L’azienda può licenziare due volte lo stesso dipendente, purché il licenziamento sia fondato su fatti diversi da quelli posti a sostegno del primo provvedimento di recesso.

Nicolò Mastrovito

Il licenziamento illegittimo intimato ad un lavoratore cui sia applicabile la tutela reale (ex art.18 Stat. Lav.) non è idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro al momento in cui è stato intimato, determinando soltanto una interruzione di fatto del rapporto di lavoro, senza incidere sulla sua continuità e permanenza (cfr. Cass. n. 27390/13, Cass. n. 1244/11, Cass. n. 19770 /09).

Pertanto, l’azienda può irrogare un secondo licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, purché fondato su fatti diversi da quelli posti a sostegno del primo provvedimento di recesso. In sintesi, è ammissibile l’irrogazione di un secondo licenziamento, pur chiaramente destinato ad operare solo in caso di annullamento di quello precedente.

Il secondo licenziamento, in quanto fondato su una diversa causa o motivo, è, infatti, del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, “con la conseguenza che entrambi gli atti di recesso sono in sè astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente”. In altri termini, gli effetti del secondo licenziamento si produrranno solo se il primo recesso viene dichiarato illegittimo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (23 agosto 2016, n.17247), disattendendo il precedente, diverso orientamento in base al quale, nell’area della stabilità reale, un secondo licenziamento, ove irrogato prima dell’annullamento del precedente licenziamento, sarebbe privo di effetto, in quanto interverrebbe su un rapporto non più esistente (v. ad es., Cass. n. 5125/2006, secondo cui solo l’annullamento giudiziale del primo licenziamento potrebbe far rivivere il rapporto di lavoro, con la conseguenza che se il datore operasse un secondo recesso prima della reintegra, il secondo licenziamento non avrebbe effetto alcuno).

Ciò, sul presupposto che l’impostazione ormai superata si limitava a considerare solo “l’aspetto degli effetti caducatori della pronunzia di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo, enfatizzando il dato testuale della L. n. 300 del 1970”, art. 18, co.1, laddove afferma che “il giudice……annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo…”.

Secondo la Corte, invece, occorre tenere conto del significato complessivo della norma. Questa prevede, infatti, che nell’ipotesi di annullamento del recesso disposto dal giudice per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, si applica al lavoratore una serie di conseguenze favorevoli (come la reintegrazione nel posto di lavoro, il pagamento di un’indennità pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegrazione ed il versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e reintegrazione), le quali postulano che il rapporto di lavoro “medio tempore sia continuato, seppure solamente de iure. In altre parole, non può negarsi che l’annullamento abbia natura costitutiva e che gli effetti della pronunzia abbiano effetto ex tunc; tuttavia, esso interviene in una situazione in cui il rapporto non è stato interrotto dal licenziamento” (v. Corte Cost. 14 gennaio 1986, n.7, in FI, 1986, I, 1785, con nota di D’ANTONA).

Il licenziamento illegittimo, intimato a lavoratori per i quali è applicabile la tutela cosiddetta reale, determina solo un’interruzione di fatto del rapporto di lavoro, ma non incide sulla sua continuità, assicurandone la copertura retribuiva e previdenziale (v. Cass. 1 marzo 2005, n. 4261).

Il ragionamento fa perno sulla normativa che regola la cosiddetta tutela reale del rapporto di lavoro, e si riferisce solo all’ipotesi in cui il primo licenziamento sia soggetto alla disciplina che prevede la reintegra. Secondo la Corte, nonostante la disposizione di legge attribuisca ai giudici il potere di “annullare” il licenziamento viziato, in base alla disciplina complessiva della reintegra un licenziamento viziato non fa venir meno il rapporto di lavoro, rendendo così del tutto plausibile e giustificato il fatto che il datore, ove ne ricorrano gli estremi, intimi un successivo licenziamento.

Lo stesso lavoratore può essere licenziato due volte.
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