Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 aprile 2023, n. 9513

Lavoro, Dipendenti elettrici, Diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica, Natura non retributiva dell’agevolazione tariffaria, Conformità del recesso a buona fede e correttezza, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con ricorso del 19.12.2016, gli attuali ricorrenti per cassazione in epigrafe indicati, insieme ad altri sei attori, tutti pensionati quali ex dipendenti di convenivano innanzi al Tribunale (…) s.p.a., (…) s.r.l. e (…) s.p.a., chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: 1) accertare e dichiarare la nullità, l’inefficacia o, comunque, annullare e, in ogni caso, dichiarare priva di effetti nei loro confronti la disdetta comunicata dalla società datrice di lavoro, per il tramite di (…) s.p.a.; 2) accertare e dichiarare il loro diritto alla conservazione del diritto alla riduzione dell’80% della tariffa di vendita dell’energia elettrica di cui all’art. 33 del C.C.L. per i dipendenti elettrici (…) del 21.2.1989, secondo i termini e le condizioni ivi stabilite; 3) accertare e dichiarare che la soppressione del diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica operata dalla società datrice di lavoro nei confronti dei ricorrenti integra un inadempimento contrattuale; 4) ex art. 1453 c.c., condannare (…) s.p.a. e (…) s.r.l., quali condebitori solidali ex art. 2112 c.c., ciascuna per quanto di rispettiva ragione, al ripristino immediato dei diritti alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica, nonché a risarcire i ricorrenti del danno patrimoniale da essi patito, commisurato al controvalore dello sconto di cui essi avevano fruito dall’1.12.2016 fino al giorno dell’effettivo ripristino, maggiorato degli accessori come per legge e da quantificarsi in separato giudizio; 5) in via gradata, nella denegata ipotesi di non ritenuta inefficacia della operata disdetta, accertare e dichiarare che la soppressione del diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica costituisce ingiustificato arricchimento a vantaggio del recedente e, per l’effetto, ex art. 2041 c.c., condannare (…) s.p.a. e (…) s.r.l., quali condebitori solidali ex art. 2112 c.c., ovvero ciascuno per quanto di rispettiva ragione a indennizzare i ricorrenti della correlativa diminuzione patrimoniale, da liquidarsi commisurandolo al controvalore perduto (7.000 Kwh x 0.20% = € 1.400,00 annui; 2.500 Kwh x 0,20% = € 500,00 annui) proiettato ad un’aspettativa di vita di oltre 87 anni delle più giovani tra l’ex dipendente e il coniuge) (così come calcolato nella tabella allegata); 6) in via estremamente gradata, condannare (…) s.p.a. e (…) s.r.l. al pagamento del c.d. una tantum, così come quantificato secondo l’età anagrafica compiuta da ciascun ricorrente alla data del 31.12.2015, secondo i criteri stabiliti negli accordi dell’11.5.2011 e dell’1.12.2011 o in subordine nella tabella allegata; in ogni caso con vittoria di spese in distrazione e a carico delle convenute in via solidale, ovvero per quanto di rispettiva ragione.

2. Costituitesi le convenute che contestavano tali domande, il Tribunale adito, con sentenza del 10.4.2018, rigettava le domande degli attori, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bari rigettava l’appello che dodici (tra i quali gli attuali ricorrenti per cassazione) degli originari istanti avevano proposto contro la decisione di primo grado, confermandola e compensando di nuovo le spese del secondo grado.

4. Per quanto qui ora soprattutto interessa, la Corte territoriale, nel disattendere tutti i motivi d’appello dei lavoratori impugnanti, dopo aver ricostruito la disciplina collettiva succedutasi ed evolutasi nel senso di un progressivo superamento del quadro originario circa l’agevolazione tariffaria in discorso, giungeva, come il primo giudice, alla conclusione che la disdetta dal beneficio scontistico, da quelli contestata sotto diversi profili, non violava diritti quesiti degli stessi ed era anche rispettosa dei principi di correttezza e buona fede, confermando, altresì, che l’agevolazione tariffaria non rivestisse natura retributiva. In base alle svolte considerazioni, infine, ribadiva la perfetta correttezza del pur censurato rigetto della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, spiegata dagli attori.

5. Avverso tale decisione soltanto (…) (del maggior numero degli appellanti) hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

6. Hanno resistito le intimate società con unico controricorso.

7. Entrambe le contrapposte parti private hanno prodotto memoria.

8. Il P.G. pure ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro, per erronea interpretazione dell’art. 27 del CCNL (…) del 4.2.1946, dell’art. 25 del CCNL (…) dell’11.4.1963, dell’art. 33 del CCNL dell’1.8.1979, dell’art. 33 del CCNL (…) del 21.2.1989, degli artt. 38 e 30 del CCNL (…) del 23.4.1996, nonché dell’art. 51 del dpr 917/1986 e degli artt. 1362 e 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”. In sintesi, premettendo che i giudici di merito (sia di primo che di secondo grado) avevano ritenuto che nella contrattazione collettiva di riferimento non vi sia alcun elemento che possa indurre a ritenere che la riduzione della tariffa abbia avuto una qualche incidenza sugli istituti retributivi previsti dal c.c.n.l. o sull’entità della pensione, né tanto meno che essa sia stata parametrata alla prestazione lavorativa, lamentano che la sentenza impugnata soffre ugualmente della mancata ricognizione delle disposizioni degli accordi collettivi nella loro storica successione. Deducono che negli argomenti esposti dalla Corte territoriale per sostenere la legittimità del recesso unilaterale (…) vi sarebbe violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e degli accordi collettivi, che qualificano e riconducono lo sconto tariffario alla prestazione retributiva, secondo l’interpretazione letterale e storica, posto che l’espressione letterale “compete” torna in tutti gli accordi, e secondo la regola dell’interpretazione tesa a stabilire la volontà negoziale in base al senso letterale delle espressioni adoperate con l’ausilio del criterio del collegamento logico ex art. 1363 c.c.

2. Con il secondo motivo, denunciano “Violazione dell’art. 118 disp. att. cpc, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 cpc – Vizio di motivazione per omesso esame di punti decisivi e illogicità su punti decisivi, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 cpc., e violazione dell’art. 1366 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc – Violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cpc”. Secondo i ricorrenti, l’aver anteposto il principio della recedibilità unilaterale ha dispensato la Corte territoriale, non soltanto dalla ricerca sulla natura obiettiva della voce (che se retributiva avrebbe presidiato il diritto quesito) ma anche dall’osservanza della motivazione, richiesta altresì ai sensi dell’art. 118 c.p.c.

3. Con un terzo motivo, denunciano “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1366 e 1375 cod. civ., nonché dell’art. 1373 secondo comma cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc”. Per i ricorrenti, quand’anche volesse accedersi alle generali condizioni economico-sociali che possano giustificare il recesso datoriale (appunto epocale, per esaurimento della funzione economico-sociale dell’Accordo), il recesso non venne esercitato in occasione dell’accordo del 23.4.1996, allorché si decise di sopprimere la riduzione tariffaria a partire solo dalle nuove assunzioni (dall’1.8.1996), nei confronti di chi prestava già (…) alle dipendenze (…) (per costoro il CCNL del 23.4.1996 aveva rispettato il “diritto quesito”), ragione ulteriore per la quale l’impugnato recesso è contrario a correttezza e buona fede.

4. Con un quarto motivo, denunciano “Violazione e falsa applicazione del principio dell’art. 2041 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.”. Espongono i ricorrenti che la domanda di ripetizione per arricchimento ingiustificato era stata dai ricorrenti avanzata solo in via subordinata, per il caso in cui il recesso datoriale fosse stato riconosciuto illecito, con diritto in tal caso alla ripetizione di somme pari alla misura del diritto non fruito a partire dall’intervenuta disdetta. Per cui falsamente già il Tribunale aveva ritenuto che “per effetto della disdetta l’arricchimento conseguito dall’azienda non è ingiustificato, in quanto esso è conseguenza del legittimo esercizio del diritto del datore di lavoro di recedere unilateralmente da vincoli contrattuali di durata indefinita” (pag. 7 della sentenza di primo grado).

Conclusione passata indenne nella sentenza della Corte territoriale.

5. Il primo motivo presenta profili d’inammissibilità ed è comunque infondato.

5.1. Contrariamente a quanto paiono dedurre i ricorrenti, infatti, la Corte d’appello ha ripercorso in chiave “storica” la vicenda dell’agevolazione tariffaria in questione, prendendo le mosse dall’art. 27 c.c.l. del 4.2.1946 (cfr. § 6.1. alle pagg. 5-7 della sua sentenza).

Quanto, poi, alla pretesa violazione del canone legale di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c., i ricorrenti si limitano a sostenere che l’espressione letterale “compete” torna in tutti gli accordi che avevano interessato l’agevolazione tariffaria.

Non è specificato nemmeno, poi, sotto quale profilo sarebbe stato violato il criterio dell’interpretazione complessiva delle clausole” ex art. 1363 c.c.

5.2. In ogni caso, la decisione gravata, dopo la cennata ricostruzione della vicenda dell’agevolazione tariffaria nella contrattazione collettiva, proprio in base alla configurazione di tale beneficio nella stessa, ha evidenziato che esso era previsto anche in favore dei pensionati, prescindeva assolutamente dall’anzianità, dalle mansioni e dalla qualifica rivestita, e che, comunque, la misura tariffaria era determinata in maniera del tutto indipendente rispetto a qualsiasi parametro riferibile alla prestazione lavorativa del singolo beneficiario (nonché dallo stesso svolgimento in sé della prestazione lavorativa). Inoltre, ha constatato che per espressa pattuizione delle parti stipulanti si trattava di una concessione che “non viene computata ad alcun effetto” e non aveva incidenza sul calcolo di istituti contrattuali come le mensilità aggiuntive e il t.f.r., né sulla misura della pensione. Ha considerato, ancora, che il beneficio fosse indirizzato ad agevolare la fruizione dell’energia nelle famiglie dei dipendenti in modo slegato dalla prestazione di lavoro lo si evinceva dal fatto che fosse sempre strettamente collegato all’uso familiare dell’abitazione principale, tanto che, qualora vi fossero stati più componenti di uno stesso nucleo familiare tutti dipendenti (…) l’agevolazione spettava comunque per una sola utenza, per chi rivestiva il ruolo di ‘capofamiglia’; e ciò a dimostrazione del fatto che l’essenza del beneficio non era il soddisfacimento di un interesse esclusivo del dipendente.

Segnalava, pure, che il beneficio era riconosciuto a soggetti neppure dipendenti, quali vedovi/e o i familiari di lavoratori assenti dal (…) per chiamata alle armi. Dopo aver preso in considerazione talune specifiche previsioni di diversi CCNL, riteneva motivatamente che non poteva giovare alla tesi sostenuta dagli allora appellanti neanche il richiamo alle sentenze n. 25024/15 e n. 586/17 di questa Corte (cfr. in extenso pagg. 13-17 della sua sentenza).

5.3. È di tutta evidenza, allora, che l’affermazione della natura non retributiva dell’agevolazione tariffaria, da parte della Corte distrettuale, si fonda non soltanto sugli aspetti ricordati dai ricorrenti, ed appare condivisibile.

6. Inammissibile è il secondo motivo.

6.1. Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).

È stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’articolo 348-ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così Cass. civ., sez. III, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).

6.2. Nel caso in esame, però, a fronte di decisioni di primo e di secondo grado tra loro senz’altro conformi, neppure hanno allegato i ricorrenti per cassazione se e in che punti le rispettive rationes decidendi di tali pronunce fossero almeno in parte differenti.

6.3. Per la parte in cui il secondo motivo si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. esso è, quindi, inammissibile

6.4. Per il resto, parimenti inammissibile è la censura dove si lamenta la violazione dell’art. 1366 c.c., non essendo specificato anche nello sviluppo della censura in relazione a quale oggetto di natura negoziale sarebbe stato violato il principio dell’ “interpretazione di buona fede” e come.

6.5. Quanto, infine, alla pretesa anomalia motivazionale che pure i ricorrenti deducono nel secondo motivo, è sufficiente considerare che, contrariamente a quanto essi sembrano sostenere, la Corte territoriale si è invece espressamente e diffusamente pronunciata sulla natura del beneficio in questione, escludendone la natura retributiva (cfr. il § 6.3. alle pagg. 12-17 della sua sentenza), come si è già visto nello scrutinare il primo motivo di ricorso.

7. Inammissibile ancora è il terzo motivo, nello svolgimento del quale si assume che il profilo di valutare il recesso e la sua conformità a correttezza e buona fede <non era stato esaminato invece nella sentenza del Tribunale, e ciò esclude la “doppia conforme”. Per cui la sentenza è impugnata anche per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.>.

Tuttavia, nella seguente esposizione della censura neppure viene specificato di quale fatto storico, principale o anche secondario, decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti la Corte distrettuale avrebbe omesso l’esame, inducendo il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.

Inoltre, pur riconoscendo i ricorrenti che la Corte d’appello si è pronunciata anche su questo aspetto della conformità del recesso a buona fede e correttezza, le considerazioni svolte in tale motivo, inidonee per quanto detto a costituire una critica efficace, sono in buona parte riferite a ciò che aveva ritenuto il Tribunale.

8. Il quarto motivo è inammissibile per difetto assoluto della specificità richiesta dall’art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c.

Nell’esposta censura, infatti, non è contenuta alcuna critica alla decisione gravata, che, tenendo conto del relativo motivo d’appello (cfr. § 3.3. a pag. 4), si era espressamente pronunciata anche su tale motivo, riguardante appunto la domanda subordinata di ingiustificato arricchimento (cfr. pag. 17 della stessa).

9. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento secondo soccombenza delle spese di lite, liquidate ai sensi del D.M. n. 147/2022.

10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art. 13 d.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge, e distrae in favore dei difensori delle società contro ricorrenti, Avv.ti A.M. e M.G..

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

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