Per l’indennizzabilità della malattia professionale il lavoratore deve dimostrare lo svolgimento professionale della lavorazione indicata nel sistema tabellare nonché lo stato di malattia ivi prevista.

 Nota a Cass. 4 febbraio 2020, n. 2523

Maria Novella Bettini

La Corte di Cassazione (4 febbraio 2020, n. 2523, difforme da App. Napoli) si è  pronunciata in relazione ad un ricorso avente ad oggetto l’indennizzo, da parte dell’Inail, di una malattia nosologicamente definita nella tabella delle malattie professionali (D.P.R. 336/94, aggiornato dal D.M. 9 aprile 2008) per la quale, nell’ipotesi di esposizione al relativo rischio, la presunzione legale di origine professionale opera in modo immediato.

I giudici hanno ritenuto che, in caso di morte del lavoratore per esposizione all’amianto, non va posto a carico degli eredi l’onere di dimostrare l’esclusione di altre cause dirette della malattia, desumibili dall’anamnesi personale e familiare e dalle abitudini di vita del de cuius, pena la violazione dei principi che governano la distribuzione dell’onere della prova del nesso causale nelle malattie tabellate.

Come noto, la malattia professionale (o causa di servizio) è una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull’organismo. In altre parole, la malattia professionale, diversamente dall’infortunio, è caratterizzata da una causa diluita, non da un’ occasione violenta e concentrata nel tempo.

Tale causa, inoltre, secondo la legge, deve essere diretta ed efficiente, cioè in grado di produrre l’infermità in modo esclusivo o prevalente, e deve essere contratta nell’esercizio e a causa delle lavorazioni rischiose (in altre parole, può derivare direttamente dall’attività svolta dal lavoratore, oppure dall’ambiente in cui la lavorazione stessa si sviluppa – c.d. rischio ambientale -).

È ammesso, tuttavia, il concorso di cause extraprofessionali, purché queste non interrompano il nesso causale in quanto capaci di produrre da sole l’infermità (v. D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

Il Ministero del lavoro ha elencato una serie di casistiche delle malattie professionali (c.d. malattie tabellate), in cui opera una presunzione legale circa l’origine lavorativa, nel senso che la malattia in questione si presuppone determinata dalle condizioni di lavoro o dalla mansione svolta (v. D.M. 9 aprile 2008, cit.).

Si tratta di un elenco di patologie tassativo, a differenza delle “malattie non tabellate” in cui non opera la presunzione legale, ed è richiesto al dipendente di dimostrare l’effettiva esistenza della malattia, le caratteristiche della lavorazione svolta tale da provocare l’insorgere della patologia e il rapporto causa – effetto tra la stessa e la mansione ricoperta.

I danni provocati dalle malattie professionali sono indennizzati dall’Inail tramite prestazioni di carattere economico, sanitario e riabilitativo.

In particolare, le malattie tabellate riguardano patologie provocate da lavorazioni indicate nelle tabelle stesse e denunciate entro un determinato periodo dalla cessazione dell’attività rischiosa (c.d. periodo massimo di indennizzabilità). Inoltre, in presenza di una malattia tabellata il lavoratore è sollevato dall’onere di dimostrare l’origine professionale della patologia. Egli deve solo provare l’assegnazione ad una lavorazione tabellata (o comunque l’esposizione a un rischio ambientale provocato da tale lavorazione), l’esistenza della malattia (anch’essa tabellata) e l’avvenuta denuncia nel termine massimo di indennizzabilità. In presenza di queste condizioni, si presume per legge che quella malattia sia di origine professionale.

La distinzione tra le malattie comprese nelle tabelle e quelle ivi non comprese rileva dunque sul piano della prova del nesso di causalità. L’inclusione nella tabella sia della lavorazione svolta che della malattia contratta (purché insorta entro il periodo massimo d’indennizzabilità eventualmente previsto) comporta infatti una presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato. Al lavoratore basterà dimostrare lo svolgimento professionale della lavorazione indicata in tabella nonché lo stato di malattia ivi prevista, “per essere esonerato dalla prova dell’esistenza del nesso di causalità tra l’uno e l’altra, avendo già l’ordinamento compiuto la correlazione causale tra i due termini” (v. Cass. n. 320/2019; Cass. n. 16248/2018; e già Cass. S.U. n. 1919/1990; il sistema tabellare, tuttavia, esonera il lavoratore dalla prova del nesso di causalità tra lavorazione tabellata e malattia, ma non dalla prova dell’adibizione professionale alla prima).

In sintesi, perché scatti la presunzione del nesso causale la prova del lavoratore dovrà soltanto avere ad oggetto (oltre alla contrazione della malattia tabellata) lo svolgimento di una lavorazione che rientri nel perimetro legale della correlazione causale presunta e dunque “idonea, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, a provocare la malattia”.

Diversamente, per quanto concerne le malattie, pur previste in tabella, ma aventi un’eziologia plurima o multifattoriale, il lavoratore è tenuto comunque a fornire la prova, “in termini di rilevante o ragionevole probabilità scientifica, dell’idoneità dell’esposizione al rischio a causare l’evento morboso” (Cass. n. 8773/2018; e Cass. n. 13814/2017).

Quanto alla malattia nosologicamente definita solo con riferimento alla sua causa, in tal caso “non vi è una previa individuazione normativa della derivazione causale, restando indefinito uno dei due fattori del nesso, e dunque non scatta la presunzione di eziologia professionale, sicché l’assicurato è integralmente onerato del relativo onere della prova”. Si pensi alle lavorazioni, non nominate, “causate da …” agenti morbigeni individuati (v. ad es. voce n. 25 Tabella all. A) al D.P.R. n. 1124/1965, che alla lett. b) contempla le “altre malattie causate dall’esposizione professionale a composti organici del fosforo”).

Inoltre, a seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 179/1988), nel nostro ordinamento sono state introdotte anche le malattie “non tabellate”, ossia non presenti nel sistema tabellare, per le quali il lavoratore può ugualmente ottenere la prestazione previdenziale purché dimostri che la patologia di cui è portatore, pur non ricorrendo le condizioni previste nelle tabelle, è comunque di origine professionale.

Dal canto suo, l’Inail ha la possibilità di dimostrare che “la malattia, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio: “a) perché tale esposizione è cessata da lungo tempo; b) ovvero poiché “il lavoratore è stato concretamente esposto all’agente patogeno connesso alla lavorazione tabellata in misura non sufficiente nel caso concreto a cagionare la malattia”; c) o in quanto sussiste un fattore extralavorativo di per sé idoneo a provocare l’esposizione stessa, vale a dire la malattia è stata determinata da cause extraprofessionali e non dal lavoro. (v. Cass. n. 19312/2004; Cass. n. 14023/2004).

A tale riguardo, è sufficiente che l’esposizione a rischio abbia costituito la concausa concorrente della malattia. Per l’indennizzabilità, infatti, non si richiede che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente (così, Cass. n. 27952/2018 e Cass. n. 23653/2016). Per vincere la presunzione di eziologia professionale, l’Inail, perciò, dovrà provare l’efficacia causale esclusiva dell’eventuale fattore morbigeno extralavorativo.

In tema di malattie professionali, v., in questo sito, M.N. BETTINI, Malattia professionale e stress lavorativo: rischio specifico e rischio ambientale. Nota a Cass. ord. 5 marzo 2018, n. 5066; M. CINELLI, S. GIUBBONI, Lineamenti di diritto della previdenza sociale,  Cedam, 2020, 182; M. PERSIANI, M. DONGHIA, Fondamenti di diritto della previdenza sociale, Giappichelli,  2019, R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Cedam, 2016.

Prova della malattia professionale
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