Il commento offensivo nei confronti del datore di lavoro e dei vertici aziendali, diffuso su facebook, costituisce grave insubordinazione e legittima la giusta causa di licenziamento.
Nota a Cass. 13 ottobre 2021, n. 27939
Paolo Pizzuti e Valerio Di Bello
Un commento offensivo, nei confronti della società datrice di lavoro, diffuso su Facebook, ossia su un mezzo idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone, non richiede la medesima protezione prevista per una chat privata (diretta, cioè, unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone e, dunque, chiusa ed inviolabile) per la quale sussiste l’esigenza di tutela della libertà e segretezza dei messaggi scambiati e integra gli estremi della grave insubordinazione (v. Cass. n. 21965/2018, in q. sito annotata da G.I. VIGLIOTTI e Cass. n. 10280/2018, in q. sito con nota di F. DURVAL).
Questo, il principio sancito dalla Corte di Cassazione (13 ottobre 2021, n. 27939, conf. ad App. Roma 27 novembre 2018), la quale ha precisato che la nozione di insubordinazione va intesa in senso ampio, nel senso che non può essere limitata al rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni dei superiori (e dunque ancorata, mediante una lettura letterale, alla violazione dell’art. 2104, co.2, c.c.), “ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale” (v. Cass. n. 9736/2018, in q. sito, con nota di M.N. BETTINI; Cass. n. 7795/2017 e Cass. n. 5804/1987).
Ai fini della corretta individuazione di un comportamento insubordinato (nel quadro del “contemperamento dell’interesse del datore di lavoro al regolare funzionamento dell’organizzazione produttiva con la pretesa del lavoratore alla corretta esecuzione del rapporto di lavoro”), ciò che rileva, secondo la Corte, è il rilievo che assume il collegamento al sinallagma contrattuale. Il riferimento è dunque a quelle condotte “suscettibili di incidere sull’esecuzione e sul regolare svolgimento della prestazione, come inserita nell’organizzazione aziendale, sotto il profilo dell’esattezza dell’adempimento (con riferimento al potere direttivo dell’imprenditore), nonché dell’ordine e della disciplina, su cui si basa l’organizzazione complessiva dell’impresa, e dunque con riferimento al potere gerarchico e di disciplina” (Cass. n. 22382/2018).
Pertanto, “la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana riconosciute dall’art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli” (v. Cass. n. 9635/2016, richiamata in q. sito da M.N. BETTINI e K. PUNTILLO).