Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2022, n. 33424

Rapporto di lavoro, Cessazione, Patto di non concorrenza,
Determinabilità del corrispettivo, Congruità, Cause di nullità, Distinzione

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Milano ha confermato
(fuorché in punto spese) la sentenza del locale Tribunale dichiarativa della
nullità del patto di non concorrenza stipulato tra I.S.P.B. Spa e D.C. in data
30 novembre 2014;

2. la Corte (richiamando altra pronuncia in
controversia analoga) ha condiviso la valutazione del Tribunale in ordine alla
nullità del patto (ed alla restituzione di quanto percepito a tale titolo) per
indeterminatezza ed indeterminabilità del corrispettivo del sacrificio
richiesto al lavoratore, in quanto correlato alla durata del rapporto di
lavoro, in mancanza di un importo minimo garantito e perciò non congruo; detto
importo era pari a € 10.000 all’anno (da pagarsi in 2 rate semestrali
posticipate all’anno) per 3 anni, a fronte di un impegno di non concorrenza per
20 mesi dalla cessazione del rapporto; la nullità derivava dal fatto che, in
caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio,
come nel caso di specie, al dipendente non sarebbe spettato l’intero importo di
€ 30.000, bensì un importo (appunto non determinabile né determinato) collegato
alla durata del rapporto di lavoro;

3. avverso la predetta sentenza la società propone
ricorso per cassazione affidato a 8 motivi, cui resiste con controricorso il
lavoratore; entrambe le parti hanno comunicato memoria;

 

Considerato che

 

1. per motivi di priorità logica, deve essere in
primo luogo esaminato il terzo motivo, con cui la società ricorrente denuncia
vizio di nullità della sentenza ex art. 360, comma
1, n. 4, c.p.c., per assenza di motivazione (art.
132, n. 4 c.p.c.), contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili,
motivazione apparente, irriducibile contraddittorietà ed illogicità manifesta
della motivazione ove si afferma, da un lato, che il corrispettivo del patto di
non concorrenza (PNC) sarebbe indeterminato ed indeterminabile nel suo
ammontare e, dall’altro, che sarebbe incongruo;

2. la censura è fondata: il Collegio intende dare
continuità alla pronuncia di questa Corte n.
5540/2021 in controversia analoga, che si richiama anche per la compiuta
ricostruzione dogmatica e sistematica dell’istituto;

3. come chiarito in tale pronuncia, al fine di
valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al
corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento
distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in
generale per l’oggetto della prestazione dall’art.
1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia
meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al
sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di
guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto
rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato,
conseguendo comunque la nullità dell’intero patto all’eventuale sproporzione
economica del regolamento negoziale (cfr. altresì Cass.
n. 9790/2020);

4. nella sentenza impugnata non vengono in rilievo,
rispetto al patto di non concorrenza in controversia, questioni di forma, di
estensione dell’attività limitata, di tempo e di luogo, bensì di corrispettivo
in favore del lavoratore e di sua determinabilità;

5. per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, questa
Corte ha ripetutamente affermato che il patto di non concorrenza, anche se è
stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo
da questo, sotto il profilo prettamente causale, per cui il corrispettivo con
esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere
soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c. (Cass.
n. 16489/2009) e, quindi, deve essere “determinato o
determinabile”;

6. per quanto riguarda la nullità, espressamente
comminata dall’art. 2125 c.c., è stata
affermata (v. le sentenze sopra citate ed i richiami giurisprudenziali ivi
contenuti) in proposito la necessità, per giungere a tale declaratoria, di una
rigorosa valutazione in ordine alla sussistenza di un corrispettivo in favore
del prestatore che risulti manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto
al sacrificio richiesto al lavoratore ed a ogni circostanza del caso concreto;

7. operano, quindi, su diversi piani la nullità del
patto di non concorrenza per indeterminatezza o indeterminabilità del
corrispettivo che spetta al lavoratore, quale vizio del requisito prescritto in
generale dall’art. 1346 c.c. per ogni
contratto, e la nullità per violazione dell’art.
2125 c.c., laddove il corrispettivo “non è pattuito” ovvero, per
ipotesi equiparata dalla giurisprudenza di questa Corte, sia simbolico o
manifestamente iniquo o sproporzionato;

8. rispetto a tali premesse, la sentenza impugnata
reca una anomalia motivazionale, per essere pervenuta ad affermare la nullità
del patto in modo improprio, senza accertare se il corrispettivo pattuito
(pacificamente esistente) fosse da considerare simbolico o manifestamente
iniquo o sproporzionato, ed operando una sovrapposizione tra la questione della
determinabilità del corrispettivo, diversa da quella della sua congruità;
infatti la variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di
lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri
oggettivi (tenendo anche conto, che, a monte, è stato altresì contestato che la
cessazione del rapporto effettivamente avesse influenza sull’ammontare del PNC
dovuto);

9. la sentenza impugnata non tiene adeguatamente
distinte cause di nullità del patto di non concorrenza che operano
giuridicamente su piani diversi: un vizio sotto l’aspetto della determinatezza
o determinabilità dell’oggetto e l’altro sotto il profilo dell’ammontare del
corrispettivo simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato; tale
sovrapposizione genera incertezza sull’iter logico seguito per la formazione
del convincimento del giudicante, precludendo un effettivo controllo
sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;

10. dall’accoglimento del suddetto motivo di ricorso
deriva la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice d’appello
indicato in dispositivo che dovrà procedere a nuovo esame, valutando
distintamente la questione della nullità per mancanza del requisito di
determinatezza o determinabilità del corrispettivo pattuito tra le parti e,
poi, verificando che il compenso, come determinato o determinabile, non fosse
simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio
richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità di guadagno,
indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresentava per
il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato;

11. rimangono assorbiti tutti i restanti motivi del
ricorso per cassazione, in quanto successivi dal punto di vista logico e
giuridico;

12. il giudice del rinvio provvederà anche sulle
spese del giudizio di legittimità ex art. 385, co.
3, c.p.c.;

 

P.Q.M.

 

accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione,
anche per le spese.

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