Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 maggio 2023, n. 12907

Lavoro, Riconoscimento di qualifica superiore, Differenze retributive, Decorrenza del termine prescrizionale relativo ai crediti retributivi, Licenziamento illegittimo, Tutela indennitaria, Decorrenza del termine di prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, Rigetto

 

Ritenuto che

 

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 4308/2021, ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva accolto la domanda del Sig. D.M., dipendente della T. S.p.a., di riconoscimento qualifica superiore (il 5° livello rispetto al 4° di inquadramento) a partire dal 1.10.2008, riconoscendogli anche il diritto al pagamento delle differenze retributive nonché le spese di lite.

2. I giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) il lavoratore possedeva l’adeguata autonomia ed indipendenza nelle attività di attivazione e assistenza tecnica di servizi/prodotti presso il cliente finale e che tale attività era corroborata dall’impiego di personali e particolari competente acquisite in specifici percorsi formativi e che quindi l’attività che svolgeva non fosse limitata alla risoluzione di anomalie; b) all’esito dell’istruttoria la tesi attorea era stata del tutto suffragata dai vari testi esaminati in giudizio, confermando, dunque, le mansioni svolte dal controricorrente e di conseguenza il giustificato inquadramento nel livello superiore; c) i crediti retributivi non erano prescritti in ragione del fatto che detto termine non decorreva in costanza di rapporto di lavoro perché, a seguito della novella di cui all’art. 18 legge n. 300 del 1970, non vi era alcuna certezza e predeterminazione della stabilità del posto di lavoro con la conseguenza che, anche per i rapporti di lavoro con imprese che occupassero più di quindici dipendenti, il decorso del termine prescrizionale era sospeso fino alla risoluzione del rapporto medesimo.

3. Avverso la sentenza di secondo grado T. S.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo cui ha resistito il Sig. D.M. con controricorso.

4. Il controricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

5. Con l’unico motivo la T. S.p.a. lamenta la violazione degli artt. 2943 e 2948, n. 4 c.c. in relazione all’art. 360, 1° comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il termine prescrizionale non decorresse in costanza di rapporto di lavoro ma solo a seguito della cessazione del rapporto, non tenendo conto, invece, dell’orientamento giurisprudenziale formatosi a seguito dei diversi interventi legislativi che hanno, da un lato, potenziato la posizione del lavoratore e, dall’altro, sanzionato ogni tipo di licenziamento arbitrario, tanto da stemperare quel metus del recesso datoriale, riducendo le differenze tra il lavoro privato e quello di impiego pubblico in termini di stabilità del rapporto di lavoro.

6. Il motivo è infondato.

7. La questione posta in rilievo con il ricorso ruota intorno alla decorrenza del termine prescrizionale relativo ai crediti retributivi.

8. La società fonda le proprie ragioni sull’orientamento della Corte costituzionale, seguito anche da questa Corte, che, con le sentenze nn. 86/1971 e 174/1972, ha dato una diversa interpretazione del “principio di differimento” del termine prescrizionale, in virtù dell’avvento di normative maggiormente garantistiche per la stabilità del rapporto di lavoro, tra le quali la l. 604/1996 e l. 300/1970, con le quali il legislatore ha cercato di livellare la sproporzione tra la condizione soggettiva del lavoratore rispetto al recesso datoriale arbitrario, mediante l’introduzione di regimi sanzionatori più stringenti e capaci di ridurre il minor grado di resistenza del rapporto di lavoro rispetto a quello del pubblico impiego.

9. Le sentenze appena richiamate, infatti, statuirono che detto principio di differimento non dovesse essere applicabile “tutte le volte che il rapporto di lavoro subordinato fosse caratterizzato da una particolare forza di resistenza, la quale deriva da una disciplina che assicuri normalmente la stabilità del rapporto e fornisca la garanzia di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione”.

10. Il richiamato orientamento negli anni seguenti, però, ha subito un’evoluzione giurisprudenziale che ha puntualizzato ulteriormente il rapporto tra il decorso della prescrizione e la stabilità del rapporto di lavoro.

11. Il mutamento interpretativo in ordine a detta fattispecie trova le sue fondamenta nei successivi interventi legislativi in ambito lavoristico; in particolare, con l’entrata in vigore della l. 92/2012 è stata modificata la prospettiva del lavoratore in termini di stabilità del rapporto, essendo stata ridotta a mera sanzione residuale la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo.

12. La novella legislativa ha fatto così riemergere quello sbilanciamento tra la posizione del lavoratore e quella datoriale in costanza di recesso, tale da far riaffiorare il sentimento di metus, in capo al lavoratore, circa la stabilità del rapporto, determinando altresì l’incertezza in ordine alla tutela applicabile nel caso di un licenziamento illegittimo e riducendo, quindi, al minimo la libertà espressione di volontà negoziale del lavoratore.

13. Ultimamente questa Corte è tornata sulla questione, nell’ambito di un quadro normativo significativamente modificato; in particolare, l’inversione giurisprudenziale è stata ricercata nell’analisi del dato essenziale della stabilità del rapporto di lavoro che trova le sue fondamenta nella tutela reintegratoria ex art. 18 l. 300/1970 e l’evoluzione di tale disciplina a seguito dei diversi interventi legislativi, ad opera della l. 92/2012 e del più recente d.lgs. 23/2015.

14. Detta tutela, a seguito della riforma del richiamato art. 18, con l. 92/2012, non può dirsi che garantisca più al lavoratore una particolare forza di resistenza, in ragione del fatto che in caso di licenziamento illegittimo, per effetto della volontà del legislatore, la tutela indennitaria ha assunto una valenza di carattere generale, confinando, di converso, la reintegra ad una fattispecie del tutto residuale (Cass. n. 30985/2017).

15. Sicché nei rapporti di lavoro subordinato, anche in imprese con più di quindici dipendenti, non permane più un regime di stabilità, in ragione dell’impossibilità per il lavoratore di poter prefigurarsi con certezza le vicende successive al suo licenziamento illegittimo e questo proprio in ragione della diversa prospettazione dell’ambito di applicazione della tutela reintegratoria, la quale, precedentemente alle riforme avvenute con la l. 92/2012 ed con il d.lgs. 23/2015, costituiva per il lavoratore un rilevante strumento di valutazione in ordine alla continuità del rapporto di lavoro.

16. In tal senso, questa Corte, con pregevoli argomentazioni condivise da questo Collegio, ha statuito che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. 26246/2022).

17. Nel caso di specie, quindi, il termine di prescrizione del credito retributivo ha subito un’interruzione e non già una sospensione ex art. 2941 c.c., essendo detto termine ancora pendente durante il periodo che intercorreva tra il 2008 e il 2012, vale a dire tra l’anno dell’inizio del rapporto e quello dell’intervento modificativo dell’art. 18 dello St. Lav., ovverosia nel periodo in cui i crediti da lavoro si prescrivevano in costanza di rapporto, in ragione del fatto che il lavoro subordinato “era caratterizzato da una particolare forza di resistenza”.

18. Ne consegue che la decisione della Corte d’Appello di Napoli è perfettamente conforme all’orientamento di legittimità evidenziando proprio come gli interventi legislativi abbiano modificato la condizione soggettiva del lavoratore, in ragione del fatto che la tutela reintegratoria sopravviene ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all’esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente secondo il criterio del “caso per caso”, rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale (cfr. Cass. n. 26246/2022).

19. La sentenza oggetto di gravame ha, inoltre, correttamente evidenziato come le addotte argomentazioni in relazione al requisito dimensionale fossero del tutto irrilevanti ai fini della decorrenza del termine prescrizionale del credito, che sarebbe iniziato solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro e non in costanza di esso.

20. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

21. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.

22. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei Difensori del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 maggio 2023, n. 12907
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: