Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2023, n. 2518

Lavoro, Autoferrotranvieri, Sospensione dal servizio, Valutazione della giusta causa di licenziamento, Accoglimento

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Milano, in riforma di sentenza del locale Tribunale, ha respinto le domande di tutela azionate in primo grado da R.P. nei confronti del provvedimento di destituzione del 14/11/2018, con condanna alla restituzione all'(…) (ATM) S.p.A. delle somme percepite in esecuzione delle pronunce del Tribunale;

2. la Corte milanese, a differenza del giudice di primo grado in fase sommaria e di opposizione, ha ritenuto, in particolare in base al riscontro delle videoregistrazioni ed alla dichiarazione di un collega presente ai fatti, che l’episodio contestato al dipendente, operatore di pronto intervento addetto alle stazioni del servizio metropolitano, verificatosi in data 9/6/2018 presso la stazione metropolitana M3 Centrale FS, consistito in una colluttazione con un passeggero che stava facendo ingresso dai varchi di imbarco, tentando di fare passare con un unico biglietto altre due passeggere, fosse da considerare una deliberata aggressione e non un alterco accompagnato o seguito da vie di fatto o una rissa (come ritenuto, al contrario, dal Tribunale, che aveva considerato il comportamento tipizzato rientrante in condotta punita con la sanzione conservativa della sospensione dal servizio, ai sensi del n. 15 dell’art. 42 R.D. 148/1931, con ordine di reintegrazione e condanna al pagamento di indennità risarcitoria);

3. avverso la predetta sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione con quattro motivi, cui resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce nullità della sentenza per motivazione apparente perché basata su apprezzamenti soggettivi (art. 360, n. 4, c.p.c.);

2. con il secondo, violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 43, 45 R.D. 148/1931, 18 legge n. 300/1970, art. 2119 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), in quanto il lavoratore era stato coinvolto in un alterco seguito da vie di fatto o rissa (condotta punite con sanzione conservativa), era stato aggredito e curato al Pronto soccorso, si era legittimamente difeso senza auto-accusarsi;

3. con il terzo, violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., 2721 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte valorizzato unicamente le dichiarazioni rese dal collega all’azienda, in assenza di contraddittorio e differenti da quelle rese in sede processuale;

4. con il quarto, nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione alla domanda formulata in primo grado di accertamento della ritorsività del licenziamento;

5. in sede di memoria conclusiva viene altresì prospettata dal ricorrente nullità del procedimento disciplinare rilevabile d’ufficio;

6. il primo motivo non è fondato;

7. secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019); nel caso di specie, la Corte di merito, nell’ambito dell’apprezzamento valutativo del materiale probatorio di cui era investita, ha spiegato le ragioni del proprio convincimento, che sono state infatti criticate dalla parte nel prosieguo del ricorso sotto il profilo motivazionale, da ciò dovendosi dunque escludere la nullità procedimentale dedotta;

8. il secondo motivo è invece fondato per quanto di ragione;

9. è incontestato che la disposizione di cui al n. 15 dell’art. 42 R.D. 148/1931 riporta tra le condotte disciplinarmente illecite punite la sanzione conservativa della sospensione dal servizio gli “alterchi con vie di fatto, ingiurie verbali, disordini, risse o violenze sui treni, lungo le linee, nei locali dell’azienda o loro dipendenze”;

10. la Corte di Milano ha ritenuto tale previsione riduttiva rispetto al caso concreto, difformemente dal primo grado;

11. osserva il Collegio che le ragioni di tale valutazione, come esplicitate nella motivazione della sentenza impugnata non risultano congruenti con la scelta valoriale operata – in questo caso dal legislatore, in altri settori dalle parti sociali mediante le omologhe previsioni dei contratti collettivi – nel sanzionare condotte quali quella accertata;

12. questa Corte ha più volte affermato che, sebbene in tema di licenziamento per giusta causa non sia vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, tuttavia la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; conf. Cass. n. 17231/2020; v. anche Cass. n. 1665/2022, n. 13865/2019); che rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa, con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del CCNL, dovendo la scala valoriale ivi recepita costituire uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili oggettivo e soggettivo, ben potendo le parti sottoporre il risultato della valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame della S.C., sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare (Cass. n. 9396/2019); che il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 6165/2016); che un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, qualora sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, non può formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, salvo che non si accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 9223/2015; cfr. anche Cass. n. 2830/2016);

13. ora, la motivazione della sentenza impugnata non considera che la nozione contenuta nella speciale normativa per gli autoferrotranvieri risulta di amplissima portata semantica e fenomenologica (alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse, violenze) a copertura di una assai vasta gamma di condotte anche di significativa portata e di una certa violenza, prescindendo da elementi quali la provocazione o l’iniziale aggressione, e senza qualificazioni in termini di maggiore o minore gravità;

14. alla luce della previsione disciplinare, la qualificazione, operata nella sentenza impugnata, della condotta contestata al dipendente in termini esterni alla previsione stessa, la quale è assimilabile alla scelta valoriale che le parti sociali operano nelle parallele previsioni dei contratti collettivi di altri settori, finisce col sostituire a tale scelta valoriale, ed alla conseguente sussunzione dei fatti nella fattispecie disciplinare generale e astratta, una diversa scelta e sussunzione operata in via pretoria, sulla base di parametri non ancorati a dati oggettivi, ed in assenza di elementi, quali accertate conseguenze per il passeggero o per il servizio, che invece una maggiore gravità avrebbero potuto connotare obiettivamente e sotto il profilo della proporzionalità, ma che nel caso di specie pacificamente non risultano sussistenti;

15. la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in accoglimento di tale motivo, perché rivaluti la condotta contestata posta a base del licenziamento disciplinare (destituzione) tenendo conto delle specifiche previsioni di legge (art. 42 R.D. n. 148/1931) e dei principi su enunciati;

16. rimangono conseguentemente assorbiti il terzo motivo ed i profili di cui alla memoria del ricorrente;

17. non è meritevole di accoglimento il quarto motivo di ricorso, risultando la pronuncia sul motivo di appello concernente la dedotta ricorsività del licenziamento implicitamente negativa, trattandosi di domanda del tutto scollegata dall’episodio fattuale oggetto del procedimento disciplinare per cui è causa;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo, rigettati gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

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