Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2023, n. 13078

Lavoro, Litisconsorzio necessario, Integrazione del contraddittorio, Estromissione dal processo, Impugnabilità,  Mancanza interesse all’accertamento, Compensazione per gravi ed eccezionali ragioni, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 28 giugno 2019, la Corte d’appello di Torino ha dichiarato non essere L.P.T. s.r.l. litisconsorte necessaria nei giudizi riuniti distintamente promossi da A.A. e R.B. nei confronti di L.P. s.p.a. e della predetta società per l’accertamento, secondo il rito Fornero, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della prima ovvero della seconda dal 27 agosto 2013 al 31 luglio 2016, data di licenziamento per g.m.o. e dell’illegittimità dell’atto espulsivo loro intimato da L.P.T. s.r.l., con le conseguenti domande reintegratorie e risarcitorie: così accogliendone il reclamo avverso la sentenza non definitiva del Tribunale e compensando tra la reclamante e le altre parti le spese del giudizio di primo grado e tra tutte le parti quelle del secondo;

2. con la sentenza non definitiva riformata, il primo giudice aveva infatti “confermato la posizione di litisconsorte necessario di L.P.T., disponendo la rimessione del processo in istruttoria con separata ordinanza”, dopo avere ordinato l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, a seguito dell’opposizione di L.P. s.p.a. all’ordinanza decisoria del Tribunale, all’esito della fase sommaria. In essa erano stati riuniti i giudizi dei due lavoratori, nei quali rispettivamente, per quanto interessa: a) con ordinanza del 18 luglio 2017, nel giudizio R.G. 1603/17 proposto da R.B., era stata disposta l’estromissione di L.P.T. s.r.l., per inammissibilità delle domande del primo nei confronti della seconda, in difetto del suo requisito dimensionale; b) con ordinanza del 2 novembre 2017, nel giudizio R.G. 1602/17, il medesimo Tribunale aveva rigettato la domanda di nullità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18, primo comma legge n. 300/1970, proposta da A.A. nei confronti della stessa società, in quanto indipendente dal requisito dimensionale, con la sua relativa condanna a rifonderle le spese di giudizio e disposto la prosecuzione del giudizio nei soli confronti di L.P. s.p.a.: poi definito con ordinanza del 17 maggio 2018. Con l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 1, comma 51 legge n. 92/2012, L.P. s.p.a. aveva richiesto l’accertamento della dipendenza dei due lavoratori da L.P.T. s.r.l. dal 1° gennaio 2015 al 31 luglio 2016;

3. la Corte subalpina ha rilevato, a motivo della decisione, la mancata impugnazione dai lavoratori delle due citate ordinanze (18 luglio 2017 e 2 novembre 2017), rese nella fase sommaria, di estromissione dai giudizi di L.P.T. s.r.l. e la loro insistenza (nella fase di opposizione introdotta da L.P. s.p.a.) nella domanda di accertamento del rapporto di lavoro nei confronti della sola opponente, così ravvisando la loro carenza d’interesse alla prosecuzione del giudizio nei confronti di L.P.T. s.r.l. E pertanto l’insussistenza di un litisconsorzio necessario nei suoi confronti, quand’anche qualificabile la domanda originaria dei predetti come intesa all’accertamento di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro nelle due società;

4. infine, la Corte territoriale ha giustificato la compensazione delle spese dei giudizi di primo e di secondo grado per “la particolarità e la non uniformità di orientamenti circa le questioni trattate”;

5. con atto notificato il 22 agosto 2019, L.P.T. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., cui hanno resistito i due lavoratori con controricorso con ricorso incidentale con cinque motivi, cui hanno a propria volta resistito le due società con distinti controricorsi.

 

Considerato che

 

1. nel rispetto del criterio di pregiudizialità logico – giuridica, i ricorrenti incidentali hanno dedotto: violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 107, 177, primo comma, 270, primo comma, 324 c.p.c., 24, quarto comma Cost., per non essere impugnabile il provvedimento di integrazione del contraddittorio disposto dal Tribunale, in sede di opposizione nel c.d. rito Fornero (insindacabile dalle parti e dal giudice dell’impugnazione, siccome disposto ai sensi dell’art. 107 c.p.c.), in quanto ordinatorio e non decisorio (primo motivo); nullità della sentenza per nullità del reclamo alla Corte d’appello, per carenza dei presupposti dell’impugnazione sulla base delle ragioni svolte in riferimento al precedente motivo (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 108, 109, 111 c.p.c., per inammissibilità della domanda di estromissione di L.P.T. s.r.l., in quanto al di fuori delle ipotesi tassativamente stabilite (del garantito, dell’obbligato, del successore a titolo particolare nel diritto controverso) dalla legge, pertanto non estensibili ad altre, come quella di specie (terzo motivo); nullità della sentenza per nullità del reclamo alla Corte d’appello, per inammissibilità della domanda sulla base delle ragioni svolte in riferimento al precedente motivo (quarto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;

3. giova, in linea di fatto, premettere che: a) con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49 legge n. 92/2012 del 18 luglio 2017, nel giudizio R.G. 1603/17 proposto da R.B., il Tribunale aveva disposto l’estromissione di L.P.T. s.r.l., per inammissibilità delle domande del lavoratore nei suoi confronti, in difetto del requisito dimensionale;

b) con ordinanza, sempre ai sensi dell’art. 1, comma 49 legge cit. del 2 novembre 2017, nel giudizio R.G. 1602/17, il medesimo Tribunale aveva rigettato la domanda di nullità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18, primo comma legge n. 300/1970, proposta da A.A. nei confronti di L.P.T. s.r.l., in quanto indipendente dal requisito dimensionale e condannato il medesimo a rifonderle le spese di giudizio, disponendo la prosecuzione del giudizio nei soli confronti di L.P. s.p.a. (definito con ordinanza, come le altre ai sensi dell’art. 1, comma 49 legge cit. del 17 maggio 2018 e dopo la riunione dei giudizi, tra i due lavoratori e L.P. s.p.a.);

c) nel successivo giudizio di opposizione avverso quest’ultima ordinanza, introdotto da tale società ai sensi dell’art. 1, comma 51 legge n. 92/2012, il Tribunale ha quindi ordinato il 4 ottobre 2018 l’integrazione del contraddittorio con P.T. s.r.l. e, con la sentenza non definitiva (n. 464 del 19 marzo 2019) riformata dalla Corte d’appello con quella qui impugnata, confermato la posizione di litisconsorte necessaria di L.P.T. s.r.l., disponendo la rimessione del processo in istruttoria con separata ordinanza;

4. in linea di diritto, occorre preliminarmente ribadire il principio, secondo cui le pronunce emesse in materia di integrità del contraddittorio, avendo in ogni caso contenuto e natura meramente ordinatori e giammai decisori, non possano costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato (Cass. 15 luglio 2004, n. 13104; Cass. 12 gennaio 2007, n. 449; Cass. 6 luglio 2018, n. 17898);

5. è bene, tuttavia, osservare che la decisione con cui il giudice di primo grado estrometta dal processo uno dei convenuti o chiamati in causa, ritenendolo privo di legittimazione passiva, configura, malgrado l’improprietà della formula adottata, una statuizione di rigetto della domanda nei suoi confronti, suscettibile di passare in giudicato se non tempestivamente impugnata: con la conseguenza che, ove l’attore non abbia proposto appello sul punto, non può dolersi in sede di giudizio di cassazione della mancata integrazione del contraddittorio da parte del giudice di appello, il quale non poteva rilevare la questione d’ufficio, atteso il giudicato formatosi al riguardo (Cass. 25 maggio 2000, n. 6870; Cass. 29 aprile 2015, n. 8693; Cass. 9 marzo 2022, n. 7612);

5.1. nel caso di specie, sulle ordinanze del 18 luglio 2017, nel giudizio R.G. 1603/17 (di inammissibilità delle domande di R.B. lavoratore nei confronti di L.P.T. s.r.l.) e del 2 novembre 2017, nel giudizio R.G. 1602/17 (di rigetto della domanda di A.A. di nullità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18, primo comma legge n. 300/1970, nei confronti della medesima società) si è formato il giudicato: come ha correttamente ritenuto – diversamente dal Tribunale – la Corte d’appello (al primo capoverso di pg. 12 della sentenza).

E ciò in esito ad un argomentato ragionamento (dall’ultimo capoverso di pg. 10 all’ultimo di pg. 11 della sentenza), nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda e di qualificazione degli atti processuali, che è compito esclusivamente riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente se siano stati travalicati (ma non è questo il caso) i limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta (Cass. 29 aprile 2004, n. 8225; Cass. 21 maggio 2019, n. 13602; Cass. 12 gennaio 2023, n. 744).

Ebbene, l’autonomia decisoria delle due ordinanze in oggetto, rispetto a quella del 17 maggio 2018, che ha definito il giudizio R.G. 1602/17 (di cui si dirà), risiede nella natura, al di là dell’espressione impropriamente impiegata di “estromissione” di L.P.T. s.r.l. nell’avere: l’una (18 luglio 2017, nel giudizio R.G. 1603/17) pronunciato l’inammissibilità delle domande proposte da R.B. nei confronti della predetta società; l’altra (2 novembre 2017, nel giudizio R.G. 1602/17) rigettato la domanda di nullità del licenziamento proposta da A.A. nei confronti della medesima società; ed ognuna di esse ha statuito sulle spese, sul presupposto del difetto (la prima, a norma dell’art. 1, comma 47 legge n. 92/2012) o dell’ininfluenza (la seconda, a norma del combinato disposto degli artt. 18, primo comma legge n. 300/1970 e 1, comma 47 cit.) del requisito dimensionale dell’impresa (essendo noto che, insieme al giustificato motivo del licenziamento, esso – nell’onere probatorio datoriale: Cass. 23 maggio 2017, n. 12907, in motivazione sub 6; Cass. 7 maggio 2019, n. 11940 – integra un fatto impeditivo del suddetto diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività – e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento – e pertanto elemento della fattispecie).

Sicché, entrambe le pronunce, lungi dall’essere meri provvedimenti ordinatori relativi alla costituzione del contraddittorio, hanno natura decisoria nel merito: con la conseguenza della loro doverosa impugnabilità, per evitare la formazione di un giudicato. È poi noto che, posta l’unicità nel rito cd. Fornero del giudizio di primo grado a composizione bifasica (con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore e una seconda, a cognizione piena, che non è una revisio prioris instantiae, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria), il giudicato non si forma, per inidoneità ad esso, sull’ordinanza che sia stata oggetto di opposizione, neppure per la parte eventualmente che non lo sia stata esplicitamente; esso si forma, invece, sull’ordinanza conclusiva della fase sommaria, che non sia stata oggetto di opposizione (Cass. 6 settembre 2018, n. 21720; Cass. s.u. 11 novembre 2022, n. 33362, in motivazione sub p.ti 6.1, 6.2);

5.2. tale ipotesi si è appunto verificata nel caso di specie, per essere stata oggetto di opposizione, ai sensi dell’art. 1, comma 51 legge n. 92/2012, la sola ordinanza del 17 maggio 2018, emessa dal Tribunale a definizione del giudizio R.G. 1602/17: come bene ha spiegato la Corte subalpina, sempre nell’appena richiamato esercizio del potere di interpretazione della domanda e di qualificazione degli atti processuali, in esito ad un critico e articolato ragionamento argomentativo (dal penultimo capoverso di pg. 13 al secondo di pg. 15 della sentenza): inteso ad escludere, contrariamente a quanto invece ritenuto dal Tribunale, la necessità del ripristino del contraddittorio nel giudizio rubricato R.G. 1602/17 proseguito (una volta in esso separata la domanda di A.A., di nullità del licenziamento nei confronti di L.P.T. s.r.l., da quella nei soli confronti di L.P. s.p.a., per la necessità ivi dell’adozione di provvedimenti istruttori: così all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza). La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto la mancanza d’interesse dei due lavoratori (unicamente interessati alla declaratoria di un rapporto di lavoro alle dipendenze di L.P. s.p.a.) all’accertamento di un unico centro interesse rappresentativo di entrambe le società o comunque della loro codatorialità: essendo ben possibile, quand’anche essi avessero formulata originariamente una tale domanda (così all’ultimo capoverso di pg. 13 della sentenza), ad essa rinunciare (Cass. 7 marzo 2019, n. 6664).

Non sono state, per le ragioni sopra illustrate, invece opposte, a norma dell’art. 1, comma 51 legge n. 92/2012, le due ordinanze 18 luglio 2017, nel giudizio R.G. 1603/17 e 2 novembre 2017, nel giudizio R.G. 1602/17;

6. la ricorrente principale ha invece dedotto: violazione e falsa applicazione degli artt. 91, primo comma (primo periodo) e 92, secondo comma c.p.c., per l’erronea compensazione delle spese dei due gradi di giudizio, anche nei confronti della ricorrente, per “la particolarità e la non uniformità di orientamenti circa le questioni trattate”, in quanto ipotesi non rientranti nella tassativa previsione della seconda norma denunciata, nel testo applicabile ratione temporis, anche dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della sentenza Corte cost. n. 77/2018 per la parte che preveda la facoltà di compensazione del giudice pure qualora ricorrano “analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, individuabili in circostanze comportanti una soccombenza oggettivamente incolpevole, riconducibile a sopravvenienze normative o cognitive imprevedibili; neppure in ogni caso la fattispecie oggetto di controversia integrando l’apodittica affermazione della Corte territoriale a giustificazione della compensazione (primo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 91, primo comma (primo periodo) e 92, secondo comma c.p.c., per le stesse ragioni dedotte con il motivo precedente, di denuncia delle suddette norme per error in iudicando (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., per mera apparenza di motivazione sulle ragioni della compensazione delle spese dei gradi di merito, al di sotto del cd. “minimo costituzionale”, nulla spiegando le criptiche e tautologiche espressioni usate (terzo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., in stretto subordine al precedente (quarto motivo);

7. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono parimenti infondati;

8. in tema di spese legali, la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, stabilita dall’art. 92, secondo comma c.p.c., come riformulato dalla legge n. 69 del 2009 (e per effetto di Corte cost. 77/2018 sul testo come modificato dall’art. 13, primo comma d.l. 132/2014 conv. con mod. in l. 162/2014), nei casi in cui difetti la reciproca soccombenza, riporta ad una nozione elastica, che ricomprende la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso e che può essere conosciuta dal giudice di legittimità ove il giudice del merito si sia limitato a una enunciazione astratta o, comunque, non puntuale, restando in tal caso violato il precetto di legge e versandosi, se del caso, in presenza di motivazione apparente; tuttavia il sindacato della Corte di cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o alla giurisprudenza consolidata (Cass. 16 maggio 2022, n. 15495); o che dette ragioni siano illogiche o erronee, altrimenti configurandosi il vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (Cass. 9 marzo 2017, n. 6059; Cass. 9 aprile 2019, n. 9977); neppure essendo determinabili “a priori”, ma dovendo essere specificate in via interpretativa dal giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. 26 settembre 2018, n. 23059);

8.1. nel caso di specie, la compensazione censurata è stata giustificata per la “particolarità” della controversia, obiettivamente ricorrente (diversamente che per la fattispecie oggetto di Cass. 2 luglio 2007, n. 14964) nella complessa e articolata vicenda processuale e la “non uniformità di orientamenti”, in effetti riscontrabile, laddove non chiarite e distintamente selezionate le ipotesi di provvedimenti, apparentemente contermini, in riferimento alla giurisprudenza citata ai superiori p.ti 4, 5 e 5.1; e pertanto, neppure ricorrendo una motivazione né illogica, tautologica, inesistente o meramente apparente (come invece nell’ipotesi esaminata da Cass. 3 settembre 2019, n. 17816, di individuazione del giusto motivo di compensazione nell “l’estrema particolarità delle questioni affrontate in ordine alla soluzione dei controversi profili interpretativi della normativa regolante la materia”, senza fornire alcuna giustificazione dell’affermazione”);

9. infine, i ricorrenti incidentali hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 91, primo comma e 92, secondo comma c.p.c., in riferimento agli artt. 1, comma 51 legge n. 92/2012, 112, 113 c.p.c., per l’erronea statuizione della Corte territoriale sulle spese processuali, in difetto di soccombenza dei lavoratori tanto nel giudizio di opposizione in procedimento con rito Fornero, per la proposizione in esso di domande ulteriori e diverse, da quelle dei lavoratori in fase sommaria, da parte di P. s.p.a. (di accertamento del loro rapporto di subordinazione nei confronti di L.P.T. s.r.l. dal 1° gennaio 2015 al 31 luglio 2016), tanto nel giudizio di reclamo (quinto motivo);

10. anch’esso è infondato;

11. i lavoratori sono rimasti, infatti, soccombenti nei confronti di L.P.T. s.r.l., all’esito della fase sommaria del giudizio di primo grado, di inammissibilità e di rigetto delle loro domande verso di essa: a tale controversia essendosi esclusivamente limitata la devoluzione con i primi quattro motivi di ricorso incidentale, come risultante dalle ragioni del loro rigetto;

12. pertanto entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza con raddoppio del contributo unificato tanto per il ricorso principale che incidentale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535). Va disposta altresì la compensazione delle spese tra i ricorrenti incidentali e L.P. s.p.a. – che ha resistito con controricorso solo al ricorso incidentale – cui i ricorsi sono stati notificati ai soli fini dell’integrazione del contraddittorio processuale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi principale e incidentale; dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2023, n. 13078
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