Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2023, n. 6339

Lavoro, Licenziamento per superamento del periodo di comporto, Revoca del primo licenziamento, Irrogazione di un secondo licenziamento, destinato ad operare in caso di annullamento di quello precedente, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale di Latina, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato da A.S.A. (…) soc. coop. a V.E. con lettera in data 3/11/2014, e condannato la società alla reintegrazione del lavoratore, al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal licenziamento alla reintegra;

2. la Corte di merito, in particolare, a differenza del giudice di primo grado (che aveva dichiarato l’originario ricorso del lavoratore inammissibile per difetto di interesse ad agire, essendo già stato destinatario di un licenziamento disciplinare in data 9/5/2013, sul quale si era pronunciata da ultimo questa Corte con sentenza n. 17247/2016), ha ritenuto che non vi era stata pronuncia sul merito del precedente licenziamento, ma solo declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, sicché era da ritenersi ammissibile l’impugnazione del secondo licenziamento; che la società aveva dedotto nell’altro giudizio di avere posto nel nulla il primo licenziamento avendone irrogato un secondo; che il datore di lavoro non aveva dedotto alcunché circa la legittimità del secondo licenziamento del 3/11/2014, nonostante specifiche contestazioni circa la durata dell’assenza, inferiore a complessivi 545 giorni nell’arco temporale di 1.095 giorni ai sensi dell’art 45, lett. b), del CCNL di settore; che doveva conseguentemente applicarsi la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, quarto comma, legge n. 300/1970 per violazione dell’art. 2110, secondo comma, c.c.;

3. avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società con unico motivo, illustrato da successiva memoria, cui resiste con controricorso il lavoratore;

 

Considerato che

 

1. parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., e violazione del divieto di bis in idem; segnatamente contesta l’interpretazione del giudicato sul licenziamento del 9/5/2013, formatosi con la sentenza di questa Corte n. 17247/2016, che avrebbe deciso la causa anche nel merito, in particolare relativamente al passo della motivazione dove si legge che la “continuità e la permanenza del rapporto rende quindi ammissibile l’irrogazione di un secondo licenziamento, pur chiaramente destinato ad operare solo in caso di annullamento di quello precedente”;

2. occorre in primo luogo osservare che non si tratta di decisione nel merito, ma di rigetto del ricorso del lavoratore avverso la decisione della medesima Corte d’Appello di Roma che aveva dichiarato inammissibile il reclamo avverso il provvedimento del Tribunale di Latina di rigetto del ricorso diretto all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare del 9/5/2013 ed alla condanna alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni;

3. la motivazione della sentenza qui impugnata è effettivamente da correggere ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., perché ha rovesciato l’impostazione logica circa l’esame del procedimento relativo al primo licenziamento sul quale si è formato il giudicato (con sentenza di questa Corte n. 17247/2016); in effetti non si tratta di rilevare (come ha fatto la Corte d’Appello) che non vi era stato accertamento nel merito della legittimità del licenziamento, ma piuttosto che era stata respinta la domanda del lavoratore di accertamento dell’illegittimità del primo licenziamento;

4. tuttavia, il dispositivo della sentenza impugnata rimane conforme a diritto, ed in questo senso il ricorso deve essere respinto, perché la Corte d’Appello ha dato (anche) esplicito rilievo all’espressa deduzione della società, nel procedimento precedente (memoria 4/12/2014 allegata anche in questa sede), di avere “posto nel nulla” il licenziamento del 9/5/2013, per facta concludentia, avendo irrogato un successivo licenziamento; sulla base della stessa ammissione della società, appunto, di aver “posto nel nulla” il primo licenziamento, la Corte ha fondato autonoma ratio decidendi a sostegno della decisione;

5. ora, rispetto a tale ratio decidendi presupposta all’accertamento della mancata dimostrazione del superamento del periodo di comporto nella fattispecie in esame, la società non ha mosso alcun tipo di rilievo; deve, di conseguenza, ritenersi che il primo licenziamento, seppure sia stata rigettata la domanda del lavoratore di accertamento della sua illegittimità, sia stato di fatto revocato dalla stessa società; il giudicato relativo al primo licenziamento faceva riferimento all’ammissibilità dell’irrogazione di un secondo licenziamento, destinato ad operare in caso di annullamento di quello precedente, ma non ricomprendeva l’ipotesi di revoca del primo licenziamento; accertata, nel merito, tale revoca, il secondo licenziamento è stato dichiarato illegittimo, per mancata prova del superamento del periodo di comporto, con la sentenza impugnata in questa sede;

6. quest’ultima, pertanto, salve le precisazioni motivazionali di cui sopra, non deve essere cassata, in forza del principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, quando la sentenza risulta sorretta da ratio decidendi distinta ed autonoma, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, rimane consolidata l’autonoma motivazione non censurata (cfr. Cass. n. 15399/2018; n. 17182/2020, n. 10815/2019);

7. il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, con regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza;

8. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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