Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2023, n. 2241

Lavoro, Licenziamento per giusta causa intimato in periodo di accertata malattia, Dirigente, Indennità supplementare, Eccezione d’inammissibilità del ricorso per revocazione, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. Con ricorso depositato il 4.4.2004, G.E. conveniva innanzi al Tribunale di Napoli la L.I. s.r.I., chiedendo di accertare, previa declaratoria dell’illegittimità e dell’ingiustificatezza del licenziamento intimatogli per giusta causa in data 31.7.2003 da detta società, sua datrice di lavoro, l’inefficacia dello stesso perché disposto in periodo di accertata malattia e, essendo egli dirigente, condannare la società convenuta al pagamento dell’indennità supplementare nella misura di 27 mensilità di retribuzione, o nella diversa misura ritenuta dal giudicante e comunque non inferiore a 19 mensilità, maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo, nonché in ogni caso al pagamento dell’indennità di preavviso nella misura di 12 mensilità di retribuzione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino al soddisfo; con vittoria di spese.

2. Costituitasi la convenuta che contestava tali domande, il Tribunale adito, con sentenza n. 4008, depositata il 22.4.2008, rigettava integralmente le stesse domande.

3. Con la sentenza n. 879, depositata in data 12.2.2009, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello che il G. aveva interposto contro la sentenza di primo grado.

4. Con sentenza n. 17548 del 23.8.2011, questa Corte rigettava il ricorso per cassazione che sempre il G. aveva proposto avverso la decisione di secondo grado.

5. Con ricorso ex art. 395 c.p.c., depositato il 20.7.2017, il G. chiedeva alla Corte d’appello di Napoli la revocazione straordinaria della sentenza della medesima Corte territoriale n. 879 del 10.4.2009.

6. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte territoriale accoglieva parzialmente il ricorso per revocazione del G. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava “la temporanea inefficacia del licenziamento comminato al ricorrente il 31.7.2003” e condannava “la società appellata al pagamento in favore di G.E. dell’indennità sostitutiva del preavviso nella misura di 12 mensilità, oltre accessori dalla maturazione dei singoli crediti al saldo”, compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio.

7. Per quanto qui interessa, la Corte distrettuale disattendeva l’eccezione della società resistente circa il superamento del termine di decadenza per promuovere la revocazione, ritenendo che il termine in questione decorresse dal deposito della sentenza di questa Corte in sede penale che aveva reputato inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale che, in sede d’appello, aveva confermato la condanna di Renda Pietro, sentito come teste nel procedimento civile che qui ci occupa, per il delitto di falsa testimonianza in relazione appunto alle dichiarazioni rese in primo grado. Riteneva, inoltre, rispetto alla cennata sentenza penale, che il principio della necessaria partecipazione di tutte le parti al giudizio penale è evidentemente espresso in materia di falsi documentali, mentre non è estensibile ai giudizi penali per falsa testimonianza nei quali, come nel caso di specie, la società di cui il falso testimone sia dipendente, non avrebbe titolo, salvo che sia danneggiata dalla testimonianza, a partecipare. Per il reato di falsa testimonianza – sempre secondo la Corte di merito – la partecipazione della parte che teoricamente si è avvantaggiata, anche solo per effetto non voluto o indiretto, della falsa testimonianza non può essere considerata dunque elemento e presupposto necessario della fattispecie, poiché la struttura del processo penale esclude tale partecipazione. Per la Corte, ancora, talune domande del G. erano inammissibili in sede di revocazione, in quanto nuove, ma non determinavano l’effetto di rendere inammissibile il ricorso per revocazione, dando luogo ad un effetto sostitutivo, in virtù del quale le conclusioni nuove dovevano essere sostituite con quelle originariamente rassegnate. Circa il merito rescissorio, poi, secondo la stessa Corte, avendo la testimonianza in seguito ritenuta falsa in sede penale rivestito efficacia determinante nello strutturare l’episodio contestato in sede disciplinare al G., colorandolo di un atteggiamento aggressivo unilaterale, in sintesi doveva escludersi che il licenziamento di quello potesse reputarsi fondato su giusta causa.

Riteneva, piuttosto, che la soppressione di un documento, pure addebitata al G., che rivestiva la qualifica di dirigente, “appare comunque configurare una giustificazione alla volontà di unilaterale risoluzione”, sicché non risultava dovuta l’indennità supplementare, mentre gli era dovuta l’indennità di preavviso, a fronte di un licenziamento temporaneamente inefficace, in quanto irrogato in costanza di malattia del dipendente.

8. Avverso tale decisione il G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di ricorso.

9. Ha resistito la società intimata con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di dodici motivi.

10. Il ricorrente principale ha replicato al ricorso incidentale con proprio controricorso.

11. Entrambe le contrapposte parti private hanno prodotto memoria.

12. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo del ricorso incidentale, con assorbimento di tutti gli altri motivi.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente principale denuncia “Violazione degli artt. 1324 e 1362 c.c. e dell’art. 7 L. n. 300/1970 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.

2. Con il secondo motivo, denuncia “Motivazione apparente e/o contraddittoria in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.

3. Con un terzo motivo, denuncia “Violazione falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 19 del CCNL dirigenti 2003 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.

4. Con un quarto motivo, denuncia “Violazione falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. e degli artt. 11 e 12 CCNL dirigenti 2003 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.”.

5. Con il primo motivo del suo ricorso incidentale, l’intimata deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 398 e 391-ter c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.)”, ivi sostenendo l’inammissibilità dell’azione di revocazione avverso una sentenza d’appello che doveva reputarsi passata in giudicato.

6. Con il secondo motivo dello stesso ricorso incidentale, si denuncia: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)”, deducendosi in tal senso sempre l’inammissibilità dell’azione di revocazione.

7. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si deduce:

“Violazione e falsa applicazione degli artt. 326 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)”, per la decadenza dalla proposizione dell’azione di revocazione.

8. Con il quarto motivo dello stesso ricorso, si deduce:

“Violazione o falsa applicazione dell’art. 395, co. 2, c.p.c. e dell’art. 654 c.p.p. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)”, sostenendosi “l’inammissibilità del ricorso per revocazione in ragione del mancato accertamento della falsità delle dichiarazioni del teste Renda in contraddittorio con la società controricorrente”.

9. Con il quinto motivo del ricorso incidentale, si lamenta: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussone tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)”, sempre per perorare l’inammissibilità dell’azione di revocazione.

10. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 326 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)”, questa volta, facendosi leva sull’inammissibilità delle domande nuove che la controparte aveva formulato nel ricorso per revocazione.

11. Con il settimo motivo di ricorso incidentale, si deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) e nullità del procedimento (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.)”, sostenendosi che, in ragione dell’inammissibilità delle domande nuove, dedotta con il precedente sesto motivo, l’impugnata sentenza sarebbe affetta da vizio di ultrapetizione.

12. Con l’ottavo motivo del medesimo ricorso, si deduce:

“Violazione e falsa applicazione dell’art. 402 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)”, perché era stato omesso l’esame di tutti gli addebiti contestati al G..

13. Con il nono motivo del medesimo ricorso, si deduce: “Violazione o falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)”, perché sussisteva una giusta causa di recesso.

14. Con il decimo motivo del ricorso incidentale, si deduce: “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)”, sostenendosi l’efficacia immediata del licenziamento.

15. Con l’undicesimo motivo dello stesso ricorso, si deduce: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)”, e, cioè, del certificato medico prodotto in atti dal G..

16. Con il dodicesimo ed ultimo motivo di ricorso incidentale, si deduce: “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2118 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)”, assumendosi l’efficacia obbligatoria (e non reale) del preavviso.

17. Osserva preliminarmente il Collegio che il ricorso incidentale della società intimata, non è condizionato, né può essere reputato tardivo, tenendo conto che, secondo quanto di recente specificato da questa Corte, in tema di impugnazione, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di un successiva fase o di un successivo grado di giudizio; pertanto, ai fini del computo del termine per il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che ha dichiarato inammissibile la revocazione ex art. 395, comma 1, n. 3), c.p.c., deve aversi riguardo all’originario atto introduttivo, venendo in considerazione pur sempre un mezzo di impugnazione, sia pure di carattere straordinario (così Cass. civ., sez. VI, 1.12.2021, n. 37750).

Nel caso che ci occupa, difatti, come emerge dalla narrativa che precede, ed è incontroverso tra le parti, il giudizio d’impugnativa di licenziamento che ci occupa era stato introdotto con il ricorso in primo grado del G., depositato il 4.4.2004, ben prima perciò della data del 4.7.2009.

Per conseguenza, in difetto di notificazione della sentenza, trovava ancora applicazione nella specie, anche per il ricorrente incidentale, il termine c.d. lungo di un anno ex art. 327 c.p.c. previgente.

Di talché, a fronte della sentenza resa in sede di revocazione, depositata il 6.7.2020, si appalesa tempestivo il ricorso incidentale, che risulta notificato in data 12.2.2021, e non può detto ricorso essere qualificato come impugnazione incidentale tardiva ai fini di cui all’art. 334 c.p.c.

18. Tanto premesso e specificato, dei molteplici motivi di tale impugnazione incidentale, anche in base al principio della ragione più liquida, appare fondato, con portata – come si vedrà – dirimente, il quarto motivo. In tal senso si concorda con quanto osservato e concluso dal P.G.

18.1. In proposito, giova premettere che la Corte distrettuale, nel disattendere l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per revocazione, sollevata dall’attuale ricorrente incidentale per il mancato accertamento della cennata falsa testimonianza nel procedimento penale in contraddittorio con la L.I. s.r.I., pur reputando pacifica la mancata partecipazione di quest’ultima al relativo giudizio penale, aveva – come anticipato in narrativa – osservato che: “Il principio della necessaria partecipazione di tutte le parti al giudizio penale è evidentemente espresso in materia di falsi documentali, mentre non è estensibile ai giudizi penali per falsa testimonianza nei quali, come ad esempio nel caso di specie, la società di cui il falso testimone sia dipendente non avrebbe titolo, salvo che sia danneggiata dalla testimonianza, a partecipare. Per il reato di falsa testimonianza la partecipazione della parte che

teoricamente si è avvantaggiata, anche solo per effetto non voluto o indiretto, della falsa testimonianza non può essere considerata dunque elemento e presupposto necessario della fattispecie, poiché la struttura del processo penale esclude tale partecipazione” (così a pag. 5 della sentenza qui impugnata).

18.2. E’ jus receptum nella giurisprudenza di legittimità che la prova falsa che, ai sensi dell’art. 395 n. 2) c.p.c., consente la proponibilità dell’impugnazione per revocazione, è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato, ovvero la cui falsità sia stata ammessa dalla parte a vantaggio della quale essa è stata utilizzata dal giudice, ma non la deposizione riconosciuta falsa o reticente dal testimone (così, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 24.1.2020, n. 1590).

Questa Corte, inoltre, nell’ambito di tale consolidato indirizzo, ha, altresì, reiteratamente specificato che, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di revocazione in questione è necessario che il giudicato (civile o penale) sul falso si sia formato in un giudizio al quale, abbiano partecipato tutte le parti del giudizio in cui è stata emessa la sentenza assoggettata a revocazione (in tal senso Cass. civ., sez. III, 22.2.2006, n. 3947, con diffusa motivazione; e in termini id., sez. I, 22.11.1996, n. 10358; id., sez. I, 15.9.1995, n. 9770; id., sez. I, 11.8.1982, n. 4527; id., 20.3.1974, n. 780).

18.3. Come si è visto, la Corte di merito ha mostrato implicitamente di conoscere il suddetto orientamento, ma ha reputato anzitutto che lo stesso si fosse formato in materia di falsi documentali. Già tale primo rilievo, però, è inesatto perché il principio di diritto sopra richiamato è stato affermato in termini generali, e non già con precipuo riferimento all’ipotesi in cui la falsità dichiarata in sede penale concerna documenti.

Del resto, Cass. n. 3947/2006 già cit., come emerge dalla relativa motivazione, riguardava fattispecie concreta in cui in sede penale era stata dichiarata la falsità, non solo di una cartella clinica, ma anche di perizie estese in sede penale e civile, e, perciò, di prove che non possono reputarsi documenti.

18.4. Nota ulteriormente questa Corte che l’art. 395 n. 2) c.p.c. parla latamente di “prove”, per quanto qui interessa, “dichiarate false”, senza perciò fare il benché minimo riferimento a falsi documentali e senza eccettuare prove dichiarative in genere e, segnatamente, la falsa testimonianza.

La conclusione esegetica cui è giunta la Corte territoriale è, perciò, anche antiletterale quando ha ritenuto che il principio della necessaria partecipazione di tutte le parti al procedimento penale che dà luogo al giudicato sulla falsità della prova non possa valere quando si tratti di una falsa testimonianza, come nel caso che ci occupa.

Invero, trattandosi di un mezzo d’impugnazione eccezionale, quale la revocazione, a maggior ragione nel caso che ci occupa, essendo stata esperita una revocazione c.d. straordinaria ex art. 395 n. 2) c.p.c., che può aggredire, cioè, un giudicato civile già formatosi, la previsione testé cit. è di stretta interpretazione e non si presta ad interpretazioni contrarie al tenore della stessa, che ne inverano una falsa applicazione.

Invece, la proposta ermeneutica della Corte territoriale profila un’efficacia erga omnes, affrancata dal contraddittorio, della sentenza penale che dichiari la falsità di testimonianze in genere; la quale efficacia, però, è priva di qualsiasi fondamento normativo.

18.5. Per altro verso, neppure è condivisibile la linea argomentativa in base alla quale la Corte di merito ha creduto di poter prescindere dalla partecipazione della società datrice di lavoro al giudizio penale in cui è stata appurata la falsa testimonianza di Renda Pietro resa nel primo grado del giudizio che qui ci occupa, e, cioè, perché detta società giammai avrebbe potuto prendere parte a quel diverso giudizio, per come è strutturato il processo penale.

Tale assunto, invero, soffre in primo luogo di una petizione di principio, dandosi, cioè, per dimostrato quanto si deve dimostrare, vale a dire, che il sol fatto che una parte di un giudizio civile non possa contraddire nel procedimento penale sulla falsa testimonianza, perché impedita ab imis a parteciparvi ad un qualsiasi titolo, farebbe sì che il giudicato penale sul piano soggettivo possa fare a meno di quella partecipazione, e nondimeno abilitare l’altra parte alla revocazione straordinaria in esame.

Del resto, anche per le falsità di rilievo penale che riguardino documenti possono darsi casi nei quali la parte del giudizio civile in cui è resa la sentenza che si vuole revocare per tal genere di falsità non abbia titolo o possibilità di partecipare al giudizio penale relativo; tanto che l’art. 537, comma 2, ultimo periodo, c.p.p., si premura di specificare che la cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma, del documento di cui è dichiarata la falsità, “non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti del procedimento”; e ciò all’evidente scopo di tutelare appunto le ragioni, rispetto ai provvedimenti attuativi della declaratoria di falsità in sede penale, di coloro i quali per qualsiasi motivo siano rimasti estranei al relativo procedimento penale.

18.6. Vero è, invece, che la soluzione cui è approdata la Corte partenopea è contrastante anche con l’art. 654 c.p.p., come pur dedotto dalla ricorrente incidentale.

Secondo quanto risulta anche dalla cronologia delle decisioni di legittimità sopra richiamate, questa Corte, per la verità, già prima dell’entrata in vigore dell’art. 654 del nuovo codice di rito penale (nell’anno 1989), sulla scia di decisioni del Giudice delle leggi, aveva sancito che la dichiarazione di falsità contenuta in una sentenza penale, per poter operare come causa di revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 2) c.p.c., presuppone che il relativo accertamento possa svolgere efficacia nei confronti delle parti del giudizio civile (cfr. nella motivazione Cass. n. 9770/1995 cit. ed i richiami alla giurisprudenza anche costituzionale ivi presenti).

Infatti, Cass. n. 4527/1982, pure già cit., aveva posto in luce che l’autorità del giudicato penale nel processo civile postula il carattere sostanziale del giudicato stesso ed opera nei soli confronti dei soggetti che siano stati messi in grado di partecipare al processo penale, non trovando deroghe od eccezioni nel giudizio instaurato con l’impugnazione per revocazione ex art. 395 n. 2) c.p.c.

Soggiunge, inoltre, questo Collegio che parrebbe controintuitivo, se non antinomico, da un lato, esigere che la falsità della prova da far valere con detto mezzo debba essere coperta da un giudicato formale (come costantemente affermato da questa Corte), e, dall’altro, consentire che quel giudicato possa credersi integrato sul piano soggettivo senza che una o più parti del giudizio civile in cui è stata resa la sentenza in ipotesi revocanda abbiano partecipato all’altro giudizio o almeno abbiano potuto farlo.

18.7. Una volta vigente l’art. 654 c.p.p., ossia, la norma specificamente deputata a stabilire quale sia l’ “efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi” (vale a dire, in giudizi civili o amministrativi non di danno o disciplinari, come nel caso in esame), questa Corte non ha potuto che ribadire anche sulla base di tale disposizione (applicabile ratione temporis al caso che ci occupa) il risalente orientamento sopra illustrato (cfr. in particolare Cass. n. 3947/2006 cit.). Rispetto, inoltre, all’obiezione che non ammettere la revocazione nei casi di mancata o impossibile partecipazione di talune parti del giudizio civile al giudizio penale che consacri la falsità significherebbe sottoporre l’art. 395 n. 2) c.p.c. ad un’interpretazione non conforme ai principi costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), questa Corte ha già, tra l’altro, ribattuto essere possibile un autonomo giudizio civile di falsità della prova propedeutico alla domanda di revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 2) cit. (cfr. in extenso nella motivazione sempre Cass. n. 3947/2006 cit.).

Va ricordato, poi, che all’origine dell’orientamento qui seguito v’erano per l’appunto plurime decisioni della Corte costituzionale, per le quali, proprio secondo il principio costituzionale della piena tutela giurisdizionale dei diritti, stabilito dall’art. 24 Cost., l’accertamento contenuto in una sentenza penale non può svolgere efficacia agli effetti civili nei confronti dei soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale o non siano stati, quanto meno, posti in grado di parteciparvi (Corte cost., sent. 22.3.1971, n. 55 e 27.6.1973, n. 99); perciò, al cospetto ora del novellato art. 111 Cost. circa i principi del giusto processo, a maggior motivo deve escludersi che una parte di un processo civile, che faccia ormai affidamento su una cosa giudicata formale e sostanziale certamente efficace anche nei suoi confronti, possa vedere attentato tale giudicato in base ad una falsità di una prova affermata inter alios in giudizio penale con oggetto e finalità del tutto differenti da quelli del giudizio civile cui aveva partecipato. Si noti, peraltro, in relazione al caso di specie, che è lo stesso ricorrente principale a riferire che: “In pendenza del procedimento innanzi al Giudice del lavoro, in data 20 aprile 2008, il ricorrente ha presentato atto di denuncia-querela nei confronti del teste Renda Pietro per falsa testimonianza” (cfr. pag. 2 del suo ricorso per cassazione), non risultando, però, che abbia almeno tentato di coinvolgere la controparte civile nel successivo procedimento penale e/o che abbia intrapreso autonomo giudizio civile, pur esperibile, volto a sentir dichiarare la falsità della testimonianza del Renda anche nei confronti della Lexmark.

Osserva conclusivamente il Collegio che l’indirizzo qui confermato è coerente con l’altro e risalente insegnamento, anche di recente confermato, secondo il quale, rispetto alla distinta ed alternativa ipotesi di “prove riconosciute” “false”, pure prevista dal n. 2) dell’art. 395 cit., il riconoscimento della falsità della prova è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata e non quello operato dagli stessi testimoni, nell’ipotesi in cui si tratti appunto di deposizioni testimoniali, oppure compiuto in giudizi vertenti tra terzi (a Cass. n. 1590/2020 all’inizio già cit. adde in termini esatti o analoghi id., sez. trib., 6.2.2009, n. 2896; id., sez. II, 29.8.1994, n. 7576, ed ivi i richiami a più remoti precedenti; id., sez. III, 30.3.1992, n. 3863).

Invero, l’ipotesi della falsità della prova che venga riconosciuta dall’ “autore” della stessa falsità, e non dalla controparte nel giudizio di revocazione, ma prima dello stesso, è speculare al caso della sentenza penale che accerti la falsa testimonianza passando in giudicato formale nel suo ambito, ma al di fuori del contraddittorio con la stessa controparte.

19. Tutto ciò premesso e ritenuto, la Corte territoriale nel caso di specie avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della revocazione per le ragioni sin qui esposte; inammissibilità che comunque dev’essere ritenuta in questa sede di legittimità, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto a riguardo, con conseguente cassazione senza rinvio della decisione impugnata (cfr. in termini nella motivazione Cass. n. 9770/1995 cit.; ma v. anche Cass. n. 3947/2006 cit., la quale, a fronte di sentenza che aveva respinto la domanda di revocazione, ne ha ritenuto l’inammissibilità in sede di legittimità appunto perché il giudicato penale sulle falsità dedotte quale motivo di revocazione ex art. 395 n. 2) c.p.c. si era formato in procedimento nel quale non avevano partecipato tutti i contendenti in sede civile).

20. Come anticipato, poiché il rilievo di tale ragione d’inammissibilità afferisce allo stesso mezzo d’impugnazione straordinaria, come tale e per come esperito nella specie, esso si appalesa assorbente sia rispetto agli ulteriori motivi del ricorso incidentale che rispetto all’intero ricorso principale, volto ad ottenere, per il tramite di una cassazione con rinvio della sentenza resa in sede di revocazione, provvedimenti di merito più favorevoli di quelli conseguiti.

21. Pertanto, il ricorrente principale, del tutto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della ricorrente incidentale, delle spese di questo giudizio di legittimità e di quello di revocazione, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, dichiarando assorbiti tutti gli altri motivi dello stesso ricorso, nonché il ricorso principale. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’impugnazione per revocazione proposta alla Corte d’appello di Napoli; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della ricorrente incidentale, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, e delle spese del giudizio di revocazione, che liquida complessivamente in € 4.000,00 per compensi, per entrambe le impugnazioni oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

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