Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 aprile 2023, n. 10802

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Comunicazione per iscritto dei motivi di licenziamento, Termine, Legge n. 92/2012, Comunicazione di licenziamento che non sia andata a buon fine per causa imputabile al datore di lavoro, Esclusione dell’effetto impeditivo delle decadenza, Principio di tempestività nel procedimento disciplinare, Tutela indennitaria e tutela reintegratoria, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto il reclamo di P. I. spa, confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente B. F. il 22.4.2017.

2. La Corte territoriale ha richiamato l’art. 55, commi 2 e 4, del c.c.n.l. applicato secondo cui “2. I provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa, nel corso dei quali il lavoratore può presentare le proprie giustificazioni”; “4. la comunicazione del provvedimento deve essere inviata per iscritto al lavoratore entro e non oltre 30 giorni dal termine di scadenza della presentazione delle giustificazioni, in difetto di che il procedimento disciplinare si ha per definito con l’archiviazione”; ha accertato che P. I. spa aveva mosso la contestazione disciplinare con lettera del 7.3.2017; che aveva inviato due volte la lettera di licenziamento alla lavoratrice: una prima volta in data 11.4.2017, a mezzo raccomandata postale, ma la notifica non era andata a buon fine; una seconda volta il 21.4.2017, tramite ufficiale giudiziario, e la notifica era stata ritualmente eseguita il 22.4.2017. Ha aggiunto che diversi anni prima, esattamente l’11.4.2014, la lavoratrice aveva inviato un fax all’ufficio risorse umane della società dichiarando di voler ricevere le comunicazioni in C. M., V. E. 43, ed aveva prodotto diverse comunicazioni inviatele da P. a tale indirizzo e regolarmente ricevute; ha desunto da tali circostanze che non potesse giudicarsi incolpevole l’invio della prima lettera di licenziamento ad un indirizzo (V. E. 41) non corrispondente a quello indicato dalla dipendente. Né l’errore di P. poteva ritenersi incolpevole alla luce delle annotazioni apposte dall’addetto al recapito sulla busta della raccomandata (“da ricerca effettuata sulla via … non esiste nominativo in indirizzo. Chiesto nelle vicinanze e precisamente a viale E. snc -presumibile dimora della signora F. – un residente dichiara che non esiste nella zona il nominativo di F. B.”), alla luce delle precedenti comunicazioni indirizzate da P. alla dipendente all’indirizzo esatto (civico 43) e giunte a destinazione; né appariva dirimente la circostanza che la notifica della lettera di recesso andata a buon fine recasse l’indirizzo errato (civico 41), ben potendo tale circostanza trovare spiegazione nelle ricerche in loco svolte più accuratamente dall’ufficiale giudiziario.

3. Considerato quale dies a quo del termine di trenta giorni previsto dal c.c.n.l. la data del 12.3.2017 (coincidente con la scadenza di cinque giorni dopo il ricevimento della lettera di contestazione), i giudici di appello hanno rilevato che il termine di trenta giorni sarebbe scaduto l’11.4.2017 e che il licenziamento intimato con lettera inviata alla lavoratrice il 21.4.2017 era tardivo.

4. Hanno ritenuto, in base alla previsione del contratto collettivo, che il mancato rispetto del termine comportasse la definizione del procedimento disciplinare con l’archiviazione e che dovesse trovare applicazione la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012.

5. Avverso tale sentenza P. I. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. B. F. ha resistito con controricorso.

6. P. I. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 55, commi 2 e 4 c.c.n.l. 2011, degli artt. 1326, 1334 e 1335 c.c. e dell’art. 2729 c.c.

8. La società ricorrente sostiene che la spedizione della lettera di licenziamento effettuata tempestivamente la prima volta, a mezzo posta ordinaria, doveva ritenersi andata a buon fine e la conoscenza dell’atto presuntivamente raggiunta, malgrado l’erronea indicazione del numero civico sul plico (civico 41), considerata l’inutile attività di ricerca del nominativo della ricorrente effettuata dal portalettere non solo presso l’indirizzo indicato sulla busta, ma anche presso tutte le abitazioni della stessa via e presso l’ufficio anagrafe. Atteso che la prima spedizione era tempestiva e la mancata consegna del plico addebitabile alla lavoratrice, il cui nominativo era assente in tutti i civici della stessa via E. e nell’intero comune, il termine previsto dal contratto collettivo doveva ritenersi rispettato, dovendosi attribuire alla seconda notifica eseguita tramite ufficiale giudiziario, peraltro consegnata a mani della F. nonostante l’indicazione del medesimo errato numero civico, natura meramente confermativa della prima.

9. Con il secondo motivo di ricorso, e in via subordinata, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, dell’art. 55, comma 4 c.c.n.l. 2011, degli artt. 1362 e ss. e dell’art. 2729 c.c.

10. P. I. spa censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha accordato alla lavoratrice la tutela reintegratoria. Secondo la ricorrente, la previsione dell’art. 55, comma 4, c.c.n.l. in base alla quale, in caso di mancato rispetto del termine finale, il procedimento disciplinare “si ha per definito con l’archiviazione”, impone soltanto (alla luce di una corretta interpretazione, anche letterale) la chiusura del procedimento e impedisce l’irrogazione di valido recesso, ma non implica certamente ex sé la negazione dei fatti di cui il lavoratore è stato accusato né la presunzione iuris et de iure di positiva valutazione degli stessi da parte del datore di lavoro, e neppure la consumazione del potere disciplinare per acquiescenza (equiparabile a insussistenza del fatto contestato), ben potendo essere il ritardo esclusivamente imputabile, come nel caso di specie, a mero (pur colpevole) errore. Ne consegue che nel caso di specie, valutati i motivi del ritardo, la Corte avrebbe dovuto applicare l’art. 18, comma 5, cit., con conseguente tutela indennitaria.

11. Il primo motivo di ricorso è infondato.

12. In tema di impugnativa del licenziamento, ai sensi dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (nella versione anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012), formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8830 del 2010) hanno considerato tempestivamente effettuata l’impugnativa “allorché la spedizione della lettera avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che – in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale – l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza […]”. Sul presupposto che “la considerazione dei comportamenti connessi all’esercizio di un potere giuridico, ai fini della decadenza, si pone indistintamente nel campo processuale e in quello sostanziale”, le Sezioni Unite hanno osservato come “con la fissazione di un termine si prevede il momento oltre il quale l’interesse del titolare ad esercitare il potere nel tempo voluto non può prevalere sull’interesse della controparte, o anche su un interesse pubblico, a non lasciare sine die la possibilità di modificazione giuridica, e dunque il compimento di un atto entro un dato termine è l’onere posto a carico del titolare […] e l’effetto che si produce, funzionalmente, con la decadenza è un effetto pregiudizievole che opera, direttamente, nella sfera giuridica del titolare e, solo in via indiretta, in quella dell’altra parte”. In ragione di ciò, la sentenza n. 8830 del 2010, decidendo sull’applicazione del principio di scissione all’atto di impugnazione del licenziamento, ha ritenuto non necessaria la ricezione dell’atto per la produzione di ogni effetto impeditivo della decadenza, posto che, di regola, “l’atto esiste già nella sua compiutezza e assume una propria rilevanza giuridica ai fini dell’impedimento della decadenza, mentre la condizione di efficacia della ricezione costituisce, a tali fini, un elemento estrinseco alla fattispecie decadenziale” (v. anche Cass. n. 20566 del 2010; Cass. n. 5093 del 2011; Cass. n. 12890 del 2014).

13. I principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8830 del 2010 sono stati ribaditi in riferimento alla comunicazione per iscritto dei motivi di licenziamento nel termine previsto dall’art. 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 (Cass. n. 6757 del 2011) ed anche per la comunicazione del licenziamento nel termine previsto dal contratto collettivo. A tale proposito, e riguardo proprio alle previsioni del contratto collettivo oggetto di causa, questa Corte ha già affermato che “la comunicazione del provvedimento (di intimazione del licenziamento) è tempestiva, ai sensi dell’art. 55 del c.c.n.l. per i dipendenti di P. I. s.p.a., se inoltrata entro il trentesimo giorno dal termine di scadenza della presentazione delle giustificazioni, come risulta già dal tenore letterale della disposizione – ove si fa riferimento all’invio e non alla ricezione – oltre che dalla natura decadenziale del termine ivi previsto, sicché l’effetto impeditivo di essa va collegato al compimento, da parte del soggetto onerato, unicamente dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione, purché demandato ad un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento sottratto alla sua ingerenza, in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti (Cass. n. 18823 del 2018; v. anche Cass. n. 22295 del 2017 secondo cui il termine, stabilito dall’art. 23 del c.c.n.l. Metalmeccanici, “di sei giorni dal ricevimento delle giustificazioni del lavoratore, entro cui comminare i provvedimenti disciplinari diversi dal richiamo verbale, è rispettato con la spedizione della lettera contenente l’irrogazione della sanzione”).

14. In senso conforme si è pronunciata questa Corte con la sentenza n. 22171 del 2017 (in motivazione) ove è ribadito che il principio della scissione tra il momento in cui la volontà di recedere è manifestata e quello in cui si producono gli effetti ricollegabili a tale volontà, affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8830 del 14 aprile 2010 con riferimento alla impugnazione del licenziamento, deve trovare applicazione ogniqualvolta nell’ambito del procedimento disciplinare il momento della esternazione della volontà non coincide con quello della conoscenza da parte del destinatario, perché diversamente risulterebbe intaccato il parametro di ragionevolezza ed uguaglianza formale e sostanziale tra i soggetti coinvolti (v. anche Cass., S.U. n. 12332 del 2017, in tema di applicazione del principio di scissione degli effetti della notificazione tra il notificante e il destinatario agli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio; v. Cass., S.U. n. 24822 del 2015 sull’applicabilità del principio di scissione agli effetti sostanziali di atti processuali).

15. Come emerge dalle pronunce di legittimità richiamate, perché l’effetto impeditivo della decadenza possa essere collegato al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione, occorre che tale procedimento sia “demandato ad un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento”. Presupposto implicito delle statuizioni riportate, che attribuiscono rilevanza al “comportamento e alla responsabilità del soggetto onerato” (così Cass., S.U. n. 8830 del 2010 cit.), è il buon fine del procedimento di comunicazione, oppure la condizione per cui l’esito negativo dello stesso non sia imputabile al soggetto onerato, come espressamente statuito riguardo alla scissione degli effetti tra notificante e destinatario in tema di notifica degli atti processuali.

16. Questa Corte, pronunciando a Sezioni Unite (sentenza n. 13394 del 2022; v. anche Cass., S.U. n. 14594 del 2016), in materia di notifica di atti processuali, ha affermato che “l’estensione del principio della scissione degli effetti alla procedura notificatoria che non abbia avuto esito, ai fini della conservazione degli effetti collegati alla richiesta originaria, è condizionata all’accertamento dell’assenza di colpa del notificante”. Tale accertamento “rileva sotto un duplice aspetto in quanto, da un lato, è necessario che il mancato perfezionamento non derivi da responsabilità della parte, dall’altro che quest’ultima non sia rimasta inerte, ma abbia diligentemente agito per assicurare la continuità e la speditezza del procedimento”.

17. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha accertato che la prima notifica tramite il servizio postale non è andata a buon fine a causa dell’erronea indicazione del numero civico dell’indirizzo della destinataria. La lavoratrice, a far data dal 2014, aveva comunicato alla società datoriale di voler ricevere le comunicazioni in C. M., viale E. n. 43 e, infatti, a tale indirizzo erano state ritualmente recapitate numerose comunicazioni attinenti al rapporto di lavoro. La lettera di licenziamento è stata inviata l’11.4.2017, a mezzo raccomandata postale, all’indirizzo di viale E. n. 41 e non è mai giunta a destinazione.

18. La Corte d’appello, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha accertato come l’esito negativo della citata notifica fosse imputabile alla società datoriale a causa dell’errata indicazione dell’indirizzo di destinazione. Ha escluso che tale errore potesse qualificarsi incolpevole, data la pregressa manifestazione di volontà della lavoratrice sul domicilio ove ricevere le comunicazioni attinenti al rapporto di lavoro e la pregressa condotta di parte datoriale conforme a tale richiesta.

19. Alla luce dei principi di diritto richiamati, deve escludersi che possa avere effetto impeditivo della decadenza l’invio (nel termine previsto dal contratto collettivo) della comunicazione di licenziamento che non sia andata a buon fine, per causa imputabile al datore di lavoro, dal che consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

20. La Corte di appello, conformandosi ai principi appena richiamati, ha giudicato il primo invio (in data 11.4.2017) della lettera di licenziamento inidoneo a impedire la decadenza.

21. Il secondo motivo è, invece, fondato.

22. In fatto, risulta accertato che la lettera di licenziamento è stata inviata (una seconda volta) il 21.4.2017 (e giunta a destinazione il giorno seguente). Alla data del 21.4.2017 era già decorso il temine di trenta giorni, previsto dal contratto collettivo, e avente inizio dalla scadenza del termine di presentazione delle giustificazioni (nella specie 12.3.2017).

23. Questa Corte ha più volte affermato che l’intimazione del licenziamento disciplinare – al pari, più in generale, dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari – deve essere connotata dal carattere di “tempestività”, non diversamente dalla contestazione dell’addebito (tra le tante, Cass. n. 17058 del 2003).

24. Si è rilevato (Cass. n. 17113 del 2016) come il carattere della “tempestività” può poi tradursi in una specifica garanzia procedimentale prevista dalla contrattazione collettiva, abilitata anche ad introdurre un termine perentorio per l’esercizio del potere disciplinare (Cass. n. 9767 del 2011), ossia uno spatium deliberandi massimo fissato in una misura ben precisa – che va a tradurre e quantificare il criterio della tempestività dell’adozione del provvedimento disciplinare – perché il datore di lavoro possa valutare le eventuali giustificazioni addotte dal lavoratore incolpato (Cass. n. 5116 del 2012).

25. Nella sentenza n. 17113 del 2016 si è affermato che “nel regime delle tutele graduate dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012 applicabile alla fattispecie, la violazione della previsione della contrattazione collettiva che prevede un termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, è idonea ad integrare una “violazione … della procedura di cui all’art. 7” della legge 300/70, con conseguente operatività della tutela prevista dal sesto comma dell’art. 18 della stessa legge, come novellato. Infatti, considerato il generico riferimento alla procedura di cui all’art. 7 dello SdL e che la disciplina contrattuale collettiva è abilitata ad integrare quella di fonte legislativa, non par dubbio che la conseguenza delle violazioni delle prescrizioni da essa introdotte debbano essere le medesime di quelle stabilite per le violazioni delle prescrizioni legali”.

26. Sul principio di tempestività che caratterizza il procedimento disciplinare e sul tema delle conseguenze sanzionatorie nel regime della legge n. 92 del 2012, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 30985 del 2017, hanno tratteggiato una distinzione concettuale tra la “violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi” e “la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato” (pagg. 14 e 15 della sentenza cit.).

27. Hanno sottolineato come nel primo caso rileva il “semplice rispetto delle regole, pur esse essenziali, di natura procedimentale” mentre nel secondo caso vengono in considerazione “esigenze più importanti”, come quella di “garantire al lavoratore una difesa effettiva”, di “tutelare il legittimo affidamento (del medesimo) – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile” e di “sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare” (pagg. 14 e 15 della sentenza cit.).

28. Sulle conseguenze sanzionatorie, la sentenza n. 30985 del 2017 ha stabilito che “in tema di licenziamento disciplinare, ove la legge o le norme di contratto collettivo prevedano dei termini per la contestazione dell’addebito posto a base del provvedimento di recesso – ricadente “ratione temporis” nella disciplina dell’art. 18 St. lav., così come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della l. n. 92 del 2012 – il mancato rispetto dei detti termini integra violazione di natura procedimentale e comporta l’applicazione della sanzione indennitaria di cui al comma 6 dello stesso art. 18 St. lav.”. Ha invece ritenuto applicabile la tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 5, nel caso in cui sia accertato “un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base del provvedimento di recesso” (v. in senso conforme Cass. n. 12231 del 2018).

29. Nei precedenti di questa Corte, la violazione delle regole procedurali è stata ravvisata, ad esempio, nel caso in cui “la contestazione disciplinare, finalizzata al licenziamento, non contenga una sufficiente e specifica descrizione della condotta tenuta dal lavoratore” (Cass. n. 16896 del 2016); inoltre, in ipotesi di “violazione dell’obbligo del datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa” (Cass. n. 7392 del 2022), ritenendosi in tali fattispecie applicabile la tutela prevista dall’art. 18, comma 6 cit.

30. Si è, di contro, ritenuto che “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, richiamata dal comma 6 del predetto articolo per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, tale dovendosi ritenere un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito” (Cass. n. 25745 del 2016; Cass. n. 4879 del 2020).

31. Nella fattispecie oggetto di causa, è stata accertata la violazione dei termini previsti della contrattazione collettiva per la comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il ritardo nell’invio della lettera di licenziamento è stato nell’ordine di qualche giorno (dieci giorni per esattezza). La Corte d’appello ha ritenuto che, in base alla norma contrattuale (art. 55, comma 4 c.c.n.l.), il procedimento disciplinare dovesse considerarsi “definito con l’archiviazione” e che quindi il potere disciplinare del datore di lavoro fosse “ormai consumato per effetto del decorso del termine massimo pattuito”; ha applicato la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, comma 4 cit..

32. In tal modo, la Corte di merito non si è conformata ai principi di diritto sopra richiamati, in quanto ha fatto discendere automaticamente dal mancato rispetto della sequenza procedimentale, e dei relativi termini, come previsti dal contratto collettivo, l’effetto di consumazione del potere disciplinare.

33. Tale conclusione contrasta con i principi già enunciati da questa S.C. secondo cui il mancato rispetto dei termini previsti dal contratto collettivo per la comunicazione della lettera di licenziamento integra una violazione di natura procedimentale e comporta l’applicazione della sanzione indennitaria di cui al comma 6 dello stesso art. 18 St.. lav. Mentre una tutela maggiore per il lavoratore può conseguire unicamente a fronte di un “ritardo notevole e non giustificato”, nella intimazione del licenziamento così come nella contestazione disciplinare, in grado di ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività, in ragione dell’affidamento in tal modo creato nel lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto e della contrarietà del ritardo datoriale agli obblighi di correttezza e buona fede.

34. Per le ragioni esposte, il ricorso per cassazione deve trovare accoglimento in relazione al secondo motivo e deve cassarsi sul punto la sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame conformandosi ai principi di diritto richiamati e, in particolare, al principio secondo cui “la violazione del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, stabilito dalla contrattazione collettiva (nella specie, dall’art. 55, comma 4, del c.c.n.l. per i dipendente di P. I. spa), è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all’art. 7 St. lav., tale da rendere operativa la tutela prevista dall’art. 18, comma 6, dello stesso Statuto, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, purché il ritardo nella comunicazione del licenziamento non risulti, con accertamento in fatto riservato al giudice di merito, notevole e ingiustificato, tale da ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività, per l’affidamento in tal modo creato nel lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto e per la contrarietà del ritardo datoriale agli obblighi di correttezza e buona fede”.

35. Resta impregiudicata la questione relativa alla dedotta illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa, riproposta dalla lavoratrice nella memoria di costituzione nel giudizio di reclamo (pag. 15 e ss. della memoria di costituzione dinanzi alla Corte d’appello).

36. La mancanza di qualsiasi statuizione sul punto da parte dei giudici del reclamo è spiegabile sul presupposto di un ritenuto implicito assorbimento, avendo essi riconosciuto alla lavoratrice, a fronte del licenziamento intimato in violazione dell’art. 55 del c.c.n.l., la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, comma 4 cit. La cassazione sul punto della sentenza d’appello per la riconducibilità della violazione dei termini previsti dal contratto collettivo all’ipotesi disciplinata dall’art. 18, comma 6 cit., da cui consegue il riconoscimento della tutela indennitaria attenuata, porta ad escludere l’operatività di qualsiasi meccanismo di assorbimento (v. Cass. n. 12193 del 2020 secondo cui la declaratoria di illegittimità del licenziamento per tardiva contestazione disciplinare non può assorbire le domande di illegittimità per insussistenza del fatto o carenza di giusta causa cui è connessa una tutela più ampia, né può configurarsi come un rigetto implicito delle stesse, stante l’autonomia logico-giuridica delle questioni).

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

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