Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2023, n. 8410

Lavoro, Licenziamento, Principio di esclusività del rapporto con la pubblica amministrazione, Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, Il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, fermo solo il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 196/2021 la Corte d’Appello di Genova confermava la pronuncia n. 284/2020 del Tribunale di La Spezia che, riformando la decisione assunta in sede cautelare dallo stesso Tribunale nelle forme del c.d. rito Fornero, aveva respinto le domande proposte da (…) Istruttore di Vigilanza del corpo di Polizia Municipale presso il Comune di (…) intese ad ottenere: (i) la dichiarazione di nullità di entrambi i licenziamenti intimatile dal Comune: l’uno in data 23 dicembre 2014, l’altro il 6 maggio 2019; (ii) la reintegrazione nella posizione di lavoro occupata all’atto del licenziamento, con ogni conseguenza sul piano retributivo e previdenziale; (iii) il risarcimento del danno da quantificarsi in 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

2. La (…) mentre era in congedo retribuito biennale finalizzato all’assistenza del padre invalido (dal 2013 al 2015), era stata sorpresa da numerosi organi di p.g. (Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia Municipale) a gestire l’azienda di famiglia “(…)”, in violazione del principio di esclusività del rapporto con la pubblica amministrazione.

Ne era seguito il licenziamento del 23 dicembre 2014, che non era stato impugnato dalla (…).

Nelle more era stato definito il giudizio penale per il reato di truffa aggravata ex art. 640 cod. pen. con sentenza del Tribunale di La Spezia n. 646/2018 che aveva assolto la (…) “perché il fatto non sussiste”.

All’esito di tale giudizio la (…) aveva chiesto la riapertura del procedimento disciplinare, istanza però respinta dal Comune con provvedimento del 4 maggio 2019.

Sosteneva l’ente che la (…) era da tempo decaduta dalla facoltà di impugnare il licenziamento del 23 dicembre 2014 e, in via subordinata, ad ogni modo confermava il provvedimento espulsivo e, per quanto occorrente, irrogava un nuovo licenziamento sotto altro profilo e cioè per l’omessa assistenza al genitore nei giorni e nelle fasce orarie in cui egli andava ad effettuare la dialisi in ospedale.

Tale provvedimento era stato impugnato dalla (…)

3. La Corte territoriale, come già il Tribunale, respingeva il ricorso.

Riteneva che l’esito del giudizio penale non valesse ad inficiare la sussistenza dell’illecito disciplinare, che aveva riguardato la violazione del principio dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico.

Rilevava, in particolare, che l’accertamento del giudice penale verteva esclusivamente sull’effettivo svolgimento dell’attività di assistenza nei confronti del padre e non anche sull’esercizio di attività lavorativa all’interno del camping che costituiva, invece, la contestazione centrale svolta dal Comune nel procedimento disciplinare del dicembre 2014.

Da ciò, dunque, ricavava una diversità di fondo dei fatti oggetto dei due distinti procedimenti che, pur aventi una comune genesi storica, tuttavia presupponevano accertamenti di tipo e qualificazione giuridica diversi, essendo altresì differenti la natura e gli scopi delle incolpazioni disciplinari.

Riteneva, in secondo luogo, che lo svolgimento abituale e professionale, da parte della (…) di attività lavorativa presso il camping risultava provato da una serie di elementi risultanti dai verbali di p.g. e così: – l’essere la predetta socia della società che gestiva il camping; – l’essere la medesima l’unica, tra tutti i soggetti che erano risultati presenti nella struttura, per età e condizioni fisiche e per l’effettiva e continuativa presenza, in grado di svolgere quell’attività da aprile a settembre di ogni anno; – l’alto fatturato e le dimensioni del camping; – le condizioni di salute degli anziani genitori.

3. Avverso tale sentenza (…) ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre distinti motivi.

4. Il Comune di (…) ha resistito con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge dell’articolo 653 cod. proc. pen., con riferimento all’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ.

Afferma che, essendo alla base dei due procedimenti disciplinari i medesimi fatti storici che il giudice penale ha esplicitamente dichiarato come irrilevanti, non può residuare in capo all’Amministrazione un autonomo spazio valutativo, a maggior ragione se in peius; pertanto, su quegli stessi fatti la Corte territoriale si sarebbe dovuta obbligatoriamente adeguare al giudicato penale e ciò anche a tutela del principio del divieto di ne bis in idem.

2. Il motivo è infondato.

Sussistono innanzitutto profili di inammissibilità non essendo trascritti né il provvedimento di licenziamento né la sentenza penale di assoluzione in relazione ai quali la ricorrente forma le censure.

In ogni caso, per quanto si rileva dalla sentenza qui impugnata, la Corte territoriale ha accertato che si trattava di fatti diversi.

L’assoluzione, ad avviso dei giudici d’appello, ha riguardato il fatto reato contestato e cioè la truffa, essendosi escluso in quella sede l’inganno fondato sul mendacio, sulla dolosa reticenza o sulla rappresentazione di situazioni diverse dal reale; ma il giudicato penale non ha certo negato l’incompatibilità con il rapporto di lavoro pubblico dell’attività svolta dalla (…) presso il camping né tantomeno ha ritenuto che tale condotta non fosse riferibile alla (…).

È del tutto evidente, allora, che tale fatto materiale e la contestata incompatibilità restava suscettibile di valutazione in sede disciplinare.

Va infatti applicato il principio affermato da questa Corte a sezioni unite, in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati, secondo il quale, in tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità – e dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione – operato nel giudizio penale (v. Cass., Sez. Un., 9 luglio 2015, n. 14344; Cass., Sez. Un., 24 novembre 2010, n. 23778; Cass., Sez. Un., 18 ottobre 2000, n. 1120).

Il suddetto principio è stato ribadito anche nell’ambito del pubblico impiego (v. Cass. 12 febbraio 2021, n. 3659).

Si ricordi, del resto, che in termini generali la sanzione disciplinare è strettamente correlata al potere direttivo del datore di lavoro, inteso come potere di conformazione della prestazione alle esigenze organizzative dell’impresa o dell’ente, potere che comprende in sé quello di reagire alle condotte del lavoratore che integrano inadempimento contrattuale. La previsione della sanzione disciplinare non è posta a presidio di interessi primari della collettività, tutelabili erga omnes, né assolve alla funzione preventiva propria della pena, sicché l’interesse che attraverso la sanzione disciplinare si persegue, anche qualora i fatti commessi integrino illecito penale, è sempre quello del datore di lavoro al corretto adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto (v. in tal senso Cass. 26 ottobre 2017, n. 25485).

Diversi essendo i presupposti delle relative responsabilità e i piani di operatività dei rispettivi giudizi, non è precluso al giudice civile riesaminare i medesimi accadimenti nell’ottica dell’illecito disciplinare, non sussistendo alcun vincolo rispetto alle valutazioni nella sentenza penale laddove le stesse esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare (v. in tal senso anche Cass., Sez. Un., 5 aprile 2012, n. 5448).

3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 653 cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 55-ter d.lgs. 165/2001, con riferimento all’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ.

Assume che la Corte territoriale non avrebbe applicato correttamente il suddetto art. 55 ter che deve essere necessariamente interpretato in relazione a quanto previsto dall’art. 653 cod. proc. pen.; in conseguenza il Comune di (…) avrebbe dovuto prendere atto della vincolatività del giudicato penale e archiviare il procedimento penale.

4. Il motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al motivo che precede.

5. Con la terza censura la ricorrente rileva, da una parte, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ., con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e, dall’altra, l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, n. 5, cod. proc. civ.

Sostiene che gli elementi di prova che la Corte d’appello ha considerato idonei ed adeguati ad assolvere alla funzione di prova dello svolgimento di un’attività lavorativa svolta dalla stessa nel camping, si sostanzino, in realtà, in mere illazioni, congetture suggestive ed argomenti logici che non hanno alcuna dignità e consistenza di prova, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

Lamenta, infine, che su un fatto decisivo per il giudizio, ossia se la ricorrente lavorasse in modo abituale e professionale nel campeggio, la Corte avrebbe omesso ogni riferimento e valutazione alle risultanze testimoniali che ciò hanno negato, preferendo privilegiare quelle suggerite dalla P.A.

6. Il motivo è inammissibile.

Nella parte in cui la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. senza, però, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e, dunque, per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360, comma 1, cod. proc. civ. perché, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. Un., 10 giugno 2016, n. 11892).

Va, poi, ricordato che la dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma può sussistere soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere istruttorio officioso (v. ex aliis Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892), situazione – questa – non sussistente nel caso in esame.

Infine, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie, la Corte territoriale ha esaminato il fatto storico devoluto e cioè lo svolgimento di attività incompatibili con i doveri del dipendente pubblico e, ai fini del rigetto della domanda, ha discrezionalmente selezionato e valutato, con un insindacabile accertamento nel merito, determinate circostanze, desumendole dai verbali di polizia giudiziaria e dai documenti acquisiti nel giudizio disciplinare e nel giudizio penale e, lungi dal basare il proprio ragionamento su semplici illazioni o congetture suggestive, ha ritenuto che dette circostanze integravano precisi e plurimi elementi confermativi delle conclusioni de D e della violazione del dovere di esclusività, il tutto con una motivazione reale, logica e non apparente.

7. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.

8. Alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

9. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2023, n. 8410
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