Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2020, n. 113

Socio lavoratore, Accuse rivolte all’ex presidente di
cooperativa, Appropriazione indebita, Negazione dei doveri propri del socio
lavoratore, Giusta causa di recesso, Grave insubordinazione verso i superiori

 

Rilevato

 

1. Che la Corte di appello di Milano ha confermato
la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso di S.K.A. inteso
all’annullamento della delibera di esclusione dalla S.N.C. a r.l. Onlus e del
contestuale licenziamento intimato dalla Cooperativa in data 3.7.2015 ;

1.1. che il giudice di appello, premesso che la
mancata impugnazione della delibera di esclusione, in quanto fondata sulle
identiche ragioni disciplinari a base del licenziamento, non precludeva
l’azione intesa ad ottenere la tutela ex art. 18 legge n. 300 del 1970,
ha ritenuto la domanda non accoglibile nel merito per risultare accertato dalla
espletata istruttoria l’addebito a carico del socio lavoratore, costituito
dall’accusa rivolta all’ex presidente della cooperativa, G.P. di essersi
indebitamente appropriato della somma di € 36.000,00; tale accusa, per la sua
specificità e rilevanza, si configurava quale giusta causa di recesso
rappresentando grave negazione dei doveri propri del socio lavoratore e primo
fra tutti quello di subordinazione dovendo, quindi, ritenersi integrata
l’ipotesi di <<grave insubordinazione verso i superiori>> alla
quale l’art. 42 lett. E) del contratto collettivo connetteva la sanzione
espulsiva; la gravità dell’accusa proferita non consentiva, infatti, di
ricondurre la fattispecie all’ipotesi di comportamento scorretto e offensivo
verso gli utenti, i soggetti esterni e i colleghi, che l’art. 42, lett. D) del
contratto collettivo sanzionava solo in via conservativa;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S.K.A. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis 1. cod. proc. civ.;

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce,
ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 4, cod. proc.
civ., nullità della sentenza in relazione all’art.
112 cod. proc. civ.. Premesso che la sentenza di primo grado aveva
respinto, senza esame nel merito, la originaria domanda sul rilievo della
mancata tempestiva impugnazione della delibera di esclusione e premesso che la
sentenza di appello aveva recepito la censura dell’appellante sul punto, assume
che il giudice di appello, in dispositivo, avrebbe dovuto dare atto del
parziale accoglimento dell’appello con riforma della sentenza di primo grado e,
quindi, pronunziare nel merito del ricorso ex art.
414 cod. proc. civ., circostanza questa che avrebbe inciso sul regolamento
delle spese di lite determinandone la compensazione per soccombenza reciproca
ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ.;

2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.
civ. in combinato disposto con l’art. 2697 cod.
civ., censurando l’accertamento fattuale alla base del decisum sotto il
profilo della attendibilità del teste escusso e della correttezza della
relativa ricostruzione;

3. che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.
civ. in combinato disposto con l’art. 2119 cod.
civ.. Osserva che poiché al dipendente erano state contestate una pluralità
di condotte concatenate l’integrazione della giusta causa doveva ritenersi
sussistente solo ove fosse stata acquisita la prova del complesso degli episodi
addebitati e non, come avvenuto nel caso di specie, sulla base di uno solo di
essi;

4. che con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nullità
della sentenza in relazione all’art. 132 comma 1,
n. 4, cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata in quanto
argomentata con motivazione solo apparente ed apodittica tale da non consentire
la corretta individuazione delle ragioni alla base del decisum; rappresenta che
comunque le somme delle quali era denunziata la indebita appropriazione avevano
a che fare più con la cooperativa che con il rapporto di lavoro;

5. che con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione,
rappresentato dalla circostanza relativa alla posizione del P. quale datore di
lavoro o rappresentante dell’azienda. Dalla prova orale era emerso, infatti,
che questi, già Presidente della cooperativa, era socio volontario e non,
quindi, un superiore; tanto conduceva ad escludere la grave insubordinazione
verso i superiori ritenuta sussistente dal giudice di merito;

6. che con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 2104,
2105, 1175, 1375 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 2119 e con l’art.
2967 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che la
condotta dell’A. sarebbe sconfinata nella violazione dei basilari doveri propri
del socio lavoratore, primo fra tutti quello di subordinazione. Le
dichiarazioni contestate, infatti, erano state rivolte ad una persona del tutto
estranea alla compagine sociale; era, inoltre, necessario verificare sulla base
dei parametri indicati dal giudice di legittimità, se il socio lavoratore aveva
trasmodato dai limiti prescritti nell’esercizio del proprio diritto di critica;

7. che preliminarmente occorre esaminare, per il
rilievo dirimente collegato al relativo accoglimento, il quarto motivo di
ricorso con il quale si denunzia la violazione dell’art.
132 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per <<motivazione
apparente>>;

7.1. che il motivo è infondato. E’ noto che la
motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle
conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante –
sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso
materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla
base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono
di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato,
in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è
nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente
esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione,
perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il
ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento,
non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più
varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure
allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha
tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro
disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo
sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017)
oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo
talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di
riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009). Tali
carenze, che l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del
tutto generiche ed assertive, non sono riscontrabili nella sentenza in esame
della quale sono agevolmente ricostruibili i percorsi argomentativi che hanno
condotto, sulla base della esperita istruttoria, all’accertamento della
condotta contestata (accusa rivolte dall’A. al P.), ed alla valutazione della
riconducibilità della stessa (specificità e rilevanza dell’accusa) alla ipotesi
configurante giusta causa di recesso alla stregua di specifica previsione del
contratto collettivo;

8. che il primo motivo di ricorso è inammissibile
alla luce giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di spese
processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel
potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare
ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con
la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza
prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata
in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n.
11329 del 2019, Cass. Sez. Un. n. 1489 del 2005);

9. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile
in quanto non verte sul significato e sulla portata applicativa dell’articolo 2697 cod. civ. ma risulta inteso alla
sollecitazione di una revisione del materiale probatorio, operazione non
consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di
motivazione, alla stregua del novellato art. 360,
n.5 cod.proc.civ. (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie qui
scrutinata), come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014);

10. che il terzo motivo di ricorso è infondato alla
luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale qualora il
licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al
dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi
autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione.
Non è dunque il datore di lavoro a dover provare di aver licenziato solo per il
complesso delle condotte addebitate, bensì la parte che ne ha interesse, ossia
il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente,
per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non
consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro (Cass. n.
18836 del 2017, Cass. n. 12195 del 2014).
Tanto premesso in relazione all’episodio accertato dalla Corte di merito e
ritenuto da questa idoneo ad integrare la giusta causa di licenziamento, parte
ricorrente, pur denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., non chiarisce con riguardo
all’attività di integrazione del precetto normativo in oggetto (norma cd.
elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della
giusta causa- le ragioni per le quali la stessa debba ritenersi incoerente con
gli standards esistenti nella realtà sociale che costituiscono il parametro al
quale deve essere ancorata la verifica della dedotta violazione (ex plurimis Cass. n. 7426 del 2018) ma si limita in termini
apodittici a sostenere che solo la integrazione di tutte le condotte addebitate
conduceva alla configurazione della giusta causa di licenziamento senza in
alcun modo argomentare sulle ragioni di tale assunto;

11. che il quinto ed il sesto motivo di ricorso,
esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati. Il giudice di
appello, in punto di fatto, ha accertato che il P., ex Presidente della
cooperativa era all’epoca della contestazione consigliere della stessa
(sentenza, pag. 5, penultimo capoverso). Tale accertamento non è stato
incrinato dalla deduzione di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di
discussione tra le parti, formulata con il quinto motivo dall’odierno ricorrente,
riferito alla circostanza dichiarata dal teste F. dell’essere <<G.P.,
socio volontario e in precedenza a lungo Presidente della cooperativa>>;
ciò in quanto il fatto omesso, rilevante ai fini del novellato l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
applicabile ratione temporis, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 18560 del 2019, Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 cit.), è costituito
da un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, principale o
primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto
azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria) e deve essere
decisivo; le prescritte caratteristiche non sono declinabili in relazione alla
circostanza indicata dal ricorrente sia perché trattandosi di circostanza
riferita da un teste l’apprezzamento della relativa valenza probatoria è frutto
di valutazione rimessa al giudice del merito, sia perché, comunque, essa intrinsecamente
non smentisce l’accertamento del giudice di merito; l’essere il P. socio della
cooperativa, dopo essere stato Presidente della stessa, non esclude, infatti,
che lo stesso fosse all’epoca dei fatti anche consigliere della Cooperativa
medesima e rivestisse, quindi, quel ruolo sovraordinato rispetto all’A. che
giustificava la configurazione della condotta ascritta come di <<grave
insubordinazione verso i superiori>>, sanzionata dal contratto collettivo
con il licenziamento;

11.1. che alla luce di quanto sopra si rivela
insussistente la dedotta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto
indicate nel sesto motivo con riferimento alla violazione degli obblighi di
fedeltà, collaborazione e diligenza gravanti sul lavoratore;

11.2. che parimenti infondata è l’ulteriore censura
con la quale si denunzia la mancata applicazione dei parametri destinati a
scriminare la condotta del lavoratore sotto il profilo del legittimo esercizio
del diritto di critica avendo il giudice del merito espressamente dato atto
dell’esito negativo di tale verifica alla luce della gravità e specificità
delle accuse rivolte al P., e quindi del superamento dei limiti di continenza
formale e sostanziale, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità secondo
la quale l’esercizio del diritto di critica del lavoratore nei confronti del
datore di lavoro è legittimo se limitato a difendere la propria posizione
soggettiva, nel rispetto della verità oggettiva, e con modalità e termini
inidonei a ledere il decoro del datore di lavoro o del superiore gerarchico e a
determinare un pregiudizio per l’impresa (Cass. n.
21649 del 2016), rilevando i limiti della continenza sostanziale e formale,
superati i quali la condotta assume carattere diffamatorio (Cass. 26.9.2017 n. 22375, Cass. n. 19092 del 2018, Cass. n. 14527 del 2018, Cass. n. 21362 del 2013);

11.3. che in base alle considerazioni che precedono
il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato alla rifusione delle
spese di lite;

11.4. che sussistono i presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13
(Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00, per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2020, n. 113
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: