Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2021, n. 28162

Rapporto di lavoro, Sospensione dal servizio e dalla
retribuzione, Spostamenti dalla sede normale di lavoro, Prova,Mancata
autorizzazione all’utilizzo dei mezzi

Premesso

 

che il Tribunale di Catanzaro, in funzione di
giudice del lavoro, parzialmente accogliendo le domande di A.P., guardia
particolare giurata alle dipendenze dell’Istituto di Vigilanza Privata N.D.
S.r.l., ha annullato la sanzione disciplinare di sei giorni di sospensione dal
servizio e dalla retribuzione allo stesso irrogata il 27/8/2010; ha condannato
la società datrice di lavoro a pagare al ricorrente la somma di euro 6.238,00 a
titolo di rimborso, ex art. 100 C.C.N.L., delle spese sostenute per recarsi in
località di servizio distanti oltre 10 km dalla sede normale di lavoro; ha
invece respinto la domanda di pagamento dello straordinario per il tempo
impiegato a raggiungere le predette località;

– che con sent. n. 1390/2017, depositata il
19/8/2017, la Corte di appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame
principale della società, ha respinto la domanda di rimborso delle spese di
viaggio, osservando come il luogo normale di lavoro del ricorrente, quale
risultante dalla lettera di assunzione, fosse Lamezia Terme (e non Catanzaro,
luogo della sede legale dell’Istituto) e come egli non avesse assolto l’onere
della prova circa i fatti costitutivi della propria pretesa, secondo la
fattispecie delineata nell’art. 100 C.C.N.L.; ha poi respinto l’appello
incidentale del lavoratore, rilevando, quanto allo straordinario, che l’art. 99
dello stesso C.C.N.L. ne escludeva la spettanza nel caso concreto e, quanto
alla domanda, sulla quale il Tribunale aveva omesso di pronunciare, di
restituzione della somma trattenuta a seguito dell’applicazione della sanzione,
che essa era da ritenersi infondata, non essendovi prova che la trattenuta
stipendiale fosse stata effettivamente eseguita;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il P., affidandosi a tre motivi, cui ha resistito il datore di
lavoro con controricorso;

 

rilevato

 

che con il primo motivo di ricorso viene dedotto il
vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2697
cod. civ., 115 e 416 cod. proc. civ. e 100 C.C.N.L. per i dipendenti degli
istituti di vigilanza privata, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte
respinto la domanda di rimborso spese senza considerare che il ricorrente aveva
dimostrato che tutti i luoghi di lavoro, cui era stato comandato, distavano
oltre 10 km dalla sede di lavoro effettiva di Catanzaro; che lo spostamento di
almeno 10 km dalla sede di lavoro era stato provato mediante la produzione dei
conteggi allegati al ricorso e che l’Istituto non aveva mai contestato, così
come non era stata oggetto di contestazione la mancata autorizzazione
all’utilizzo dei mezzi; che sarebbe spettato alla società, che lo aveva dedotto
(per la prima volta) in appello, e non al lavoratore, dimostrare che il
ricorrente aveva fruito di un avvicinamento; che l’istanza di esibizione dei
fogli di servizio e dei documenti attestanti la presa in carico
dell’autovettura di servizio non era affatto generica e che, trascurando di
accoglierla, era stato impedito al ricorrente di dimostrare che la sua sede di
lavoro era Catanzaro;

– che con il secondo motivo vengono dedotti
violazione degli artt. 111 Cost. e 420 cod. proc. civ. e vizio di motivazione,
per avere la Corte di appello omesso di pronunciare sulla richiesta di stralcio
di una memoria della controparte depositata senza autorizzazione (e peraltro
richiamata nella motivazione della sentenza) e comunque per avere consentito
l’introduzione nel giudizio di una memoria irrituale;

– che con il terzo sono dedotti violazione degli
artt. 115 e 416 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, per avere la Corte di
appello, nel confermare il rigetto della domanda di pagamento dello
straordinario, omesso di considerare che nulla aveva eccepito il datore di
lavoro relativamente ai conteggi allegati al ricorso introduttivo e che,
pertanto, i fatti costitutivi della domanda erano incontroversi; che lo
spostamento per raggiungere i luoghi di lavoro era funzionale alla prestazione,
poiché il ricorrente si doveva recare prima presso la sede di Catanzaro per
prendere possesso del veicolo aziendale, come era dimostrato dai documenti di
cui era stata richiesta l’esibizione, con la conseguenza che il tempo
occorrente era da ritenersi attività lavorativa vera e propria; che anche il
fatto che la trattenuta stipendiale fosse stata effettivamente eseguita non era
stato contestato dalla società, come risultava dalla sua memoria di
costituzione e risposta nel giudizio di primo grado;

 

osservato

 

che il primo motivo risulta inammissibile, poiché il
ricorrente non censura specificamente quella parte di motivazione della
sentenza impugnata, in cui la Corte ha accertato come normale località di
lavoro “Lamezia e tutto il territorio circoscrizionale” (p. 5, ultimo
capoverso), invece di Catanzaro, né l’interpretazione data all’art. 100 del
C.C.N.L. e la ricostruzione dell’onere complessivo di prova, che sulla base
delle previsioni collettive sarebbe spettato al lavoratore assolvere al fine di
ottenere l’accoglimento della domanda;

– che, d’altra parte, l’ordine di esibizione di un
documento costituisce, per il giudice di merito, un potere discrezionale il cui
mancato esercizio è censurabile in sede di ricorso per cassazione solo alla
condizione che quel giudice abbia omesso del tutto di motivare sull’istanza
avanzata dalla parte e che il mezzo di prova richiesto e non ammesso risulti
funzionale alla dimostrazione di punti decisivi della controversia (Cass. n.
19521/2004, fra altre conformi);

– che, nella specie, la Corte si è pronunciata
sull’istanza, valutandola inammissibile in quanto “generica e meramente
esplorativa” (p. 6, primo capoverso), mentre non risulta dimostrato dal
ricorrente che tale mezzo di prova avesse rilevanza decisiva, non essendo stata
trascritta la richiesta né precisamente indicata, ai fini in esame, la natura e
la effettiva portata della documentazione che ne costituiva l’oggetto e
conseguentemente l’attitudine della stessa a determinare un diverso quadro
fattuale;

– che parimenti non risultano trascritti, né quanto
meno riportati nei brani o passaggi essenziali, nell’inosservanza del requisito
di cui all’art. 366, comma 1°, n. 6 cod. proc. civ., gli atti difensivi della
datrice di lavoro, dai quali desumere la mancata contestazione (e in quali
esatti termini) dei conteggi allegati al ricorso introduttivo e le altre
circostanze che il ricorrente assume incontroverse nel giudizio;

– che anche il secondo motivo di ricorso non può
trovare accoglimento, posto che la Corte di appello ha bensì esaminato la
memoria della società ma – secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata (p.
6, paragrafo 2.1.) – solo in relazione alla eccezione di inammissibilità
dell’impugnazione incidentale che vi era stata sollevata (e che ha poi
disatteso); né il ricorrente ha dimostrato di aver subito un pregiudizio
concreto al proprio diritto di difesa, in difetto del quale il vizio di
attività del giudice non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento
della sentenza impugnata (Cass. n. 18635/2011, fra le molte conformi), potendo
comunque formulare richiesta di autorizzazione al deposito di una propria
memoria o replicare oralmente all’udienza di discussione;

– che il terzo motivo è inammissibile per le stesse
ragioni già esposte a proposito del primo;

– che, in particolare, quanto al rigetto della
domanda di straordinario, il presupposto da cui muove il ricorrente è (ancora)
che egli dovesse recarsi alla sede di Catanzaro prima di raggiungere le
località di servizio, ma anche nel motivo in esame non è in alcun modo
censurato il diverso accertamento compiuto dalla Corte di appello e cioè che
Lamezia Terme (e non Catanzaro) fosse il luogo normale di lavoro; né viene
egualmente chiarito se, e per quali ragioni, i documenti oggetto di istanza di
ordine di esibizione potessero rivestire importanza decisiva e condurre ad una
diversa conclusione;

– che, quanto alla domanda di restituzione della
trattenuta, che la Corte ha ritenuto non provata, il ricorrente deduce che la
stessa era stata effettivamente applicata dall’Istituto, in esecuzione della
sanzione conservativa, e che la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che non
vi era stata contestazione sul punto da parte del datore di lavoro nella
memoria di costituzione e difesa nel giudizio di primo grado: peraltro,
nell’inosservanza del già richiamato requisito di specificità (art. 366 cod.
proc. civ.), senza trascrivere o riportare i passaggi dell’atto difensivo che
darebbero conto della mancata contestazione; ritenuto conclusivamente che il
ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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