Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2023, n. 9985

Lavoro, Compenso dei medici convenzionati, Indennità di rischio, Principio dell’uniformità del trattamento economico dei medici convenzionati, Specificazione di particolari condizioni di disagio e difficoltà nell’espletamento della prestazione, Rigetto  

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di L’Aquila, adita dall’A.S.L.A.S.A. e nel contraddittorio con P.T., medico di medicina generale addetto al servizio di continuità assistenziale, ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di l’Aquila che aveva accolto l’originario ricorso ed aveva condannato l’Azienda al pagamento nella misura intera dei corrispettivi previsti dall’Accordo Integrativo Regionale per la medicina generale in relazione alle voci indennità di rischio, indennità H12/24 e festività di particolare rilevanza;

2. la Corte territoriale ha ritenuto non spettante l’indennità di rischio, la cui corresponsione era stata sospesa dalla Giunta Regionale con delibera n. 398/2017, ed ha ritenuto affetta da nullità la clausola dell’Accordo Integrativo che l’aveva riconosciuta, perché in contrasto con le previsioni dell’Accordo Nazionale che, nel determinare la struttura del compenso dei medici convenzionati, consentiva l’intervento della contrattazione regionale nei soli limiti dell’attuazione dell’art. 8, lettere b) c) ed e), che riguardano compensi di carattere incentivante o legati a prestazioni aggiuntive e condizionati, quindi, da presupposti non ricorrenti in relazione all’indennità di rischio;

3. ha aggiunto che l’art. 14 dell’A.C.N. ha demandato agli accordi regionali anche la definizione di «parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale» ma su questa previsione non poteva essere fondata l’asserita legittimità dell’AIR perché il compenso aggiuntivo di € 4,00 per ora era stato previsto esclusivamente in relazione alla tipologia dell’incarico e riconosciuto in modo automatico ed indifferenziato a tutti i medici impegnati nella continuità assistenziale, la cui attività, quanto alla gravosità ed ai rischi derivanti dall’esecuzione di prestazioni in orario notturno e nei giorni prefestivi e festivi, presenta caratteristiche comuni a tutto il territorio italiano, delle quali la contrattazione nazionale ha evidentemente tenuto conto ai fini della determinazione del compenso onnicomprensivo;

4. la Corte d’appello ha ritenuto, invece, fondata la domanda del medico convenzionato quanto agli ulteriori compensi, il cui importo era stato unilateralmente ridotto dall’amministrazione, ed ha rilevato, in sintesi, che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime, non autorizzavano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, tanto più che l’intervento unilaterale aveva riguardato il solo corrispettivo mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato;

6. ha precisato che la Delib. G.R. Abruzzo n. 592 del 2008, nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali le aziende avrebbero dovuto attenersi, specificando che la riduzione doveva essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione e ciò in attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei contratti collettivi;

7. anche il decreto del Commissario ad acta n. 27 del 2011 aveva escluso che le ASL potessero unilateralmente modificare i contenuti normativi ed economici degli AIR, tanto più che occorreva evitare che si producessero disparità di trattamento in ambito regionale per le medesime prestazioni ed indennità;

8. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.T. sulla base di tre motivi;

9. l’A.S.L.A.S.A., oltre a resistere con controricorso all’impugnazione principale, ha proposto ricorso incidentale affidato a sette censure, poi illustrato da memoria, alle quali P.T. ha replicato con controricorso;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 412/1991, come modificato dall’art. 52, comma 27, della legge n. 289/2002, degli artt. 40 e 45 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 48 della legge n. 833/1978;

la ricorrente principale sostiene, in sintesi, che la nullità dell’accordo regionale è predicabile solo a fronte di un irriducibile contrasto con le previsioni della contrattazione nazionale, contrasto non ravvisabile nella fattispecie in quanto, pur nel rispetto del principio della tendenziale uniformità del trattamento economico e normativo del personale parasubordinato, è stata consentita la previsione di compensi ulteriori in considerazione delle peculiarità proprie del servizio del singolo ambito regionale;

2. con il secondo motivo del ricorso principale è dedotta, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 8,14 e 72 dell’A.C.N. sottoscritto il 20 gennaio 2005 ed il ricorrente addebita alla Corte distrettuale di avere erroneamente valorizzato la previsione di onnicomprensività dell’importo orario contenuta nell’art. 72, perché con la stessa le parti collettive avevano solo inteso superare la quadripartizione contenuta nel precedente Accordo del 2000, non già escludere la possibilità di ulteriori compensi, anche se non legati a prestazioni aggiuntive o al raggiungimento di obiettivi determinati;

richiama giurisprudenza di merito per sostenere che l’indennità di rischio istituita dall’art. 13 dell’A.I.R. valorizza le difficoltà e i disagi nell’espletamento dell’incarico nell’ambito del territorio abruzzese e, pertanto, la sua previsione è espressione del potere attribuito ai contraenti regionali dall’art. 14 dell’A.C.N.;

3. infine con il terzo motivo del ricorso principale è denunciata, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1362 e 1344 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 416 cod. proc. civ. e si sostiene che l’accordo regionale è frutto di una valutazione operata, quanto alle condizioni di rischio e di disagio, su tutte le sedi di continuità assistenziale operanti nel territorio regionale, valutazione confermata dalle risultanze di causa, ed in particolare dalla documentazione prodotta, nonché, indirettamente, dallo stesso legislatore regionale che con la legge n. 14/2018;

4. la ricorrente incidentale antepone alla formulazione delle censure la ricostruzione del quadro normativo e, con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia l’erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 173, 176, 178 e 180, dell’art. 6 dell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 278 e 281, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. b), dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, degli artt. 1339, 1418, 1419 e 1374 cod. civ.;

4.1. sostiene, in sintesi, che le delibere del D.G. dell’ASL e quelle del Commissario ad acta hanno natura autoritativa ed inderogabile e sono state adottate sulla base delle disposizioni richiamate in rubrica che hanno imposto alle Regioni di perseguire l’obiettivo del contenimento della complessiva spesa sanitaria e dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza;

4.2. deduce che la Regione Abruzzo, in quanto soggetta al Piano di Rientro, non poteva erogare servizi sanitari ulteriori rispetto a quelli previsti nei L.E.A., secondo i principi enunciati dalla Corte Costituzionale (dec. n. 117/2018) e rileva che nella fattispecie di causa erano in questione incentivi facoltativi e volontari, che esulavano dai L.E.A. e che, come tali, non potevano essere erogati nella loro interezza;

5. con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia, sotto altro profilo e sempre ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 173, 176, 178 e 180, dell’art. 6 dell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 278 e 281, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. b) dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale;

5.1. censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha tratto conferma della necessità di una modifica consensuale dell’A.I.R. dai contenuti della Delib. di Giunta Regionale n. 592 del 2008 e della successiva Delib. Commissariale n. 27 del 2011, ed evidenzia che in detti atti si faceva riferimento alla sola riapertura dei tavoli di concertazione – nella specie avvenuta – e non anche alla modifica dell’A.I.R.; la delibera Commissariale, poi, faceva espressamente salvi i contenimenti di spesa effettuati fino a quel momento dalle ASL e, dunque, anche di quelli adottati con la Delib. n. 563 del 2009 (poi modificata, in recepimento della Delib. del Commissario ad acta n. 24 del 2012, con la Delib. n. 150 del 2013);

5.2. rileva la contraddittorietà tra il riconoscimento del carattere vincolante del tetto di spesa fissato dal Commissario ad acta e dalla Regione e la conclusione secondo cui per la sua attuazione sarebbe stato necessario il consenso dei sindacati;

6. la medesima rubrica è anteposta al terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale l’Azienda torna a sostenere che la rimodulazione dei compensi poteva essere disposta unilateralmente a livello aziendale perché imposta dai provvedimenti regionali, non sindacabili, a loro volta emanati in attuazione del piano di rientro dal deficit in materia di spese sanitarie;

7. con il quarto motivo, formulato sempre i sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente incidentale addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 1326 cod. civ. e deduce che la riduzione aveva interessato prestazioni facoltative, non rientranti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), sicché il medico convenzionato avrebbe potuto decidere di non accettare le nuove condizioni, astenendosi dal rendere le prestazioni accessorie perché non adeguatamente compensate;

7.1. il diverso comportamento concludente tenuto doveva essere valorizzato perché sintomatico della conclusione di un nuovo accordo fra le parti;

8. la quinta critica dell’impugnazione incidentale, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni contenute nell’accodo collettivo nazionale 23 marzo 2005 per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi della L. n. 421 del 1992, art. 1 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 come modificato dal D.Lgs. n. 517 del 1993 ed in particolare dell’art. 54, nonché dell’art. 5 dell’Accordo Integrativo Regionale Abruzzo;

8.1. l’Azienda contesta la qualificazione dei compensi previsti dall’Accordo e rileva che le voci reclamate si sostanziano in un incentivo economico, privo di diretta corrispettività, riconosciuto per prestazioni non obbligatorie che il medico convenzionato avrebbe anche potuto non rendere una volta che l’Azienda aveva reso nota la riduzione dell’ammontare del compenso;

9. con il sesto motivo è denunciata ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 40 bis del d.lgs. n. 165/2001 perché la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere nulle le clausole del contratto decentrato comportanti oneri economici non più compatibili con gli strumenti di programmazione economica ed in particolare con l’Accordo sottoscritto il 6 marzo 2007 dalla Regione Abruzzo con il Governo;

10. la settima censura, egualmente ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, allegato E, art. 5, perché non potevano essere disapplicati gli atti amministrativi con i quali la Pubblica Amministrazione, intervenendo sulla base di quanto disposto dalla Regione Abruzzo con D.G.R. n. 592 del 2008, aveva, in concreto, realizzato i risparmi di spesa;

10.1. la ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2244/2015) per sostenere che il potere di disapplicazione può essere esercitato unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto non costituisca il fondamento del diritto dedotto in giudizio bensì rappresenti un mero antecedente logico, sì da integrare un pregiudiziale in senso tecnico;

11. entrambi i ricorsi, seppure ammissibili, sono infondati;

12. quanto al ricorso principale basterà richiamare, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la motivazione della sentenza n. 29137 del 2022 con la quale, in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella oggetto di causa, è stato enunciato il principio di diritto secondo cui: « in tema di rapporto di lavoro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, l’art. 2-nonies del d.l. 29 marzo 2004, n. 81, convertito in legge 26 maggio 2004, n. 138, rimette agli accordi nazionali ivi previsti, anche attraverso il richiamo all’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e quindi al sistema comune del pubblico impiego contrattualizzato ivi contenuto, la disciplina della contrattazione di ambito regionale ed aziendale, sicché la contrattazione collettiva decentrata non può validamente disporre in senso contrastante rispetto a quanto stabilito in ambito nazionale; è pertanto nulla la previsione di cui all’art. 13 dell’Accordo Integrativo Regionale per la Regione Abruzzo del 9.8.2006, con cui, a fronte di una disciplina dell’Accordo Collettivo Nazionale 20.1.2005, che consente di valorizzare, anche a fini incentivanti, specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività, è stato previsto in modo generalizzato un compenso aggiuntivo orario (indennità di rischio) per tutti i medici di continuità assistenziale operanti sul territorio regionale»;

13. il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso, perché il ricorso e la memoria depositata ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. non prospettano argomenti che possano indurre a rimeditare le conclusioni alle quali la Corte è pervenuta sulla base di un percorso motivazionale qui pienamente condiviso;

14. in particolare il ricorrente principale, nell’insistere sulla generalizzata condizione di pericolosità di tutte le sedi di continuità assistenziale del territorio abruzzese, oltre a sollecitare inammissibilmente un giudizio di merito diverso da quello espresso dalla Corte territoriale, non coglie pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale, correttamente, si evidenzia che al livello regionale è stato consentito dall’art. 14 dell’A.C.N. la «definizione di parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale», definizione che difetta nella fattispecie con la conseguenza che, in sua assenza, l’indennità si risolve in una non consentita maggiorazione del compenso orario;

la contrattazione nazionale è chiara nel richiedere la specificazione di particolari condizioni di disagio e difficoltà nell’espletamento della prestazione ed è anche evidente che detta specifica indicazione è funzionale alla verifica della compatibilità della maggiorazione con il principio dell’uniformità del trattamento economico dei medici convenzionati sancito dall’art. 48 della legge n. 833/1978, sicché la sua mancanza determina la nullità della clausola, la cui validità non può essere predicata sollecitando accertamenti di fatto sulle caratteristiche delle singole sedi, una volta che queste non sono state indicate e valorizzate dall’accordo regionale;

15. neppure può essere avallata la tesi, esposta nel ricorso per cassazione, secondo cui la contrattazione regionale esprimerebbe l’apprezzamento di merito per cui tutto il territorio abruzzese sarebbe caratterizzato da condizioni idonee a giustificare quel rischio, per giunta in modo diffusamente differenziato per tutti i medici di continuità assistenziale della Regione, rispetto a ciò che accade nel resto del Paese;

16. si tratta infatti di assunto apodittico e tutt’altro che notorio, oltre che smentito dalle valutazioni di fatto svolte dalla Corte territoriale in ordine alla sostanziale uniformità di base delle attività in questione su tutto il territorio nazionale, considerazioni rispetto alle quali non assumono portata decisiva in senso contrario, anche in ipotesi ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e per la loro genericità, le circostanze addotte sul trovarsi gli ambulatori e le strutture in condizioni di seria pericolosità a causa della particolare struttura oro-geografica del territorio, non potendosi poi riferire ad un insindacabile scelta di “merito” ciò che attiene ad un dato di fatto, se vi sia un’incoerenza rispetto all’effettiva realtà, la quale palesemente non consente di affermare che le condizioni territoriali dell’intera Regione fossero invariabilmente tali da giustificare una uniforme valutazione del menzionato disagio e rischio;

17. non diversamente, è puramente affermato che la scelta di attribuire quell’indennità fosse consequenziale alle condizioni delle sedi di Guardia Medica, asserite come insicure e non dotate delle misure prevenzionistiche necessarie, senza distinzione alcuna tra sede e sede e senza che – come indirettamente ammette la stessa ricorrente, a pag. 11, penultimo periodo, e 14, penultimo periodo, del ricorso – quelle condizioni e giustificazioni fossero state esplicitate nell’accordo appunto come ragioni del riconoscimento del beneficio economico;

18. parimenti infondato è il ricorso incidentale perché la sentenza impugnata ha deciso la controversia in conformità ai principi di diritto enunciati da Cass. n. 11566/2021, Cass. n. 19327/2021, Cass. n. 22440/2021, Cass. n. 27782/2021 e da altre pronunce conformi (cfr. fra le tante Cass. n. 30922, 28526, 27661 del 2022), che hanno respinto analoghi ricorsi proposti dalle Aziende Sanitarie della Regione Abruzzo avverso le pronunce della Corte d’Appello di L’Aquila con le quali, sulla base delle medesime argomentazioni espresse nella pronuncia qui impugnata, era stata ritenuta illegittima la riduzione unilaterale dei compensi previsti dalla contrattazione, nazionale e integrativa regionale, seppure finalizzata al rispetto dei tetti di spesa imposti dal Piano di rientro;

19. con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., si è affermato che:

a) il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali;

b) la disciplina dettata dall’art. 48 della legge n. 833/1978 e dall’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 non è derogata da quella speciale prevista per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione nazionale e da quella integrativa regionale;

c) le richiamate esigenze, sopravvenute alla valutazione di compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione;

d) l’atto unilaterale di riduzione del compenso non ha natura autoritativa perché il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata;

20. all’enunciazione dei principi di diritto questa Corte è pervenuta sviluppando argomentazioni che comportano il rigetto di tutti i motivi di ricorso qui proposti dalla ASL ricorrente perché, quanto alla prevalenza degli atti discrezionali finalizzati ad assicurare l’attuazione del Piano di rientro, sulla quale si incentrano le prime tre censure, si è osservato che l’obbligo imposto alle Regioni dalle leggi n. 311/2004, n. 296/2006 e n. 191/2009 di modificare gli atti in precedenza adottati è stato significativamente riferito a quelli normativi ed amministrativi inerenti la programmazione sanitaria, fra i quali non possono essere ricompresi gli accordi stipulati all’esito delle procedure di contrattazione regionale;

21. è stato precisato al riguardo che sia la legge n. 311/2004 che la legge n.191/2009 contengono significative disposizioni dalle quali si evince che il legislatore non ha inteso sminuire il ruolo assegnato alla contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, anche nel contesto particolare delle Regioni interessate dalla situazione di disavanzo, perché l’art. 1 della legge n. 311/2004, al comma 178, ha ribadito il principio secondo cui il rapporto fra il Servizio Sanitario nazionale ed i medici di medicina generale «è disciplinato da apposite convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e successive modificazioni, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale» e la legge n. 191/2009, all’art. 2, commi 71 e 72, pur imponendo adempimenti finalizzati alla riduzione della spesa complessiva del personale, anche a convenzione, ha richiamato significativamente la contrattazione ed ha stabilito che l’obiettivo del contenimento della spesa deve essere perseguito, non attraverso l’intervento unilaterale sul trattamento retributivo, bensì per mezzo del «ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione integrativa»;

22. sono stati poi ribaditi i principi affermati da questa Corte in tema di impiego pubblico contrattualizzato, estensibili anche al rapporto convenzionale in ragione di un sistema delle fonti modellato su quello previsto dal d.lgs. n. 165/2001 (cfr. Corte Cost. n. 157/2019 e Corte Cost. n. 186/2016), secondo cui in siffatti rapporti occorre che sia assicurata la necessaria conformazione del contratto individuale a quello collettivo, perché è la contrattazione che garantisce nell’impiego pubblico contrattualizzato la parità di trattamento e nel rapporto convenzionale l’uniformità sull’intero territorio nazionale di cui all’art. 48 della legge n. 833/1978;

23. le considerazioni svolte sul punto comportano, quindi, il rigetto anche del quarto motivo di ricorso perché, una volta esclusa la possibilità per la contrattazione individuale di modificare l’assetto stabilito dalla contrattazione nazionale e da quella decentrata, secondo le rispettive sfere di competenza, non può che essere privo di rilievo il comportamento tenuto di fatto dalle parti del singolo rapporto, alle quali non è consentito negoziare il contenuto delle rispettive obbligazioni;

24. per ragioni non dissimili si deve ritenere infondata anche la quinta censura, giacché il carattere volontario della prestazione e la possibilità di non rendere la stessa, non possono certo essere invocati a giustificazione dell’inadempimento dell’Azienda né escludono il diritto a ricevere il corrispettivo stabilito dalla contrattazione regionale per i servizi resi nel rispetto delle condizioni contrattualmente previste;

25. il potere unilaterale di riduzione dei compensi non può essere fondato sull’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001, al quale rinvia l’art. 52 della legge n. 289/2002 e del quale è denunciata la violazione nel sesto motivo, perché in tutte le versioni succedutesi nel tempo è rimasto immutato il comma 4 della disposizione in parola secondo cui «le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti»;

26. quanto, poi, alla contrattazione integrativa il legislatore ne ha previsto la doverosa “disapplicazione” nelle sole ipotesi di nullità delle clausole contrattuali, espressamente affermata in relazione ai contratti che, al momento della sottoscrizione, risultino essere in contrasto con i vincoli imposti dal contratto nazionale o comportino oneri non previsti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione (art. 40, comma 3, della versione originaria;

art. 40, comma 3 quinquies del testo modificato dal d.lgs. n. 150/2009). La nullità prevista dall’art. 40 è quindi solo quella genetica del contratto, che rende inefficaci le clausole della contrattazione integrativa sin dal momento della loro stipulazione;

26.1. il potere unilaterale di intervento sulle materie riservate alla contrattazione integrativa è stato eccezionalmente attribuito al datore di lavoro pubblico dal d.lgs. n. 150/2009, ma solo alle condizioni previste dai commi 3 bis e 3 ter del modificato art. 40, ossia in via provvisoria e alla scadenza del termine fissato per la sessione negoziale in sede decentrata, dopo che le parti, in caso di mancato accordo, abbiano riassunto «le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione»;

26.2. detto potere unilaterale, lo si ripete eccezionale, è stato pensato dal legislatore, a partire dal d.lgs. n. 150/2009, al dichiarato fine di assicurare la funzionalità dell’azione amministrativa, ma è stato disciplinato in termini che non smentiscono il ruolo centrale attribuito alla contrattazione né consentono di ricondurre il potere stesso all’esercizio di potestà autoritativa;

26.3. è poi assorbente rispetto ad ogni altra considerazione il rilievo che l’intervento unilaterale resta circoscritto all’ambito della contrattazione di competenza, sicché lo stesso non può certo essere invocato per incidere su istituti contrattuali la cui disciplina sia riservata ad un altro livello di contrattazione;

27. infine, quanto all’asserita violazione della legge n. 2248/1865, allegato E, artt. 4 e 5, nei precedenti citati si è affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che l’atto con il quale la ASL ha unilateralmente ridotto il compenso non è espressione di un potere di supremazia e partecipa della medesima natura privatistica del rapporto che si instaura con il professionista convenzionato;

27.1. il rapporto di parasubordinazione con i medici di medicina generale e con i pediatri di libera non è assimilabile a quello che si instaura con le strutture accreditate, oggetto di disposizioni specifiche, dettate dagli articoli da 8 quater a 8 sexies del d.lgs. n. 502/1992 che, come sottolineato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 3 del 2012), delineano un modello bifasico nel quale la determinazione delle tariffe ha matrice autoritativa e vincolante;

27.2. al contrario nel rapporto convenzionale con i pediatri di libera scelta e con i medici di medicina generale l’ente agisce su un piano di parità sicché l’atto con il quale lo stesso pretende di rideterminare il compenso, in peius rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva, non è espressione di potestà pubblica e va equiparato a quello con il quale il debitore, privato, rifiuta di adempiere, in toto o parzialmente, l’obbligazione posta a suo carico;

27.3. d’altro canto la Corte territoriale correttamente ha evidenziato che nella fattispecie non è stata posta in discussione la legittimità della delibera n. 592/2008 e del decreto del commissario n. 27/2011, nella parte concernente la fissazione dei tetti di spesa, perché oggetto di contestazione sono solo le modalità con le quali la ASL ha ritenuto di potere perseguire l’obiettivo fissato da quei provvedimenti e, quindi, gli atti unilaterali dei quali è contestata la legittimità non rientrano fra quelli contemplati dagli artt. 4 e 5 dell’allegato E della legge n. 2248/1865 perché non sono espressione di potestà autoritativa;

28. in via conclusiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione, in ragione della soccombenza reciproca;

29. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente principale e dalla ricorrente incidentale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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