decreto legislativo n. 165/2001 che illegittimamente comprimono il fondato
diritto e la fondata pretesa dei ricorrenti a veder regolamentato dalla legge
primaria ogni aspetto giuridico ed economico del proprio rapporto di lavoro
conformemente ai dettami dell’art. 108, comma 1 Cost.».

4. Per un secondo gruppo di questioni – che pure
investono gli stessi articoli 40 e 45, nelle loro rispettive parti già citate –
sono stati assunti, invece, a parametro di costituzionalità gli articoli 36,
primo comma, e, in parte, 3, primo comma, della Costituzione, nonché i connessi
principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Esse sono state formulate dalla parte ricorrente
come segue.

«Violazione art. 36, comma l Cost. Violazione art.
3, comma 1 Cost.

La specificità della categoria del personale
giudiziario non dirigenziale appartenente ai ruoli del Ministero della
giustizia ed addetto ai compiti d’ufficio facenti capo al personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie onde assicurare il buon funzionamento
dell’apparato organizzativo preordinato all’attuazione della funzione
giurisdizionale, comporta che la prestazione lavorativa resa abbia un contenuto
professionale di alta qualificazione unico nel suo genere.

Ed invero, la funzione integrativa dell’attività del
giudice in concorso con esso, che compete al ricorrente personale alla stregua
delle puntuali norme del processo civile e del processo penale in precedenza
illustrate, comporta che la determinazione del regime del trattamento
retributivo spettante non possa essere equamente definito unitamente a quello
del personale meramente amministrativo delle pubbliche amministrazioni con lo
strumento della generalizzata negoziazione collettiva nazionale privatistica.

Si ribadisce che il ricorrente personale è
strumentale ed essenziale alla realizzazione in concreto della giurisdizione.

Siffatta circostanza implica che il regime
retributivo dei ricorrenti debba essere stabilito in applicazione di appositi autonomi
parametri di valutazione e di giudizio che certamente e secondo ragione non
possono essere riconducibili a quelli sinora applicati, stante la strutturale
differenziazione delle funzioni e dei compiti d’ufficio e delle responsabilità
proprie ed esclusive del ricorrente personale giudiziario.

Allo stato la retribuzione corrisposta alle varie
qualifiche del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, parificate
forzosamente dagli accordi collettivi in vigore a quello del personale
meramente amministrativo, delle pubbliche amministrazioni non è idonea ad
adeguatamente remunerare la prestazione lavorativa del personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie che è qualificato nell’intrinseco
dall’elevata capacità professionale richiesta ed occorrente per l’adempimento
dei tipici ed compiti di ufficio presso le cancellerie e segreterie giudiziarie
comportanti responsabilità dirette e personali.

In siffatta prospettazione
l’inadeguato trattamento retributivo riservato dall’ordinamento al personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie confligge
con il comma 1 dell’art. 36 della Costituzione che assicura al lavoratore il
diritto “ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità
del suo lavoro”.

Il comma l dell’art. 36 Cost. ha carattere precettivo di immediata applicazione. L’art. 36, comma 1
Cost. disciplina un diritto costituzionale della persona vale a dire un diritto
assoluto della personalità inviolabile ad opera di qualsivoglia fonte legale regolativa del rapporto di lavoro . In quanto diritto
inviolabile della persona nel lavoro il diritto “ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità” della prestazione sostanzia un
diritto fondamentale irrinunciabile.

L’art. 36 Cost., per
concorde giurisprudenza ha un’applicazione “erga omnes“.
L’art. 36, comma 1 Cost. si
applica anche al rapporto di pubblico impiego.

Ne consegue che il rilevato appiattimento
retributivo che colpisce ingiustamente i ricorrenti lavoratori della giustizia
addetti alle cancellerie e segreterie giudiziarie offre fondato sospetto di
incostituzionalità per contrasto con l’art. 36, comma 1 Cost. di una serie di
norme contenute nel decreto legislativo n. 165/2001, che per la complessiva
strutturazione, nel regolamentare il regime contrattuale del personale alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, precludono il conferimento al
personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie di un appropriato regime
retribuivo logicamente e sinallagmaticamente
proporzionato alla elevata qualità dell’attività lavorativa prestata.

Trattasi: dell’art. 40, comma 1 del decreto
legislativo n. 165/2001, primo periodo, laddove con precetto di portata
generale ed indistinta prescrive: “la contrattazione collettiva disciplina
il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali con le modalità previste dal
presente decreto; dell’art. 40, comma 2 del decreto legislativo n. 165/2001,
primo periodo, laddove, sempre con precetto di portata generale ed indistinta,
prescrive: “Tramite appositi accordi tra l’ARAN e le confederazioni
rappresentative secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5 e 47,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino ad un
massimo di quattro comparii di contrattazione collettiva …”; dell’art.
45, comma 1 del decreto legislativo n. 165/2001 secondo cui “Il
trattamento fondamentale ed accessorio fatto salvo quanto previsto dall’art.
40, commi 3-ter e 3-quater e dall’art. 47-bis, comma 1, è definito dai
contratti collettivi”.

Le riferite prescrizioni non lasciano spazio alcuno
per consentire apposita valorizzazione alla specifica qualità della prestazione
lavorativa presso le cancellerie e segreterie giudiziarie.

Ed invero, in applicazione delle norme in esame del
decreto legislativo n. 165/2001, si è stipulato l’Accordo collettivo nazionale
quadro 13 luglio 2016 per la definizione “dei comparti e delle aree di
Contrattazione collettiva nazionale”. L’art. 2 dell’accordo
“Determinazione dei compili di contrattazione collettiva” ha
stabilito che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche dovessero aggregarsi
nei comparti di contrattazione collettiva: A) Comparto delle funzioni centrali,
B) Comparto delle funzioni locali, C) Comparto dell’istruzione e della ricerca,
D) Comparto della sanità. L’art. 3, con prescrizione omnicomprensiva ha incluso
nel Comparto di contrattazione collettiva delle funzioni centrali il ricorrente
personale dei ministeri nell’ambito del quale è incluso anche il personale non
dirigenziale del Ministero della giustizia.

Il successivo C.C.N.L. 23 dicembre 2017 relativo al
personale del Comparto funzioni centrali triennio 2016-2018, nonostante la
specificità delle funzioni proprie del personale giudiziario e l’elevata
qualità della prestazione professionale resa, ha assoggettato i ricorrenti al
medesimo trattamento retributivo stabilito per il personale ministeriale
addetto a mansioni meramente amministrative.

E’ dunque palese l’effrazione del comma 1 dell’art.
36 Cost., atteso che, nella specie, le dianzi
riportate norme del decreto legislativo 165/2001, e gli accordi collettivi di
esse applicativi in conformità ad esse, escludono qualsivoglia riconoscimento
e/o considerazione in termini economici riguardo il ricorrente personale
nonostante la ben distinta posizione giuridica, qualificazione professionale e
responsabilità tipiche dei dipendenti pubblici appartenente ai ruoli delle
cancellerie e segreterie giudiziarie (personale che concorre all’attuazione
della finzione giurisdizionale).

E’ peraltro sintomatico della fondatezza della
denunziata violazione dell’art. 36 Cost. il differenziato regime riservato
dall’ordinamento al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Riguardo tale personale il comma 3 dell’art. 74 del decreto legislativo 27
ottobre 2009, n. 150, ha stabilito tra l’altro che “con uno o più decreti
del Presidente del Consiglio dei ministri sono determinati in attuazione
dell’art. 2, comma 5, della legge 4 marzo 2009, n. 15, limiti e modalità di
applicazione delle disposizioni, anche inderogabili, del presente decreto alla Presidenza
del Consiglio dei ministri, anche con riferimento alla definizione del comparto
di contrattazione collettiva, in considerazione della peculiarità del relativo
ordinamento, che discende dagli articoli 92 e 95 della Costituzione …”.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 5 novembre 2010, n. 226, la Presidenza del Consiglio al comma 1
dell’art. 3 (disposizioni in materia di contrattazione collettiva nazionale) ha
stabilito: l’ARAN, in base alle disposizioni impartite dal Presidente del
Consiglio dei ministri attiva una distinta ed autonoma contrattazione a livello
nazionale per il personale dirigenziale e non, del comparto autonomo di
contrattazione collettiva della Presidenza del Consiglio dei ministri”.

Agli effetti delle surrichiamate
prescrizioni il personale della Presidenza gode di apposita contrattazione
autonoma e separata (comparto autonomo) che consente di valorizzare il lavoro
prestato, e ciò in ragionevole considerazione, come specificato e giustificato
dalla legge “della peculiarità del relativo ordinamento che discende dagli
articoli 92 e 95 della Costituzione”. In buona sostanza l’ordinamento, nel
prevedere l’introduzione di una distinta e autonoma contrattazione in favore
dei pubblici dipendenti della Presidenza ha riconosciuto la specificità della
prestazione perché il personale concorre alla concreta diretta attuazione delle
funzioni costituzionali, di cui agli articoli 92 e 95 Cost. (funzioni di
Governo) e di conseguenza ha ragionevolmente osservato l’art. 36, comma 1 della
Cost. venendo ad assicurare ad essi un regime retributivo proporzionato alla
qualità del lavoro prestato.

Orbene la posizione giuridica dei ricorrenti, è
identica nella sostanza a quella del personale della Presidenza del Consiglio
atteso che il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie concorre al
pari del personale della Presidenza alla realizzazione di funzioni di rilievo
costituzionale a mente degli articoli da 101 a 113 della Costituzione
(attuazione della giurisdizione) e, tuttavia, nonostante la rilevata parità di
situazione di diritto e di fatto l’ordinamento vigente alcun specifico rilievo
riconosce al personale giudiziario.

Da quanto considerato sul punto ne deriva pertanto
evidente, non soltanto la denunziata violazione dell’art. 36, comma 1 Cost., ma anche la violazione del principio di
ragionevolezza e di eguaglianza innanzi alla legge scolpito dall’art. 3 della
Costituzione che vizia il comma 3 dell’art. 74 del decreto legislative n.
150/2009 per non aver previsto la norma, in favore del personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie, lo stesso beneficio giuridico del
comparto autonomo di Contrattazione collettiva nazionale riconosciuto in
manifesta disparità di trattamento al solo personale della Presidenza del
Consiglio dei ministri pur essendo identica la natura della prestazione di
lavoro connotata in entrambe le ipotesi di attività preordinata all’attuazione
diretta di norme costituzionali.

Le prospettate questioni di costituzionalità per
conflitto “in parte qua” con gli articoli 36, comma 1 e 3, comma 1
Cost. dispiegate nei confronti del primo comma, primo periodo e secondo comma,
primo periodo dell’art. 40 del decreto legislativo n. 165/2001 e del primo
comma dell’art. 45 dello stesso decreto legislativo n. 165/2001 e del terzo
comma dell’art. 74 del decreto legislativo n. 150/2009 appaiano non
manifestamente infondate e rilevanti ai fini della decisione nel merito del
ricorso. Deve di conseguenza disporsi la sospensione del giudizio e la
remissione degli atti all’esame della Corte costituzionale ai fini del
controllo della legittimità costituzionale delle impugnate norme del decreto
legislativo n. 165/2001 e del decreto legislativo n. 150/2009, che
illegittimamente comprimono il fondato diritto e la fondata pretesa dei
ricorrenti a veder regolamentato il regime retributivo del proprio rapporto di
lavoro conformemente ai dettami dell’art. 36, comma 1 Cost. e dall’art. 3,
comma 1 Cost.».

5. Ulteriormente, la parte ricorrente ha infine
argomentato come appresso riportato.

«Sulla specialità dello “status” della
categoria del personale delle cancellerie e segreterie.

A corollario dei motivi di diritto in precedenza
dispiegati deve evidenziarsi che nei confronti del ricorrente personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie l’art. 1 del decreto legislativo 1°
dicembre 2009, n. 179 – “disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio
1970 di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma
dell’art. 14 della legge 29 novembre 2005, n. 246” – ha statuito l’esigenza
dell’indispensabile mantenimento in vigore dell’ordinamento del personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie disciplinato dalla legge 23 ottobre 1960,
n. 1196 (all. 1 al decreto legislativo n. 179/2005, al n. 1686, articoli da 1 a
42, articoli da 48 a 182 + tabelle allegate).

Come può leggersi nel testo della legge n. 1196/1960
gli articoli da 1 a 42 regolamentano le carriere e le qualifiche del personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie. In particolare l’art. 1 distingue
il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie in carriera direttiva e
di concetto, e soprattutto il comma 2 dell’art. 1 statuisce: il personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie fa parte dell’Ordiramento
giudiziario.

La norma è sintonica all’art. 108, comma 1 della
Costituzione che ha stabilito: “le norme sull’ordinamento giudiziario e su
ogni magistratura sono stabilite con legge”.

Il vigente comma 2 dell’art. 1 della legge n.
1196/1960, norma speciale, non è superata né abrogata dalla contestata
privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti e, per
l’effetto, preclude l’applicazione rigida del decreto legislativo n. 165/2001
al ricorrente delle cancellerie e segreterie giudiziarie.

Ne consegue che a norma del comma 2 dell’art. 1
della legge n. 1196/1960 gli istanti appartengono ineludibilmente
all’ordinamento giudiziario con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di
stato giuridico ed economico.

 In siffatta prospettazione con il presente atto i ricorrenti propongono
domanda di accertamento e dichiarazione dell’appartenenza del personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie all’Ordinamento giudiziario».

Si è costituita in giudizio il Ministero della
giustizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri resistendo alle avverse
domande e chiedendone il rigetto formulando. le seguenti conclusioni: «Voglia
codesto Ill.mo Tribunale di Roma, in accoglimento
delle difese svolte dalla scrivente difesa, e contrariis
reiectis: in via preliminare, accertare e dichiarare
il proprio difetto di giurisdizione, essendo il ricorso diretto a censurare
l’esercizio e/o il mancato esercizio del potere legislativo;

in subordine, accertare e dichiarare il proprio
difetto di competenza per materia a statuire sulle domande di cui
all’avversario ricorso, non riguardando il caso di specie alcuna della
controversia di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura
civile;

in via ulteriormente subordinata, accertare e
dichiarare il difetto di legittimazione passiva di entrambe le PPAA resistenti
Ministero della giustizia e Presidenza del Consiglio dei ministri (o, in
subordine, almeno della sola Presidenza del Consiglio dei ministri), e per
l’effetto disporne l’estromissione dal giudizio;

in via ulteriormente subordinata, comunque respingere
l’avversario ricorso (e tutte le domande in esso contenute), in quanto
inammissibile (anche per difetto di interesse a ricorrere) e comunque infondato
e in alcun nodo provato, accertando e dichiarando – in particolare – la
manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Vinte le spese di lite».

 

Diritto

 

I. Ai fini del decidere la presente controversia,
questo giudice ritiene di dover sollevare preliminarmente questione incidentale
di legittimità costituzionale – per quale eccepita dalla parte ricorrente e
riferita nella superiore narrativa in fatto – del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, limitatamente ai relativi articoli: 2, commi 2 e 3; 3, comma 1;
40, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo; 45, comma 1; nonché 51,
comma 1. E ciò in relazione agli articoli 108, primo comma; 36, primo comma; e
3, primo comma, della Costituzione, e correlati principi di uguaglianza e
ragionevolezza.

II. Invero, ai sensi dell’art. 23, secondo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudice, ove «non ritenga che la questione
sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti
i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il
giudizio in corso».

III. Nessun dubbio può esservi in punto di rilevanza
della questione sollevata dalla parte ricorrente: è, infatti, del tutto
pacifico – com’è scritto anche nel surriferito atto di parte – che le «prospettate
questioni di costituzionalità dispiegate nei confronti dei commi 2 e 3
dell’art. 2 del decreto legislativo n. 165/2001, del primo comma dell’art. 3
del decreto legislativo n. 165/2001, del primo comma dell’art. 51 del decreto
legislativo n. 165/2001, del primo comma, primo periodo, [e] dell’art. 40 del
decreto legislativo n. 165/2001, del secondo comma, primo periodo, dell’art. 40
del decreto legislativo n. 165/2001, del primo comma dell’art. 45 del decreto
legislativo n. 165/20001, appaiono … rilevanti ai fini della decisione nel
merito del ricorso atteso che, ove le impugnate prescrizioni del decreto
legislativo n. 165/2001 dovessero essere ritenute conformi alla Costituzione,
il presente ricorso dovrebbe essere respinto». Ciò che, ad avviso di questo
giudice, è assolutamente indubitabile.

IV. Rimane dunque dà scrutinare, quale residua
condizione del potere-dovere di questo giudice di sollevare la prefata
questione, la non manifesta infondatezza di essa.

In proposito, merita appunto ricordarsi, invero
quasi tautologicamente, che il giudice a qua non è
mai chiamato a valutare la fondatezza o l’infondatezza della questione che gli
sia stata proposta dalle parti, ciò spettando esclusivamente alla Corte
costituzionale; bensì unicamente a verificare che tale questione, quand’anche
egli la reputi infondata, non gli appaia esser tale «manifestamente».

Non è necessario spendere molte parole per affermare
che, allorché si è chiamati a giudicare se una qualità sia «manifestamente»
(ossia in modo manifesto) riferibile a un concetto (nella specie: giuridico),
l’esito di tale giudizio assuma un peculiare carattere di soggettività: è,
infatti, intrinsecamente soggettiva la valutazione se un fatto, che pur
sussista, sia «manifesto», o meno (assai più oggettivo sarebbe valutare se
quello stesso fatto sussista, o meno, prescindendo dal livello di evidenza che
se ne possa predicare).

Orbene, anche rispetto a tale generica premessa
epistemologica, la difficoltà di pervenire a un esito univoco e oggettivo di
tale valutazione aumenta esponenzialmente, per il giudicante, in presenza d’una
duplice circostanza che caratterizza la specifica vicenda in trattazione.

Si allude, da un lato, alla caratterizzazione
professionale dei soggetti ricorrenti, che quotidianamente operano, appunto, a
fianco e a supporto del giudice remittente:
circostanza, questa, che se per un verso è stata correttamente posta a base
della sollevata questione di legittimità costituzionale, per altro verso rende
però ancor meno agevole, per quel giudice, oggettivizzare
la valutazione in discorso.

Nonché, dall’altro lato e soprattutto – e
quand’anche si potesse prescindere dal prefato profilo – alla tendenziale non
spettanza, al giudice a quo, della valutazione attinente alla corretta perimetrazione dei limiti intrinseci della discrezionalità
del legislatore.

Dispone, infatti, l’art. 28 della citata legge n. 87
del 1953 che «Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una
legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura
politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento»: da
cui pare doveroso trarre il corollario che non spetta al giudice remittente pregiudicare, in sede di delibazione di non
manifesta infondatezza della questione sollevata dalle parti, la cognizione di
quali possano essere gli estremi limiti, vuoi estrinseci vuoi intrinseci, di
tale delicatissimo sindacato che solo il giudice delle leggi può avere sul
corretto uso del potere discrezionale del legislatore.

E’ alla stregua di siffatte considerazioni che si
ritiene di concludere, nei ristretti limiti della delibazione spettante al
giudice a quo, nel senso della non manifesta infondatezza della questione che è
stata sollevata dalla parte qui ricorrente.

V. In conclusione, vanno disposte la sospensione del
presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,
secondo le modalità indicate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Solleva questione di legittimità costituzionale del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, limitatamente agli articoli: 2,
commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo;
45, comma l; nonché 51, comma 1; in relazione agli articoli 108, primo comma,
36, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, nonché ai connessi
principi di uguaglianza e ragionevolezza, nei sensi e per le ragioni di cui in
motivazione.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti del
giudizio alla Corte costituzionale e la notificazione della presente ordinanza
alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, al
Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei
deputati.

Sospende il presente giudizio.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale
del 23 giugno 2021, n. 25

Giurisprudenza – TRIBUNALE DI ROMA – Ordinanza 12 aprile 2021, n. 87
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