Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 luglio 2021, n. 20099

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, Giornalista, Inquadramento nella qualifica di redattrice,
Differenze retributive e regolarizzazione della posizione contributiva

 

Rilevato che

 

1. D.B., giornalista professionista, convenne in
giudizio la R.A.I. s.p.a. e chiese che si accertasse l’esistenza tra le parti
di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansioni di
giornalista dal 2005, con inquadramento nella qualifica di redattrice, oltre
che la condanna della società al pagamento della somma di € 151.784,75 a titolo
di differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione
contributiva.

1.1. A tal fine espose di aver lavorato alle
dipendenze della R. in virtù di una serie di contratti di collaborazione libero
professionale nel periodo dal marzo 2005 al giugno 2008 come redattrice di
rubriche dedicate all’informazione estera presso R. e presso le testate del GR
Parlamento e di R. News 24, osservando un orario quotidiano di sette ore per
cinque giorni a settimana sulla base di direttive impartitele da superiori
inserita nella redazione delle rubriche alle quali era assegnata.

2. Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo non
provata la subordinazione.

3. La Corte di appello di Roma, investita del
gravame da parte della lavoratrice, lo accolse in parte e, riformando la
sentenza di primo grado, dichiarò esistente tra le parti a decorrere dal 10
marzo 2005 un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in part
time verticale al 50%, con diritto della lavoratrice all’inquadramento nella
qualifica di redattore ordinario ai sensi del CNLG applicabile al rapporto.

3.1. Ordinò alla RAI di ripristinare il rapporto di
lavoro e la condannò al pagamento della somma di € 55.097,72 oltre accessori di
legge. Condannò poi la R. al pagamento di un’indennità risarcitoria ai sensi
dell’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010 che quantificò in sei
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi dalla data
della pronuncia. Compensò tra le parti per metà le spese del doppio grado di
giudizio.

4. Il giudice di secondo grado ritenne che il tratto
caratteristico decisivo per la qualificazione del rapporto di lavoro
giornalistico quale subordinato doveva essere individuato nell’inserimento
continuativo ed organico della prestazione nell’organizzazione dell’impresa.
Accertò che l’istruttoria svolta ne aveva confermato l’esistenza con modalità
in part time verticale nella misura del 50% e con l’inquadramento nella
qualifica di redattore ordinario, tenuto conto del tipo di collaborazione
prestata consistita in interviste, nella cura di rubriche e di speciali e nella
raccolta di dati ed informazioni per realizzazione di servizi.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso la R.A.I. s.p.a. affidato a nove motivi. Ha resistito con controricorso
D.B. che ha proposto contestuale ricorso incidentale articolato in quattro
motivi ai quali ha opposto difese la R. con controricorso. Con comparsa del 4
novembre 2020, a seguito di revoca del mandato al precedente difensore, si sono
costituiti per la ricorrente D.B., in virtù di procura speciale loro conferita
,gli avvocati G.N.A. e C.C.

Entrambe le parti hanno poi depositato memorie illustrative
ai sensi dell’art. 380 bis.1.
cod.proc.civ.

 

Considerato che

 

6. Il ricorso principale della R.A.I. s.p.a. non può
essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono.

6.1. La sentenza della Corte territoriale non è
incorsa infatti nei vizi denunciati con i primi tre motivi di ricorso che
possono essere trattati congiuntamente in quanto investono, per diversi aspetti
le modalità con le quali nell’arco temporale di oltre tre anni si è svolto il
rapporto tra le parti.

6.2. Sebbene la sentenza non prenda espressamente in
esame le collaborazioni intrattenute dalla B. negli intervalli tra un contratto
e l’altro e quantunque non dia conto esplicitamente del contenuto dei contratti
di collaborazione sottoscritti con la R., tuttavia il giudice di appello, nella
sua ricostruzione dei fatti e nella sussunzione degli stessi nella fattispecie
astratta del rapporto di lavoro subordinato applica correttamente i principi
ripetutamente affermati da questa Corte che possono essere qui così
sintetizzati per essere ancora una volta confermati. Va ribadito infatti che la
subordinazione si connota, soprattutto, per l’assoggettamento del lavoratore al
potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che
consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ.
dal lavoro autonomo. Non si tratta di un dato di fatto elementare ma piuttosto
di un atteggiarsi del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di
circostanze, richiedenti una complessiva valutazione (e ciò, in particolare,
nei rapporti di lavoro, come quello giornalistico, aventi natura professionale
ed intellettuale) che è rimessa al giudice del merito, il quale, perciò, a tal
fine, non può esimersi, nella qualificazione del rapporto di lavoro, da un
concreto riferimento alle sue modalità di espletamento ed ai principi di
diritto ispiratori della valutazione compiuta allo scopo della sussunzione
della fattispecie nell’ambito di una specifica tipologia contrattuale. La
subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa
libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario
predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo
neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della
retribuzione a singole prestazioni, essendo invece determinante che il
giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche
nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili
e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed
istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente
convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia
(cfr. tra le tante Cass. 23/09/2005 n. 18660, 07/09/2006 n. 19231, 12/02/2008 n.
3320, 09/03/2009 n. 5645, 02/04/2009 n. 8068).

6.3. In sostanza, ai fini della individuazione del
rapporto di lavoro subordinato, ciò che rileva è l’ampiezza di prestazioni e
l’intensità della collaborazione, che devono essere tali da comportare
l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione aziendale, intendendo
per stabilità il risultato di un patto in forza del quale il datore di lavoro
possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità senza doverla
contrattare volta per volta, dovendosi distinguere tra i casi, riconducibili al
lavoro subordinato, in cui il lavoratore rimane a disposizione del datore di
lavoro tra una prestazione e l’altra in funzione di richieste variabili e
quelli, riconducibili al lavoro autonomo, in cui è invece configurabile una
fornitura scaglionata nel tempo, ma predeterminata, di più opere e servizi in
base ad unico contratto, con l’avvertenza che può influire nella distinzione
anche il dato quantitativo relativo all’entità degli interventi del committente
in corso d’opera (cfr. Cass. 12/03/2019 n. 7044 e le richiamate Cass.
20/08/2003 n. 12252, 03/03/2009 n. 5079 e 07/10/2013 n. 22785).

6.4. E’ evidente che tale verifica, nel contesto di
più contratti di collaborazione ripetuti nel tempo a distanza di intervalli
temporali, deve essere condotta sull’arco temporale di effettivo svolgimento
del rapporto nel tempo indicato dal contratto, restando irrilevante l’attività
medio tempore prestata, perché solo in tale contesto è possibile verificare in
concreto il suo atteggiarsi.

6.5. Ne consegue che correttamente la Corte ha preso
in esame tali distinti archi temporali dimostrando, nella sua ricostruzione, di
avere ben presente le modalità con le quali il rapporto in concreto si è
atteggiato e procedendo, come dovuto, alla qualificazione dello stesso alla
luce del suo concreto sviluppo fattuale e applicando, nel riconoscere la
subordinazione, i criteri elaborati dalla giurisprudenza senza alcuna
inversione degli oneri probatori.

7. Il quarto e il quinto motivo – con i quali è
denunciato l’omesso esame della circostanza di fatto decisiva che la
lavoratrice non era tenuta a rispettare un orario di lavoro predefinito
limitandosi a verificare che nel contratto non era stato previsto un tale
obbligo e, subordinatamente, la nullità della sentenza, per il caso di rigetto
della precedente censura, in relazione all’apparenza della motivazione – sono
anch’essi infondati.

7.1. Proprio il ragionamento seguito dalla Corte
dimostra che il giudice di secondo grado si è fatto carico di verificare
l’inserimento della lavoratrice nell’organizzazione aziendale con il rispetto
di cadenze funzionali alla prestazione da rendere e sulla base delle
indicazioni del caporedattore. Nel verificare tale inserimento la Corte di
merito ha correttamente, alla luce dei principi più sopra ricordati, dato il
dovuto rilievo marginale all’ orario di lavoro, che, peraltro, stante la natura
dei contratti sottoscritti dalle parti non poteva, ovviamente, costituirne
oggetto, valorizzando invece la necessità di rispettare cadenze temporali
connesse programmazione stabilita, sintomatiche dell’inserimento
nell’organizzazione aziendale cui erano funzionali. Si tratta di accertamento
di fatto che non incorre nelle censure mosse con riguardo alle quali, peraltro,
la società ricorrente non chiarisce la decisività.

8. Ancora infondati sono il sesto ed il settimo
motivo di ricorso.

8.1. Lo svolgimento nel corso del tempo di attività
anche in favore di terzi, attestato da una dichiarazione resa dalla stessa B.
che dichiarava di essere una giornalista free lance, circostanza che si assume
trascurata dalla Corte di appello, non è idoneo a scardinare la ricostruzione
effettuata dalla Corte di merito che pure ha tenuto conto di tempi e modalità
della prestazione nell’accertare le caratteristiche particolari del rapporto
intercorso tra le parti. Come è noto per effetto delle modifiche apportate
all’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l.
n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134 del 2012, è denunciabile l’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo ,vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Non integra
di per sé il vizio l’omesso esame di elementi istruttori nel caso in cui, come
nella specie, il fatto storico, rilevante in causa, sia stato preso in esame
dal giudice sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie. Che il giudice abbia tenuto conto dell’attività parallela della B.
risulta evidente dalla ricostruzione che la sentenza opera del rapporto che
conclusivamente accerta essersi svolto in regime di subordinazione ma non a
tempo pieno.

9. Analoghe considerazioni convincono poi
dell’infondatezza delle censure formulate nell’ottavo e nel nono motivo di
ricorso che investono l’accertata natura giornalistica della prestazione.
Deduce la ricorrente che la sentenza avrebbe trascurato di considerare la
circostanza, decisiva ai fini della qualificazione dell’attività, della
mancanza in capo alla B. di un potere di rielaborazione autonoma dei materiali
da essa predisposti. Rileva che al riguardo era stato allegato che il potere di
firmare il pezzo predisposto era un indice rivelatore della natura
giornalistica della prestazione e tuttavia sul punto la sentenza omette
qualsiasi considerazione.

9.1. Va tuttavia rilevato che la natura
giornalistica della prestazione è stata accertata dalla Corte di merito sulla
base delle dichiarazioni rese dai testi escussi che hanno descritto le mansioni
svolte e, allo stesso modo, è stata accertata la riconducibilità delle mansioni
svolte alla qualifica di redattore.

9.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che la
ricostruzione operata dal giudice di secondo grado, aderente alle risultanze
istruttorie, non incorre ancora una volta nel vizio di motivazione denunciato,
Né, tanto meno può dirsi che la motivazione della sentenza sia così lacunosa e
superficiale da essere del tutto apparente.

9.3. La qualifica di redattore si caratterizza, come
accertato anche dalla Corte, per l’inserimento del giornalista
nell’organizzazione e programmazione necessaria per la formazione del prodotto
finale (cfr. Cass. 13/11/2018n. 29182). L’esistenza di controlli e revisioni da
parte di terzi non esclude che l’attività di predisposizione di materiale,
redazione dei pezzi sulla base delle indicazioni del capo redattore e nel
rispetto della programmazione stabilita dall’azienda siano fattori sintomatici
proprio di un inserimento stabile nell’ organizzazione apprestata per la
realizzazione del prodotto giornalistico che è compatibile, come detto, con i
controlli da parte del capo redattore sicché il “potere di rielaborazione
autonoma del materiale (…) predisposto” non è di per sé significativo
dello svolgimento di compiti di redazione e dunque, al contrario, la mancata
valutazione di tale specifica circostanza non integra il vizio motivazionale
denunciato non essendo tale circostanza, per le ragioni dette, decisiva.

10. Neppure il ricorso incidentale della B. può
essere accolto.

10.1. Va premesso che l’obbligo del giudice di
stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, rafforzato
dall’aggiunta del secondo comma all’art. 101 c.p.c. ad opera della I. n. 69 del
2009, si estende solo alle questioni di fatto, che richiedono prove dal
contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, o alle eccezioni
rilevabili d’ufficio, e non anche ad una diversa valutazione del materiale
probatorio già acquisito (cfr. Cass 19/05/2016 n. 10353). Ne consegue che non è
nulla la sentenza che sulla base del materiale probatorio acquisito ed in
relazione ad una domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto
intercorso tra le parti verificata l’esistenza di elementi sintomatici della
subordinazione accerti poi in concreto che il rapporto di lavoro si è svolto
con un impegno temporale parziale e non a tempo pieno.

10.2. Neppure poi la pronuncia è viziata, come
denunciato nel secondo motivo, da ultrapetizione. Come già ricordato, al
giudice era demandata la qualificazione del rapporto da verificare in relazione
alle accertate modalità di svolgimento. Dall’istruttoria svolta è emerso che la
prestazione, da qualificare per le sue caratteristiche come subordinata era
resa con determinate modalità in relazione alle quali il giudice ha dovuto
procedere all’inquadramento nel tipo contrattuale materialmente accertato che
diveniva rilevante ai fini del riconoscimento delle differenze retributive
richieste.

10.3. Quanto alla denunciata violazione e falsa
applicazione degli artt. 2, 5 e 8 del d.lgs. n. 61 del 2000, oggetto del terzo
motivo di ricorso incidentale, ritiene il Collegio che la censura non colga il
senso della decisione. Non era infatti in giudizio il tema dell’accertamento
della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Al giudice
era stato chiesto infatti di accertare se il rapporto intercorso tra le parti
in virtù di una serie di contratti di collaborazione autonoma fosse invece da
inquadrarsi nell’ambito della subordinazione. In tale contesto la Corte era
tenuta perciò ad accertare in concreto le modalità della prestazione anche con
riguardo alla sua quantità. E’ a tale accertamento che la Corte ha proceduto.
Non si tratta, come dedotto, di trasformare per facta concludenza e senza il
rispetto della forma scritta un rapporto concluso a tempo pieno in un rapporto
part time ma piuttosto di verificare in concreto come si era atteggiata la prestazione
resa dalla lavoratrice.

In tale prospettiva correttamente la Corte di merito
ha accertato che la prestazione era stata resa nel tempo al 50% secondo lo
schema del part time verticale e tanto ha fatto tenendo conto della sua durata
e della distribuzione dei mesi lavorati durante l’anno come descritti dalla
stessa lavoratrice nel suo ricorso.

10.4. Va rigettato infine anche l’ultimo motivo di
ricorso che, per le ragioni dette, non coglie il senso della decisione.

11. In conclusione entrambi i ricorsi vanno
rigettati e, per conseguenza, le spese devono essere compensate stante la
reciproca soccombenza accertata.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali perii
versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R., se dovuto.

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