Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 aprile 2023, n. 10960

Lavoro, Crisi aziendale, Minimale contributivo, Debito contributivo, Trasferte, Principio di autonomia del rapporto contributivo, Contrattazione collettiva nazionale, Disciplina previdenziale dei lavoratori soci di società e di enti cooperative, Minimo retributivo imponibile, Riduzione della retribuzione, Accoglimento

 

Rilevato che

 

la (…), facendo applicazione di quanto disposto dalla L. n. 142 del 2001, art. 6, comma 1, lett. e) deliberava nel verbale dell’assemblea dell’11.4.2011 lo stato di crisi aziendale, poi prorogato per periodi successivi, convenendo, al dichiarato scopo di salvaguardare il proprio livello occupazionale, di cristallizzare (mediante mancata applicazione degli aumenti contrattuali, della maggiorazione per lavoro supplementare, straordinario, notturno/festivo, della integrazione al 100% nei primi tre giorni di malattia) la retribuzione dovuta ai soci in misura uguale alla retribuzione minima imponibile prevista ai fini del versamento della contribuzione e di non distribuire utili; con verbale di accertamento del 10/12/2014, l’Inps contestava alla cooperativa un debito contributivo per il periodo interessato dalla delibera, nascente dalla differenza tra quanto versato, coerente con la retribuzione effettivamente corrisposta, e quanto dovuto in applicazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1 conv. in L. n. 389 del 1989 (cosiddetto minimale contributivo);

la Cooperativa ed il suo legale rappresentante, in proprio, proponevano azione di accertamento negativo avverso il suddetto verbale;

il Tribunale di Cuneo accoglieva la domanda per un importo minore rispetto a quello preteso dall’INPS, posto che la cooperativa non aveva contestato l’inadempimento contributivo relativo alle trasferte, mentre riteneva fondata la pretesa della cooperativa di versare la contribuzione parametrandola ai minori importi erogati per le retribuzioni;

la Corte d’appello di Torino, su impugnativa dell’INPS, ha confermato la sentenza del Tribunale, sul presupposto che ai sensi del combinato disposto della L. n. 142 del 2001, artt. 4 e 6 nel caso in cui la società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori, la contribuzione previdenziale debba essere calibrata sui minori importi concretamente erogati, in deroga alla disciplina del minimale contributivo di cui alla L. n. 389 del 1989, art. 1;

per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, successivamente illustrato da memoria;

resistono, con unico controricorso, A.Q. e la (…);

all’esito dell’adunanza camerale del 7 marzo 2023, il Collegio, ai sensi dell’art. 380 bis 1., secondo comma, c.p.c., fissava il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione.

 

Considerato che

 

l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione della L. 3 aprile 2001, n. 142, artt. 3, 4 e 6 in relazione alla L. n. 389 del 1989, art. 1 e art. 12 preleggi e sostiene che l’interpretazione patrocinata dalla Corte di merito si porrebbe in contrasto con il principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro che informa il diritto previdenziale e rileva che nessun riferimento alla contribuzione è contenuto nella L. n. 142 del 2001, art. 6 mentre il principio generale in merito alla retribuzione dei dipendenti delle cooperative è quello fissato dalla contrattazione collettiva nazionale del settore ai sensi della suddetta legge, art. 3, comma 1;

il ricorso, in continuità con i precedenti di questa Corte di legittimità intervenuti sul punto (Cass. n. 15172 del 2019; Cass. n. 37020 del 2021; Cass. n.8106 del 2023) è fondato e va accolto;

la L. n. 142 del 2001, all’art. 3, comma 1, nel prevedere che il trattamento economico del socio lavoratore dipendente da cooperativa debba essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, ne stabilisce la misura minima che non può essere inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine;

il successivo art. 6 della medesima legge disciplina il regolamento interno delle società cooperative, individuandone le previsioni essenziali, tra le quali enumera alla lett. d) “l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui all’art. 3, comma 2, lett. b) (ed) il divieto per l’intero, durata del piano, di distribuzione di eventuali utili” e, alla lett. e), “l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lett. d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità finanziarie…”;

lo stesso art. 6 aggiunge, al comma 2, che “Salvo quanto previsto alle lettere d), e) ed f) del comma 1 nonchè all’art. 3, comma 2 bis, il regolamento non può contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clausola è nulla”;

questa Corte si è occupata della richiamata normativa, affermando che essa legittima l’incidenza in peius sul trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1, a patto che la deliberazione del “piano di crisi aziendale” contenga elementi adeguati e sufficienti tali da esplicitare l’effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari consentiti dalla legge, la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi, uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi in esame (Cass. 18/07/2018, n. 19096, Cass. 28/08/2013, n. 19832);

la disciplina previdenziale di riferimento del socio di cooperativa, a mente della L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 4, comma 1 è quella prevista per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative, nei limiti di quanto previsto dal successivo art. 6;

la stessa legge, all’art. 4, comma 3 ha delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi intesi a riformare la disciplina previdenziale dei lavoratori soci di società e di enti cooperativi, rispettando il principio direttivo della graduale equiparazione (in un periodo non superiore a cinque anni) della contribuzione previdenziale e assistenziale a quella dei lavoratori dipendenti da impresa;

è intervenuto quindi il D.Lgs. 6 novembre 2001, n. 423, che all’art. 3 ha previsto l’aumento graduale dell’imponibile contributivo per gli anni a decorrere dal 1° gennaio 2003, mediante l’applicazione di coefficienti progressivamente crescenti alla differenza tra la precedente parametrazione rapportata al c.d. minimo dei minimi (D.L. n. 463 del 1983, art. 7, comma 1, conv. in L. n. 638 del 1983 e succ. mod.) ed il minimo contrattuale previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, e ciò sino al 1° gennaio 2007;

da tale data, il principio del cd. minimo retributivo imponibile, secondo cui l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, è applicabile anche alle società cooperative, i cui soci sono equiparati ai lavoratori subordinati ai fini previdenziali, sia nel caso in cui il datore di lavoro paghi di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, sia nel caso di prestazione a orario ridotto, rispondendo tale parificazione alla finalità costituzionale di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale (Cass. n. 17531 del 2016; Cass. n. 8446 del 2020);

anche nel caso in cui una società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria ai sensi della L. n. 142 del 2001, art. 6 la contribuzione previdenziale deve comunque essere rapportata al c.d. minimale contributivo di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1 conv. in L. n. 389 del 1989, e non ai minori importi concretamente erogati;

la delibera assembleare che prevede la riduzione della retribuzione come apporto del socio alla riduzione della crisi, seppure legittimata dal richiamato art. 6, non rientra infatti nelle “leggi, regolamenti, contratti collettivi” che a mente del D.L. n. 338, art. 1 individuano la retribuzione minima da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale, né l’art. 6 contiene alcun riferimento agli obblighi contributivi;

discende, del resto, dai principi di autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro e dall’indisponibilità dei diritti previdenziali che le eventuali forme di apporto straordinarie previste a carico del socio lavoratore nel corso della crisi della cooperativa, seppure incidenti sul trattamento economico minimo previsto dalla legge, non incidano sull’integrale tutela della sua posizione previdenziale;

la soluzione è inoltre coerente con la delega conferita al Governo con la L. n. 142 del 2001, art. 4, comma 3 che, pur nella consapevolezza delle peculiarità del sistema cooperativo e delle sue caratteristiche di mutualità, ha dettato l’inequivocabile criterio direttivo dell’equiparazione della contribuzione previdenziale dei soci lavoratori dipendenti da cooperativa a quella dei lavoratori dipendenti da imprese;

il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuova valutazione attenendosi al principio sopra individuato;

al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 aprile 2023, n. 10960
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