Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 aprile 2023, n. 10284

Lavoro, Licenziamento disciplinare, Illecito disciplinare nel pubblico impiego, Protratto uso anomalo di una carta carburante di servizio, Termini per la conclusione del procedimento disciplinare, D.Lgs. n. 75/2017 (cd. legge “Madia”), Computo dei termini, Violazione del termine di trasmissione degli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, Decadenza dall’azione disciplinare, Esclusione, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Palermo, riformando la sentenza del Tribunale di Termini Imerese, ha accolto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dal Comune di Chiusa Sclafani nei confronti di G.G..

La Corte, ricostruendo il momento in cui doveva ritenersi che il responsabile del servizio cui era addetto il G. avesse avuto contezza dell’illecito, ha ritenuto che fosse stato violato il termine di dieci giorni per la comunicazione dei fatti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari (di seguito, UPD) e, a seguire, i termini stabiliti per lo svolgimento e la conclusione del procedimento disciplinare, circostanze tutte da cui essa faceva derivare l’illegittimità del licenziamento, con condanna del datore alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

2. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, resistiti dal G. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il Comune adduce la violazione dell’art. 55-bis d. lgs. 165/2001, illogicità della sentenza e travisamento dei fatti, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Il Comune sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente fatto leva sul fatto che fin dall’ottobre 2017 il responsabile dell’Area Tecnica si fosse reso conto dell’anomalia delle spese di fornitura di carburante per l’agosto 2017 – per fare da tale epoca decorrere i termini poi valorizzati al fine di concludere per la decadenza del Comune dalla facoltà di procedere in via disciplinare – in quanto i tempi, fino poi alla segnalazione all’UPD del febbraio 2018 si erano resi necessari per le ulteriori verifiche sui costi anomali risalenti fin al 2015, nel complesso poi fatti oggetto tutti di un’unitaria contestazione.

Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 55-bis, co. 4, d. lgs. 165/2001, dell’art. 97 Cost., dell’art. 1 L. 241/1990, degli artt. 24 e 113 della Costituzione, nonché carenza e contraddittorietà della motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Con esso, sulla scia del primo motivo, si assume che non qualsiasi notizia di illecito disciplinare giustifichi il decorso dei termini di legge per la contestazione, che si avrebbe solo quando il contenuto di tale notizia sia già sufficiente a consentire un adeguato apprezzamento dei fatti rilevanti.

2. Il terzo motivo è dedicato ancora alla violazione dell’art. 55-bis, co. 9-ter, d. lgs. 165/2001 e con esso si richiama la nuova formulazione della norma, in esito alla c.d. legge Madia e la giurisprudenza anche anteriore di questa S.C., secondo cui la violazione del termine di trasmissione degli atti all’UPD non comporta la decadenza dall’azione disciplinare, se non quando risulti leso il diritto di difesa dell’incolpato.

Anche il quarto motivo argomenta analogamente, integrando le difese con riferimento al fatto che risultavano rispettati sia i termini di contestazione, sia quelli di chiusura del procedimento disciplinare, richiamando altresì gli artt. 152 ss. del c.p.c. ed le regole sui termini processuali.

Non diversamente, il quinto motivo richiama sempre l’art. 55-bis e fa rilevare come la titolarità soggettiva del potere disciplinare sia dell’UPD e dunque solo rispetto ad esso si possa ragionare in punto di rispetto dei termini del procedimento, sicché, si aggiunge su identici presupposti normativi con il sesto motivo, il calcolo a far data dalle corrette date di riferimento avrebbe dovuto far riconoscere la tempestività dell’addebito.

3. Infine, il settimo motivo assume la violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 13, co. 1-quater, d.p.r. 115/2002, sottolineando come l’accoglimento del ricorso conseguente alla fondatezza dei motivi avrebbe dovuto portare ad una statuizione sulle spese di giudizio favorevole alla parte pubblica.

4. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, da analizzare preliminarmente, sono fondati ed il loro accoglimento manda assorbite le restanti censure.

4.1 L’illecito contestato, concernendo comportamenti sia anteriori (fin dal 2015 o comunque dal 2016) sia posteriori (agosto 2017) alle modifiche introdotte all’art. 55-bis d. lgs. 165/2001, nell’ambito di un procedimento unitario riguardante il protratto uso anomalo di una carta carburante di servizio, ricade, secondo quanto già ritenuto da questa S.C. e qui da confermare (Cass. 6 ottobre 2022, n. 29142) nella disciplina procedimentale successiva e tuttora vigente, secondo cui (comma 9-ter) «la violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività».

Vale dunque il consequenziale principio – di cui al medesimo precedente, alla cui motivazione si fa rinvio anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. – secondo il quale «in tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, anche dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 75 del 2017  (cd. legge “Madia”) all’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, la violazione del termine (ora di dieci giorni) per la trasmissione degli atti dal responsabile del servizio all’ufficio per i procedimenti disciplinari non comporta la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, a meno che ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente; ne consegue che il richiamo della norma al principio di tempestività va inteso nel senso che anche la rilevanza di eventuali violazioni del termine per la trasmissione degli atti va misurata in ragione della violazione del diritto di difesa, tenendosi conto che il pregiudizio rispetto a quest’ultimo è di regola più probabile quanto più ci si allontani nel tempo dal momento dei fatti».

Del resto, anche nel regime anteriore, si è costantemente ritenuto che «in tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, l’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, nel disciplinare i tempi della contestazione, mentre impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere, “entro cinque giorni dalla notizia del fatto”, gli atti all’ufficio disciplinare, prescrive a quest’ultimo, a pena di decadenza, di contestare l’addebito entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione degli atti, sicché va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione sollecitatoria, comporti, di per sé, l’illegittimità della sanzione inflitta, assumendo rilievo la sua violazione solo allorché la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito» (Cass. 9 marzo 2022, n. 7642; Cass. 10 agosto 2016, n. 16900; Cass. 26 agosto 2015, n. 17153).

È dunque errato il ragionamento della Corte territoriale che ha fatto discendere la decadenza dal solo mancato rispetto del termine per la trasmissione degli atti, senza altra diversa verifica sulla violazione del diritto di difesa in ragione delle particolarità e specificità del caso concreto.

4.2 Ma errato è anche il ragionamento parimenti svolto dalla Corte territoriale – e censurato nei motivi – secondo cui si sarebbe avuta violazione anche dei termini per la contestazione e, soprattutto, per la conclusione del procedimento disciplinare.

Non vi è infatti dubbio che il termine per la contestazione, sia prima che dopo la riforma c.d. Madia, vada calcolato dal momento in cui l’UPD riceve gli atti dal responsabile della struttura.

Mentre, tuttavia, prima della menzionata riforma, il termine per la conclusione del procedimento aveva comunque decorrenza dalla conoscenza dell’illecito da parte del responsabile della struttura (art. 55-bis, co. 4, penultimo periodo), per effetto della riforma stessa, come detto qui applicabile, esso – della durata di centoventi giorni – decorre dalla contestazione dell’addebito da parte dell’UPD.

Conseguentemente errato è l’essersi tout court ritenuta la violazione dei termini di contestazione – mai assistita da conseguenze decadenziali – e di conclusione del procedimento, rispetto a quest’ultimo caso, ora predicabile solo se l’eccedenza vi sia sulla base del calcolo con decorrenza dalla data della contestazione.

Eccedenza nel caso di specie non verificatasi, essendo stata la contestazione spiccata il 2.3.2018 ed il provvedimento applicato il 27.4.2018 e dunque entro i prescritti 120 giorni.

5. Tutti i profili appena esaminati attengono a questioni prettamente giuridiche, proprie dell’apprezzamento delle conseguenze di diritto delle tempistiche del procedimento disciplinare, sicché è infondata l’eccezione di inammissibilità per il loro riferirsi al merito, sollevata dal lavoratore con il controricorso.

6. Il ricorso va dunque accolto e la causa rimessa alla medesima Corte territoriale che procederà alla disamina anche della questione sulla tempestività/decadenza, in base alle corrette regole quali qui definite, oltre a quanto eventualmente consequenziale.

7. Può stabilirsi il seguente principio: «Per effetto della nuova disciplina di cui alla cd. Legge Madia, il termine per la conclusione del procedimento da parte dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari non decorre più dalla conoscenza dell’illecito in capo al responsabile della struttura di appartenenza, ma da quando l’ufficio predetto abbia ricevuto la segnalazione di tale illecito, sicché a tal fine i tempi intercorsi prima di quella trasmissione non hanno rilievo, se non quando ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente».

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 aprile 2023, n. 10284
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