Legittimo il procedimento disciplinare in seguito al quale si proceda, senza contraddittorio, alla perquisizione dell’armadio personale del dipendente
Nota a Cass. 2 marzo 2017, n. 5314
Flavia Durval
È legittimo il licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente che abbia sottratto beni aziendali, occultandoli nell’armadietto a sua disposizione nei locali dell’azienda. Ed è ammissibile, nell’ambito del procedimento disciplinare finalizzato ad accertare l’addebito del dipendente, la perquisizione dell’armadio personale in assenza di contraddittorio, stante l’impossibilità del lavoratore di presenziare.
Il principio è stato espresso dalla Cassazione (2 marzo 2017, n. 5314), relativamente ad una fattispecie in cui, i giudici di merito (App. Napoli 29 maggio 2015), confermando la sentenza di primo grado, avevano respinto il ricorso proposto da un lavoratore nei confronti dell’Inps, volto all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento. Ciò, tra l’altro, sul presupposto che la volontà del lavoratore di essere sentito nel corso del procedimento disciplinare era stata manifestata tardivamente rispetto al termine di cinque giorni; la certificazione medica presentata dal dipendente non attestava l’impossibilità di comparire all’audizione, documentando soltanto “uno stato ansioso generalizzato con spunti fobici, che non risultava di natura transitoria e che la diagnosi di lombosciatalgia con sintomi vertiginosi era priva di riscontri diagnostico-strumentali”; era risultata provata l’affissione del codice disciplinare, la sua pubblicazione nel sito istituzionale e la sua comunicazione al lavoratore tramite posta elettronica; in ogni caso, la pubblicità del codice disciplinare non era necessaria in relazione ai gravi addebiti contestati per cui la sanzione risolutiva risultava proporzionata avuto riguardo alla entità degli atti “occultati” ed alla rilevanza, anche sul piano economico, delle pratiche non trattate. Infine, l’accesso dell’Inps all’armadio in dotazione al lavoratore era legittimo perché finalizzato al buon andamento della azione amministrativa in ordine alle pratiche ivi custodite.
L’istruttoria espletata aveva infatti dimostrato l’avvenuta realizzazione da parte del lavoratore dell’occultamento per lunghi anni, all’interno di un armadio in dotazione al medesimo lavoratore, di numerose pratiche di riscatto degli anni di laurea; domande di ricongiunzione; tessere assicurative recanti marche non annullate, né decontate e, pertanto, riutilizzabili; 148 fogli matricolari; fogli di congedo illimitati; ricevute di bollettini di versamento relativi a pratiche di riscatti e di ricongiungimenti; 61 ricorsi risalenti agli anni 1992/1993, documenti tutti concernenti pratiche affidate per il loro esame al lavoratore.
La Corte di Cassazione rileva che, sebbene, ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, co. 2, in caso di irrogazione di licenziamento disciplinare, il lavoratore abbia diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro, “ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell’incontro limitandosi ad addurre una impossibilità di presenziare, poiché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (v. anche Cass. n.14106/2016 e n. 9223/2015).
In altri termini, se il prestatore avanza la richiesta di essere sentito di persona successivamente al termine di 5 giorni, non è configurabile né un suo diritto ad essere ascoltato né un correlativo obbligo del datore di lavoro. Tantomeno viola l’art. 7 Stat. Lav. l’eventuale scelta aziendale discrezionale di accedere alla richiesta tardiva del lavoratore ad essere ascoltato ed il lavoratore non si presenti, chiedendo la fissazione di un nuovo incontro (Cass.18 giugno 2002, n. 8853, in Riv. it. dir. lav., 2003, ll, 91, con nota di S. MAINARDI, Vecchie e nuove questioni in materia di procedimento disciplinare, titolarità del potere e termini a difesa. V. anche Cass. 31 marzo 2011, n. 7493).