Fra assenza dal lavoro e assistenza al disabile vi deve essere un nesso causale intenso in senso non temporale bensì funzionale.

Nota a Cass. (ord.) 13 marzo 2023, n. 7306

Francesca Fedele

Qualora il lavoratore che fruisca del permesso per assistenza disabili di cui all’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 “svolga l’attività di assistenza in tempi e modi tali da soddisfare in via preminente le esigenze ed i bisogni dei congiunti in condizione di handicap grave, pur senza abdicare del tutto alle esigenze personali e familiari altre rispetto a quelle proprie dei congiunti disabili e pure a prescindere dall’esatta collocazione temporale di detta assistenza nell’orario liberato dall’obbligo della prestazione lavorativa, non potrà ravvisarsi alcun abuso del diritto o lesione degli obblighi di correttezza e buona fede, quindi alcun inadempimento….”. Laddove, invece, “manchi del tutto un nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile (ex L. n. 104/1992), non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, privando sine causa il datore di lavoro della prestazione e determinando uno sviamento dell’intervento assistenziale dell’Inps”.

È quanto ribadisce la Corte di Cassazione (13 marzo 2023, n. 7306; conf. Cass. n. 9217/2016 e Cass. n. 4984/2014), la quale specifica che:

– l’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 (più volte modificata, dapprima ad opera della L. n. 53/2000, art. 19 – che ha abolito il requisito della convivenza – e, successivamente ad opera della L. n. 183/2010, art. 24, co. 1, che ha eliminato i requisiti della “continuità” e della “esclusività” dell’assistenza prestata al disabile (per ulteriori successive modifiche, v. art. 6, D. LGS. n. 119/2011, D.LGS. 105/2022), nella versione risultante dopo la L. n. 183/2010 (che rileva nella fattispecie in esame) prevede: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado […], ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”;

– tale disposizione prefigura un nesso diretto e rigoroso tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile. Tale nesso va inteso “non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile”. Ciò senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, purché risulti non tradita (secondo forme di abuso del diritto) e soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalità del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati (v. Cass. n. 21520/2019; Cass. n. 19580/2019 e Cass. n. 30676/2018);

– pertanto, il nesso posto dal testo normativo (la cui ratio è quella di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare”) non è “strettamente temporale”, ma “funzionale”, in relazione al godimento del permesso e agli oneri incombenti che connotano l’attività di assistenza delle persone disabili in condizioni di gravità. In altre parole, il contenuto dell’assistenza che legittima l’assenza dal lavoro (il permesso retribuito), quindi i tempi e i modi attraverso cui la stessa viene realizzata, devono cioè individuarsi non tramite automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, bensì “in ragione della finalità per cui i permessi sono riconosciuti, cioè la tutela delle persone disabili, il cui bisogno di ricevere assistenza giustifica il sacrificio organizzativo richiesto al datore di lavoro”.

Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione si pone in linea con la Corte di merito per la quale la condotta posta in essere dal lavoratore nella fruizione dei permessi non aveva rilievo disciplinare, con impossibilità di configurare i requisiti del giustificato motivo soggettivo di recesso, né integrava un abuso o uno sviamento dalle finalità del beneficio con conseguente insussistenza del fatto contestato, ed applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 4, Stat. Lav., come mod. dalla L. n.  92/2012.

Permessi per assistenza ai genitori disabili e nesso causale
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