Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 marzo 2020, n. 7568

Procedura selettiva per la progressione nella posizione
economica, Risarcimento dei danni patrimoniali, Differenza tra la
retribuzione percepita e quella prevista per i dipendenti inquadrati nella
posizione economica superiore, Annullamento della graduatoria

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello
di M.G.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva
rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Inail, volta ad ottenere: il
parziale annullamento della graduatoria pubblicata il 31 ottobre 2006 all’esito
della procedura selettiva per la progressione nella posizione economica C4;
l’accertamento del diritto ad essere inserita al 47° posto della graduatoria in
questione, previa attribuzione del punteggio massimo previsto per le
potenzialità e le attitudini professionali; la condanna dell’Istituto
previdenziale ad assumere gli atti conseguenti ed al risarcimento dei danni
patrimoniali, pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella
prevista per i dipendenti inquadrati nella posizione economica superiore;

2. la Corte territoriale ha premesso che solo in
grado di appello la ricorrente aveva inammissibilmente modificato la domanda,
concludendo per l’annullamento della graduatoria, mentre nell’originario atto
introduttivo aveva chiesto di essere collocata al 47° posto della graduatoria
in parola, domanda, questa, che correttamente era stata respinta dal Tribunale,
poiché priva di fondamento era la pretesa relativa all’attribuzione del
punteggio massimo previsto per «potenzialità ed attitudini»;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che la C. non
aveva impugnato il bando di concorso, incentrando tutte le censure sulla
pretesa erroneità della graduatoria, e la circostanza assumeva rilievo decisivo
in quanto il bando di concorso prevedeva espressamente tra i titoli valutabili,
oltre all’anzianità ed al titolo di studio, la valutazione delle potenzialità e
delle attitudini professionali relative alla posizione da conseguire nonché la
«applicazione dello specifico indice di potenziale già comunicato
dall’amministrazione a ciascun candidato»;

4. pertanto nel redigere la graduatoria finale
l’Istituto si era attenuto alla lex specialis della procedura, in relazione
alla quale non era stata dedotta un’eventuale contrarietà alla disciplina
collettiva, e conseguentemente inconferenti dovevano ritenersi tutte le
argomentazioni svolte in merito alla pretesa difformità della graduatoria
rispetto ai criteri indicati dall’art.
15 del CCNL 16.2.1999 per il personale del comparto enti pubblici non
economici e dall’art. 4 del CCI Inail del 30.7.1999;

5. la Corte territoriale ha rilevato inoltre che
l’appellante aveva invocato una disciplina contrattuale non applicabile ratione
temporis alla fattispecie, in quanto la procedura selettiva era stata bandita
nella vigenza del C.C.N.L. 9.10.2003 e del CCI
3.11.2005, anticipato dall’accordo del 20.10.2003 con il quale le parti sociali
avevano previsto che la valutazione del “potenziale”, avente ad
oggetto «l’insieme delle capacità latenti che ciascun soggetto possiede ed in
virtù delle quali potrà accrescere le proprie competenze e/o assumere ruoli»,
sarebbe stata effettuata da specialisti esterni ed avrebbe costituito uno
strumento di verifica delle attitudini professionali anche in occasione delle
selezioni interne per la progressione di carriera;

6. l’INAIL si era attenuto ai criteri concordati con
le organizzazioni sindacali ed aveva portato a compimento la procedura per la
valutazione del potenziale, il cui esito era stato tempestivamente comunicato
alla C. che non aveva mosso obiezione alcuna;

7. il bando di selezione, che prevedeva espressamente
l’applicazione dell’indice già comunicato, doveva essere letto ed interpretato
alla luce delle previsioni collettive richiamate e, pertanto, il criterio
utilizzato per la formazione della graduatoria non poteva essere ritenuto né
arbitrario né illegittimo;

8. per la cassazione della sentenza M.G.C. ha
proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, ai quali l’INAIL
ha opposto difese con tempestivo controricorso.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso, formulato ai
sensi dell’art. 360 n.3 cod proc. civ., la
ricorrente denuncia «violazione dell’art. 1362 c.c.
in ordine all’interpretazione dell’art.
15, c.4, del C.C.N.L. del comparto enti pubblici non economici del 16.2.99,
dell’art. 10 del successivo
C.C.N.L. del 9.10.03, dell’art. 4 del contratto collettivo integrativo
Inail del 30.7.1999 nonché violazione dei principi generali e delle norme che
disciplinano le procedure concorsuali in genere e segnatamente le selezioni per
le progressioni di carriera di cui all’art. 52, c. 1 bis del d.lgs.
165/01» e sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe errato
nell’interpretazione delle disposizioni contrattuali sopra richiamate e nel
ritenere che l’Inail avesse provveduto alla valutazione del potenziale dei
propri dipendenti perché, al contrario, la valutazione era stata affidata ad un
soggetto esterno, inidoneo a svolgere una procedura selettiva pubblica, ed
inoltre era stata effettuata senza il necessario rispetto dei canoni di
legalità, trasparenza e partecipazione;

1.1. la ricorrente aggiunge che la valutazione
espressa non poteva essere impugnata, perché all’epoca non erano noti i
punteggi assegnati agli altri partecipanti, e rileva che il bando di concorso
non era stato ignorato in quanto, al contrario, era stata ravvisata la
violazione dell’art. 8 nelle modalità con le quali il giudizio era stato
espresso dalla S.;

2. la seconda critica addebita alla Corte
territoriale la violazione delle disposizioni di legge e contrattuali
richiamate nel primo motivo ed insiste nel sostenere che poiché le progressioni
economiche hanno la finalità di premiare il merito dei dipendenti, occorreva
tenere conto solo delle esperienze e delle competenze già acquisite, da
valutare in relazione alla «realtà aziendale Inail», e non valorizzare il
potenziale, inteso come insieme delle capacità latenti del soggetto, ossia un
criterio vago e generico non idoneo a selezionare i dipendenti più capaci e
meritevoli;

3. infine con la terza critica, formulata ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la C. si duole della
violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e pronunciato,
sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., e
denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, formulata
in primo grado e riproposta in appello;

4. il ricorso è inammissibile in tutte le sue
articolazioni;

5. nello storico di lite si è evidenziato che la
sentenza impugnata ha motivato il rigetto della domanda su una pluralità di
rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sorreggere il decisum, sicché è
applicabile alla fattispecie l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui «ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di
ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente
sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una
di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle
altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non
impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza»
(Cass. n. 18641/2017 e negli stessi termini fra le tante Cass. 10815/2019,
Cass. n.15399/2018);

5.1. i primi due motivi di ricorso sono interamente
incentrati sulla dedotta violazione della contrattazione collettiva e
sull’asserita invalidità del giudizio espresso da un soggetto terzo rispetto al
datore di lavoro ma sono privi di specifica attinenza al decisum e nulla
deducono: sulla ritenuta infondatezza delle originarie conclusioni, in quanto
formulate sul presupposto che alla C. dovesse essere attribuito il punteggio
massimo previsto per potenzialità ed attitudini professionali; sugli effetti
preclusivi della mancata impugnazione del bando, che rinviava espressamente
alla valutazione del potenziale già comunicato dall’amministrazione a ciascun
candidato; sulla piena rispondenza del bando alla contrattazione collettiva
integrativa all’epoca vigente;

5.2. a detta assorbente ragione si deve aggiungere
che le censure, che sovrappongono e confondono profili di fatto (quali sono
quelli relativi alle modalità con le quali la società esterna aveva espresso il
giudizio) e questioni di diritto, difettano della necessaria specificità perché
non illustrano in maniera chiara le ragioni per le quali la Corte territoriale
avrebbe errato nell’interpretazione del bando e delle disposizioni contrattuali
indicate nella rubrica;

5.3. infine, quanto alla contrattazione integrativa,
il ricorso ne denuncia inammissibilmente la violazione ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., disposizione,
questa, che può venire in rilievo nei soli casi in cui la violazione stessa
riguardi accordi e contratti collettivi nazionali di lavoro;

5.4. al riguardo va, infatti, rammentato che i
contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e
nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure
negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere
decentrato o, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al
giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per
violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di
motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 n. 5
cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n.
5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n.
15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921);

5.5. a detti contratti non si estende, inoltre, il
particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del
d.lgs. n. 165 del 2001, sicché, vengono necessariamente in rilievo gli
oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt.
366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. ed il
ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità
e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso
le clausole sulle quali si incentra la censura (si rimanda, fra le più recenti,
a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018);

6. inammissibile ex art.
360 bis cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 7155/2017) è poi anche la terza
censura atteso che «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non
basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che
sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile
alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione
adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se
manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una
statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda
non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione
logico-giuridica della pronuncia» (Cass. n. 24155/2017);

6.1. nel caso di specie risulta evidente che dalla
ritenuta infondatezza dei motivi di appello, con i quali era stata riproposta
la questione dell’asserita illegittimità della graduatoria, non poteva che
discendere il rigetto della domanda risarcitoria, in quanto formulata sul
presupposto, escluso dalla Corte territoriale, dell’erroneità della valutazione
espressa dalla commissione esaminatrice;

7. alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso
consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo;

8. sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del
2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per
esborsi ed € 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle
spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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