Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2022, n. 19190

Dirigente medico, Ferie non godute, Indennità sostitutiva,
Insussistente risoluzione del rapporto di lavoro, Diniego

Rilevato che

 

la Corte di Appello di Trieste, per quanto ancora rileva,
confermando in parte qua la sentenza del giudice di primo grado, rigettava la
domanda di M.C., dirigente medico del servizio pubblico nazionale, già
dipendente dell’Azienda Sanitaria n. 5 Bassa Friulana, transitata nel dicembre
del 2005, a sua richiesta e per mobilità, all’Azienda n. 2 Isontina, volta ad
ottenere il risarcimento dei danni per ferie non godute in relazione agli anni
dal 1995 al 2005, presso la prima delle due aziende.

Nello specifico, il rigetto della domanda formulata
dal dirigente medico veniva dalla Corte territoriale giustificata sulla base di
quattro rationes decidendi: a) la possibilità di ottenere la monetizzazione
delle ferie non godute solo in caso di risoluzione del rapporto, in virtù delle
previsioni dell’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 e degli artt. 5 del c.c.n.l.
dell’8.6.2000 e 20 del c.c.n.l. 1998/2001, presupposto, quest’ultimo, carente
nel caso di specie, venendo in rilievo una ipotesi di mobilità che non comporta
la novazione del rapporto, ma la prosecuzione con altra azienda, con la
peculiarità che, quanto alla specifica fattispecie all’attenzione, le due
Aziende sanitarie innanzi indicate si sono trasfuse in un’unica entità (nel
corso del processo); b) la carenza di prova del diniego delle ferie da parte
del datore, che – anzi – ne aveva sollecitato la fruizione; c) la mancanza di
prova di esigenze aziendali ed eccezionali motivi ostativi al godimento delle
ferie, presupposto per il riconoscimento del trattamento sostitutivo; d) la
sopravvenienza in materia di pubblico impiego di una normativa (d.lgs. n. 150
del 2009 e art. 5 d.l. 95/2012) che si orienta nel senso contrario alla
richiesta monetizzazione.

Propone ricorso per cassazione M.C. articolandolo in
tre motivi.

Resiste con controricorso l’Azienda per l’assistenza
sanitaria n. 2 Bassa Friulana-Isontina.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo del ricorso per cassazione si
censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 3, della
Costituzione, dell’art. 2109, comma 2, c.c., dell’art. 10, comma 1, del d.lgs.
n. 66 del 2003, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.,
per aver la Corte territoriale negato il diritto all’indennità per ferie non
godute affermando erroneamente che incombeva sul dipendente la prova che esse
non erano state godute per eccezionali e obiettive esigenze aziendali.

Si rappresenta che l’interpretazione offerta dal
giudice di merito è in contrasto con il costante orientamento del giudice di
legittimità, secondo il cui insegnamento, se le ferie non sono godute in tempo
ragionevole a far riposare il lavoratore, va liquidata l’indennità sostitutiva.

2. Con il secondo mezzo è dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 36, comma 3, della Carta costituzionale, dell’art.
2109, comma 2, c.c., dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003.

Si contesta che la lavoratrice avesse l’onere di
dimostrare il mancato godimento delle ferie: si assume, al contrario, che sia
il datore di lavoro obbligato ad assegnare le ferie, facendo riposare il
prestatore, in difetto erogando l’indennità sostitutiva.

3. Con la terza censura viene lamentata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disp. sulla legge in generale
premesse al c.c., del d.lgs. n. 150 del 2009 e dell’art. 5 del d.l. n. 95 del
2012 conv. in l. n. 112 del 2012, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per
avere la Corte territoriale erroneamente menzionato norme sopravvenute, nelle
more di lite, in materia del pubblico impiego (d.lgs. n. 150 del 2009 e art. 5
del d.l. n. 95 del 2012, conv. in l. n. 112 del 2012), norme inapplicabili nel
caso in oggetto perché non retroattive.

4. Le questioni poste dai tre motivi di ricorso per
cassazione possono essere esaminate congiuntamente alla luce delle seguenti
considerazioni. La pronunzia di rigetto della Corte territoriale, quanto alla
domanda di monetizzazione delle ferie non fruite, si radica su quattro diverse
rationes decidendi.

I motivi di gravame, come innanzi ricordati,
attingono solo tre delle quattro rationes spese dalla Corte territoriale a
fondamento della decisione, non intaccandone la prima.

Confermando sul punto la decisione del giudice di
primo grado, la Corte di Appello di Trieste ha in primis motivato il rigetto
della domanda per assenza d’una ipotesi di risoluzione del rapporto, ai sensi
dell’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003, dell’art. 5 del c.c.n.l. integrativo
dell’8.6.2000 e dell’art. 20 del c.c.n.l. 1998/2001.

Nella sentenza di appello si argomenta sul punto che
la monetizzazione delle ferie non godute può aver luogo solo in caso di
risoluzione del rapporto di lavoro che, nella fattispecie concreta, non vi è
stata, come comprovato anche dalle disposizioni della contrattazione collettiva
innanzi ricordate che definiscono la mobilità come fenomeno che non comporta
alcuna novazione del rapporto di lavoro. Poiché tale ratio decidendi, da sola
idonea a sostenere la pronunzia di rigetto, non è stata oggetto di censura,
l’intero ricorso va dichiarato inammissibile.

A riguardo questa S.C. ha ripetutamente affermato
che in tema di ricorso per cassazione, qualora la sentenza impugnata si fondi
su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente
idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa specifica
impugnazione di tutte rende inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso,
perché l’accoglimento delle censure mosse non potrebbe comunque condurre,
stante l’intervenuta definitività della ratio non censurata, all’annullamento
della decisione (v., ex aliis, Cass. n. 18641/2017, Rv. 645076-01).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso
segue la soccombenza quanto alle spese.

6. Sussistono i presupposti per il raddoppio del
contributo unificato, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità nei confronti della parte resistente, liquidate in
€ 200,00 per esborsi, € 2.500 per compensi professionali, oltre spese
forfettarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

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