Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 34081

Infortunio sul lavoro, Omessa formazione sull’uso del
macchinario di lavoro, Responsabilità contrattuale, Risarcimento del danno
morale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n.
1077 del 2015, decidendo in sede di rinvio da Cass. n. 1918 del 2015, ha
condannato G. L. C. s.p.a. (datore di lavoro) e C. S. (capo reparto) al
pagamento, in favore dell’INAIL, della somma di euro 123.308,83 a titolo di
regresso per l’indennizzo versato alla dipendente I.D.C., a causa
dell’infortunio occorsole sul lavoro, nel 1993, per non avere fruito della
necessaria formazione sull’uso del macchinario di lavoro cui la lavoratrice era
stata temporaneamente adibita.

2. Nei termini seguenti il principio di diritto
affermato dalla sentenza rescindente n.1918 del 2015 cit.: «in presenza di una
fattispecie contrattuale che, come nell’ipotesi del contratto di lavoro,
obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare
protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica dell’altro (ai
sensi dell’art. 2087 cod.civ.), non può sussistere alcuna incompatibilità tra
responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la
fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa
sia addebitata al datore di lavoro per non avere fornito la prova liberatoria
richiesta dall’art. 1218 cod.civ. (così Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184 ma vedi
anche Cass. 7 novembre 2007, n. 23162, Cass. 17 2009, n. 6454, Cass. 6 agosto
2014 n. 17693) per poi derivarne, in relazione anche solo alla violazione del
dovere di vigilanza accertata dalla Corte di merito, la configurabilità di una
responsabilità del soggetto datore per inadempimento dell’obbligo di sicurezza
non potendosi condividere, alla stregua dell’orientamento di cui sopra,
l’affermazione della Corte di merito per la quale la responsabilità penale può
essere affermata non quando manchi semplicemente la prova liberatoria, di avere
tutelato l’incolumità dei dipendenti, ma soltanto sussista la prova positiva
della emissione di comportamenti doverosi» (così Cass. n.1918 del 2015 cit.).

3. La Corte di appello decidendo, dunque, in sede di
rinvio, sulla domanda di garanzia svolta dal datore di lavoro e dalla capo
reparto nei confronti della s.p.a. Assicurazioni Generali, dopo aver premesso
che pur rilevando che sin dal ricorso introduttivo dell’INAIL emergeva la
partecipazione della società al giudizio davanti alla Pretura di Vasto,
definito con transazione del 5 febbraio 1999, e che pur volendo estensivamente
ricondurre effetti sospensivi all’azione risarcitoria della lavoratrice, ha
confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto prescritta la domanda
di garanzia proposta dalla G. s.p.a. (incorporata dalla G. L. C. s.p.a.) nei
confronti della compagnia assicuratrice (G.I. s.p.a.) ex art. 2952, quarto
comma, cod.civ., sulla scorta del rilievo del primo giudice, e senza che
l’accertamento divenisse oggetto di specifica contestazione da parte della
chiamante, che il termine di prescrizione, all’esito della conclusione del
giudizio di primo grado con la predetta transazione del febbraio 1999, aveva
nuovamente cominciato a decorrere, senza ulteriori interruzioni o sospensioni.

4. La Corte territoriale ha confermato, poi, la
decisione del primo giudice, di accoglimento della domanda di regresso svolta
dall’Inail, per non avere fornito, datore di lavoro e capo reparto, la prova
liberatoria della quale erano onerati ai sensi dell’art. 1218 cod.civ., e per
non essere risultata acquisita alcuna prova positiva in riferimento
all’informativa relativa agli specifici rischi connessi all’uso della macchina
e all’osservanza del dovere di vigilanza sull’attività svolta dalla dipendente
infortunata.

5. La Corte del gravame ha ritenuto, inoltre,
fondata la domanda dell’INAIL, volta alla condanna al pagamento della maggiore
somma rispetto a quella accertata in primo grado, per essere la liquidazione
della somma chiesta in regresso soggetta a rivalutazione all’attualità, anche
in assenza di gravame incidentale dell’ente, trattandosi di credito di valore.

6. Infine, quanto alla regolazione delle spese, la
Corte territoriale ha condannato la società datrice al rimborso, per quanto in
questa sede rileva, delle spese del giudizio di cassazione, pari ad euro
2.600,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, IVA e CPA, in
favore della s.p.a. G.I..

7. Avverso tale sentenza ricorrono G. L. C. s.p.a. e
C.S., con unico ricorso affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato con
memoria, cui resistono l’INAIL (sul secondo e sul terzo) e G.I. s.p.a. (sul
primo), con controricorsi.

8. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni
scritte chiedendo l’accoglimento del quarto motivo, rigettati gli altri.

 

Ragioni della decisione

 

9. Con il primo motivo di ricorso G.L. s.p.a. deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 2952, commi 3 e 4, cod.civ. e omessa
insufficiente motivazione della sentenza in ordine a un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte di merito
tenuto conto della speciale disciplina della sospensione del termine di
prescrizione sino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del
terzo danneggiato INAIL, credito non ancora liquido ed esigibile in mancanza
dell’accertamento definitivo della sussistenza dell’obbligo di rivalsa che si
realizza soltanto con il giudicato.

10. In sintesi, assumono le parti ricorrenti che
l’azione di rimborso sarebbe stata formalizzata già davanti alla pretura di
Vasto con la conseguenza che l’effetto sospensivo si sarebbe verificato in quel
momento, nel corso del giudizio a contraddittorio correttamente instaurato
anche nei confronti della compagnia di assicurazione, per cui il termine di
prescrizione decorreva non dalla denuncia di sinistro ma dalla comunicazione
all’assicuratore della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato
(nella specie coincidente con la chiamata del terzo autorizzata dal Pretore e,
dunque, con la notifica alla compagnia della domanda di garanzia unitamente al
ricorso proposto in via di regresso dall’INAIL), momento dal quale il corso
della prescrizione doveva considerarsi, a tutti gli effetti, sospeso.

11. Con il secondo motivo si deduce nullità della
sentenza, per difetto assoluto di motivazione per omessa pronuncia su un motivo
di gravame, violazione dell’art. 1227 cod.civ. e del d.lgs.n.626 del 1994 e
nullità per motivazione omessa, incompleta, incoerente e illogica su fatti
decisivi; si assume che la Corte non abbia tenuto conto delle eccezioni
sollevate sotto il profilo della concorrente responsabilità della lavoratrice,
della mancanza di elementi fattuali probatori idonei a sostenere il colpevole
inadempimento datoriale per non essere emersa in concreto, e inconfutabilmente,
una condotta ascrivibile al datore di lavoro e agli incaricati della
sorveglianza e direzione, se non sotto forma di astratta previsione priva di
una minima fonte probatoria; che sia stato tratto rilievo esclusivamente dalle
risultanze istruttorie del giudizio penale per ritenere provato l’inadempimento
colpevole, con travisamento dell’esito dell’istruttoria e omissione di ogni
apprezzamento in ordine al concorso di colpa della lavoratrice che aveva posto
in essere operazione esorbitante dalle mansioni, e dal ciclo produttivo, e una
condotta di immediata percezione della pericolosità secondo una diligenza
minima, contravvenendo a specifiche direttive impartite dai preposti, né si
poteva ipotizzare un controllo capillare in azienda con un considerevole numero
di dipendenti, una volta assolto correttamente, come nella specie, l’obbligo
formativo e informativo sicché la condotta colposa della lavoratrice,
nell’eseguire manovra palesemente pericolosa, aveva contribuito in modo
rilevante alla realizzazione dell’evento e, conclusivamente, nel ragionamento
della sentenza era stato omesso l’esame fattuale in ordine all’adozione di
tutte le cautele possibili per impedire il danno.

12. Con il terzo motivo si deduce nullità della
statuizione relativa al quantum preteso dall’INAIL, per difetto assoluto di
motivazione, per non avere la Corte di merito, limitatasi a richiamare la
giurisprudenza sulle variazioni di ammontare conseguenti alle variazioni
quantitative della rendita, tenuto conto della specifica eccezione sollevata
avverso la quantificazione unilaterale operata dall’INAIL, incentrata sul
rilievo per cui trattandosi di aumenti per un presunto aggravamento postumo,
essi avrebbero dovuto essere fatti valere nel giudizio di primo grado.

13. Con il quarto si deduce nullità della sentenza
per violazione degli artt. 91, 101, 112 cod.proc.civ., per avere la Corte di
merito condannato la società G. L. alle spese del giudizio di legittimità in
favore della società assicuratrice che in quel giudizio, instaurato ad impulso
dell’INAIL, non si era costituita e non aveva pertanto sopportato alcun onere
economico.

14. Il primo motivo è da rigettare.

15. La decisione della Corte territoriale n.1448 del
2008, di rigetto della domanda di rivalsa dell’INAIL sulla base dell’assorbente
– ancorché erroneo – rilievo della mancanza del nesso causale tra l’omessa
formazione e infortunio e del mancato assolvimento dell’onere probatorio,
sempre a carico dell’INAIL, della violazione del dovere di vigilanza per essere
rimasta non raggiunta la prova che si sia tollerato che i dipendenti
intervenissero su macchina in movimento – ha lasciato sostanzialmente
impregiudicata la questione della fondatezza del diritto di rivalsa azionato
dall’INAIL, per cui sarebbe stato inammissibile, per carenza di interesse, il
ricorso incidentale condizionato con censure volte ad investire la Corte di
legittimità di questioni su cui il giudice di appello non si era pronunciato
ritenendole assorbite e in relazione alle quali mancava la  (anche implicita) statuizione sfavorevole in
ordine alle medesime, dunque la soccombenza che costituisce il presupposto
dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al
giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (fra tante, Cass. n.
11270 del 2020; Cass.,Sez.Un., n. 14382 del 2002).

16. La questione assorbita ben può essere riproposta
e decisa in sede di rinvio senza necessità di essere dapprima coltivata nel
giudizio di legittimità (nel quale non si applica l’art. 346 cod. proc. civ.) e
poiché la forza preclusiva della sentenza di cassazione concerne soltanto le
questioni che costituiscono il presupposto necessario e logicamente
inderogabile della pronuncia cassata, tali questioni ben possono essere
coltivate e decise nel giudizio di rinvio (v., fra tante, Cass.n.7988 del 2018,
ed ivi ulteriori precedenti, Cass. Sez.Un. n. 23833 del 2015).

17. Conseguentemente non si è formato il giudicato
sulla questione della prescrizione dell’azione risarcitoria proposta dalle
attuali ricorrenti nei confronti dell’assicuratore.

18. Nondimeno il motivo è inammissibile nella parte
in cui devolve un vizio di motivazione avulso dal paradigma del novellato art.
360, n. 5, cod.proc.civ., applicabile ratione temporis.

19. Invero, il ricorso all’esame è stato proposto
avverso una sentenza depositata il 29 ottobre 2015 e, quindi, nella vigenza del
nuovo articolo 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ. introdotto dall’art.54, primo
comma lett.b del D.L n.83 del 2012, convertito nella L 7 agosto 2012,n.134 che
prevede che il ricorso per cassazione può essere proposto solo per omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le
parti.

20 Non essendo stata prevista alcuna norma speciale
che disciplini il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito
di rinvio disposto dalla Corte di cassazione, questo è disciplinato, quanto ai
motivi deducibili alla stregua dell’articolo 360 cod.proc.civ., dal testo
vigente all’epoca della proposizione dell’impugnazione (v., in termini, in
riferimento ad impugnazione di sentenza d’appello resa in sede di giudizio di
rinvio, Cass. n. 26654 del 2014 ed ivi ulteriori precedenti).

21. Ulteriore profilo di inammissibilità risiede
nella carenza di specificità della censura svolta per violazione di legge perché
la critica non si confronta con la sentenza impugnata che ha rimarcato non
essere stato oggetto di specifica contestazione il decorso della prescrizione
all’esito della transazione intervenuta nel 1999, senza interruzioni o
sospensioni a mezzo di ulteriori atti, proposizione avverso la quale la parte
nulla ha obiettato a confutazione snodando argomenti limitati
all’individuazione del termine inziale del decorso della prescrizione.

22. Vale anche ricordare che la controeccezione di
interruzione della prescrizione si configura come eccezione in senso lato,
sicché può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e
grado del processo, purché sulla base di allegazioni e prove ritualmente
acquisite o acquisibili al processo (assunto consolidato nella giurisprudenza
di questa Corte, a far data dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 15661 del
2005).

23. In seguito, le stesse Sezioni Unite, nella
sentenza n. 10531 del 2013, hanno ricordato che tale rilievo d’ufficio non è
subordinato neppure alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è
ammissibile anche in appello, essendo sufficiente che i fatti risultino
documentati ex actis; invero, il regime delle eccezioni si pone in – funzione
del valore primario del processo (cioè della giustizia della decisione), che
resterebbe svisato ove anche le questioni 
rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di
allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (per ulteriori
successive conformi, fra tante, Cass. n. 18140 del 2020).

24. Diversamente opinando, in sostanza si
reintrodurrebbero surrettiziamente, anche per le eccezioni in senso lato, oneri
di allegazione e prova valevoli per quelle in senso stretto, in pratica
vanificando la distinzione.

25. Da qui è invalso l’uso della locuzione, in
dottrina e giurisprudenza, di «allegazioni silenti», per esse intendendosi
anche soltanto le produzioni di documenti avvenute ad altro scopo (v. Cass. n.
18140 del 2020 cit. ed ivi ulteriori precedenti).

26. Il secondo motivo è da rigettare.

27. Il profilo di censura per vizio motivazionale
non si colloca nel paradigma del novellato vizio di motivazione, per quanto
detto dianzi, e si risolve nella richiesta di riesame e di un diverso
apprezzamento delle emergenze istruttorie.

28. Inoltre, va ribadito, con Cass. n. 24395 del
2020, che l’errore di percezione sul contenuto oggettivo di una prova, come del
resto la denuncia di travisamento della prova, può dar luogo, se del caso,
esclusivamente a revocazione, ex art. 395, n. 4 cod.proc.civ., mentre l’unico
vizio del giudizio di fatto deducibile per cassazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5 cod.proc.civ., consiste nell’omesso esame di un fatto storico, principale
o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti
carattere decisivo per il giudizio, salva la preclusione della doppia conforme
in fatto, di cui all’art.348-ter ult. co . cod.proc.civ.

29. Quanto ai profili di censura per violazione di
legge, questa Corte ha da tempo chiarito che il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione
di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr., fra tante, Cass.
nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019).

30. Nella specie, il motivo di censura incorre
precisamente nella confusione appena chiarita, dal momento che, pur essendo
formulato con riguardo ad una presunta violazione dell’art. 1227 cod.civ. e del
decreto legislativo n. 626 del 1994, pretende in realtà di revocare in dubbio
l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito in ordine al nesso di
causalità tra l’infortunio occorso alla lavoratrice e la violazione, da parte
del datore di lavoro e della capo reparto, del dovere di informazione e
vigilanza dell’attività della lavoratrice il cui intervento, con la macchina
TAS 15 in movimento, nel provvedere all’aggiustamento manuale delle calze in
produzione, alla luce delle circostanze di fatto emerse dal testimoniale
acquisito alla causa, lungi dall’essere imprevedibile era risultato, invece,
del tutto tollerato allo scopo di evitare fermi di produzione: che è, come
appena detto, accertamento ormai intangibile in questa sede di legittimità.

31. Anche il terzo mezzo d’impugnazione è da
rigettare.

32. La motivazione della sentenza non è nulla o
meramente apparente alla stregua dell’art. 360, n.4 cod.proc.civ. e la censura
evoca profili inerenti ad aumenti fondati su un presunto aggravamento postumo
accertato nella visita del 23 marzo 2004 non emergenti dalla sentenza impugnata
e inconferenti con la decisione gravata, uniformatasi al principio, costantemente
affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui in tema di azione di
regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro, responsabile
dell’infortunio sul lavoro subito dal dipendente assicurato, le variazioni di
ammontare del credito dell’INAIL conseguenti alle variazioni quantitative della
rendita (e, in generale, delle prestazioni erogate dall’Istituto), non
costituiscono domande nuove ma mere precisazioni del petitum originario, in
considerazione della natura del credito, come credito di valore che deve essere
liquidato con riferimento alla data di liquidazione definitiva, per cui il
maggiore ammontare in termini monetari rispetto a quanto dedotto in primo grado
può essere liquidato anche d’ufficio (per tutte Cass. n. 4089 del 2016).

33. Vi è di più che la Corte territoriale, con
motivazione per relationem (richiamando Cass. n.1841 del 2015), ha valorizzato
il valore probatorio dell’attestato di costo aggiornato, in ordine
all’ammontare delle prestazioni assicurative erogate alla lavoratrice
infortunata, sottoscritto dal direttore dell’INAIL, assistito da presunzione di
legittimità suscettibile di essere inficiata solo da contestazioni precise e
puntuali che individuino il vizio dell’atto e offrano contestualmente di
provarne il fondamento, senza che le parti ricorrenti abbiano dedotto, in
questa sede di legittimità, a confutazione del decisum, in che termini, in
quale atto ed in quale fase processuale la questione prospettata con il ricorso
all’esame sarebbe stata sottoposta al giudice del merito, discendendone la sua
inammissibilità per novità.

34. Il quarto mezzo, che avversa la statuizione
sulle spese del giudizio di legittimità, a carico di G. L. C. e in favore della
società assicuratrice, è fondato in ragione dell’erronea condanna alle spese
del giudizio di legittimità anche nei confronti della società assicuratrice, in
quella sede contumace.

35. La condanna alle spese processuali, a norma
dell’art. 91 cod.proc.civ., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una
diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività
processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto;
sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso,
poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha
sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (per tutte, Cass. n. 12610 del
2020 e ivi ulteriori precedenti).

36. In definitiva, in accoglimento del quarto motivo
di ricorso, rigettati gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata e,
per non essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito con l’annullamento del capo della sentenza di condanna della
s.p.a. G. L. al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità
in favore della società assicuratrice.

37. Il parziale accoglimento del ricorso giustifica
la compensazione delle spese fra G. L. s.p.a. e s.p.a. G.I..

38. Segue coerente con il rigetto degli ulteriori
motivi di ricorso, la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo, in
favore dell’INAIL.

 

P.Q.M.

 

accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettati gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e annulla il
capo della sentenza relativo alla condanna di G. L. s.p.a. al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità in favore di G.I. s.p.a.; compensa le spese
del giudizio di legittimità fra G. L. s.p.a. e G.I. s.p.a. e condanna le
ricorrenti al pagamento delle spese, in favore dell’INAIL, liquidate in euro
200,00 per esborsi, oltre euro 7.000.00 per compensi professionali e accessori
di legge, oltre rimborso forfetario del 15 per cento.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 34081
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