Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12714

Lincenziamento per giusta causa, Accertamento della
illegittimità, Correttezza e obbligo di fedeltà, lealtà e buona fede,
Disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di
clausole generali, Contenuto, elastico ed indeterminato, Integrazione
mediante valutazioni desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o
dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di particolari discipline o arti
o professioni, Soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e
consona

 

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza
pubblicata in data 13.10.2014, ha respinto il gravame interposto da A.S., nei
confronti della S.M.E. Italy S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della
stessa sede n. 4397/2012, depositata il 12.3.2012, con la quale è stato
rigettato il ricorso del S. – diretto ad ottenere l’accertamento della
illegittimità del recesso, per assenza di giusta causa, dal contratto di
produzione discografica del 29.7.2002, comunicato dalla B.M.G.R. S.p.A., ora
S.M.E. Italy S.p.A., il 26.5.2005; nonché la declaratoria dell’inadempimento
della società, con conseguente dichiarazione di risoluzione del contratto
stesso per colpa di quest’ultima; ed altresì la condanna della medesima società
al risarcimento del danno per la mancata percezione dei compensi previsti dal
contratto, per la perdita di popolarità e di concrete occasioni di lavoro, da
liquidarsi in Euro 2.229.250,000 o nella diversa somma ritenuta di giustizia -;
ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della società, il S.
è stato condannato al risarcimento del danno, liquidato in misura pari ad Euro
396.002,56, oltre interessi legali sulla somma rivalutata dalla sentenza al
saldo, e commisurato alle somme anticipate dalla committente all’artista per
l’esecuzione dei dischi oggetto del contratto di produzione;

che per la cassazione della sentenza ricorre A.S.
articolando sedici motivi, cui la S.M.E. Italy S.p.A. resiste con controricorso,
spiegando ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi cui ha
replicato S. con controricorso;

che sono state comunicate memorie, ai sensi dell’art. 380-bis del codice di rito, nell’interesse di
entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso principale, si denunzia: 1) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,
1455, 1375 c.c.,
per dedotta mancata valutazione, da parte della Corte di merito, della non
scarsa importanza del preteso inadempimento del S., con riguardo all’interesse
dell’altra parte; 2) in riferimento all’art. 360,
primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e
1375 c.c., per mancata considerazione
dell’abuso del diritto della società per recesso contrattuale, nonostante
l’esatto adempimento, da parte del cantante, delle proprie prestazioni ed
omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dal pieno adempimento di tali
prestazioni contrattuali; 3) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1375 c.c., per avere i giudici di merito
ricondotto alla violazione dell’obbligo di buona fede condotte ad esso
estranee, quali la pretesa del cantante di procedere alla incisione del disco
in un luogo diverso (Capri) dallo studio, rimesso  alla facoltà di scelta della società; la
pronuncia di frasi offensive nei confronti della stessa e di condizionamento
della prosecuzione dell’esecuzione del contratto a pretese in esso non
previste; 4) in riferimento all’art. 360, primo
comma, nn. 4 e 5 c.p.c., la violazione degli artt.
112, 132, n. 4, c.p.c., per omessa
pronuncia e motivazione sul motivo di gravame relativo alla insussistenza di
condotte in violazione dell’obbligo di buona fede ed omesso esame di fatti decisivi,
quali la corrispondenza intercorsa tra le parti; 5) in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la
violazione degli artt. 1387 e segg. c.c. ed, in
generale, delle norme e dei principi che regolano la rappresentanza volontaria,
per avere i giudici di merito erroneamente imputato al S. condotte in asserita
malafede riconducibili esclusivamente al rappresentante F., nonché omesso esame
di 1441/4 fatto decisivo, quale il contratto tra questo e la S., in difetto di
prova di una procura ed altresì con erronea qualificazione del rapporto tra il
cantante ed il suo manager, in quanto mero nuncius, i cui comportamenti non
potevano essere ascritti al primo; 6) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione
degli artt. 112 e 132,
n. 4, c.p.c., per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello
relativo alla pretesa condizione alla quale il cantante avrebbe subordinato il
proprio adempimento; 7) in riferimento all’art.
360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 132, n. 4,
c.p.c., per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di gravame relativo
alla lettera di recesso per giusta causa del 26.5.2005, da cui scaturirebbe la
nullità della sentenza; 8) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1455 c.c.,
per avere i giudici di appello ignorato il principio di immediatezza della
contestazione del motivo di recesso o di risoluzione; 9) in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1453
e 1458 c.c., 99
e 112 c.p.c., per la condanna del S., quale
conseguenza della risoluzione contrattuale, alla restituzione del compenso
percepito, in assenza di domanda; 10) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità
della sentenza per violazione degli artt. 112 e
132, n. 4, c.p.c., per omessa pronunzia e motivazione
sul motivo di appello relativo all’inadempimento della società all’obbligo di
distribuzione del primo disco; 11) in riferimento  all’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt.
1374 e 1375 c.c., per avere la sentenza
ritenuto che la vendita del disco all’estero costituisse circostanza idonea a
provare l’adempimento dell’obbligo di distribuzione; 12) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omesso esame
della mail del 17.10.2003 di S.B.M.G. e dei dati risultanti dai rendiconti di
vendita ai fini della verifica dell’adempimento dell’obbligo di distribuzione;
13) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4,
c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, n. 4,
c.p.c., per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello relativo
all’inadempimento di S. all’obbligo di promozione del primo disco; 14) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.,
la violazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la
sentenza attribuito rilievo probatorio a documenti contenenti mere
dichiarazioni unilaterali della parte; 15) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso
esame di un fatto decisivo, quale la localizzazione degli eventi promozionali
del disco realizzati da S. quasi esclusivamente in Italia e, pertanto, non
funzionali alla distribuzione all’estero; 16) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della
sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c., per omessa pronunzia e
motivazione sul motivo di appello relativo alle pretese cause di insuccesso del
disco;

che, con il ricorso incidentale condizionato, si
censura: 1) in riferimento all’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., la nullità o ingiustizia della sentenza per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, quale l’omesso esame della deduzione di tardività
dell’eccezione di carenza di poteri di rappresentanza del F.;

2) «sulle domande di risarcimento dei danni
formulate dal S.», erroneamente quantificate dal medesimo; che i primi tre
motivi del ricorso principale – da trattare congiuntamente per ragioni di
connessione – non possono essere accolti; ed invero, è da premettere che, nei
contratti con prestazioni corrispettive, qualora si denunzino reciproche
inadempienze, occorre procedere alla comparazione del comportamento di entrambe
le parti – con accertamento fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove,
rientrante nei poteri del giudice di merito, insindacabile in sede di
legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 13627/2017; 10477/2004) -, al fine di
stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla
oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle
trasgressioni maggiormente rilevanti, causando il comportamento della
controparte, ed altresì della conseguente alterazione del sinallagma;

che, pertanto, la valutazione in ordine alla
configurabilità o meno del grave inadempimento che determina la risoluzione del
contratto, risolvendosi in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito,
non può essere oggetto di sindacato in questa sede, ove si ravvisi una logica
ed adeguata motivazione (v. tra le altre, Cass. nn. 6401/2015; 14755/2007;
14974/2006), come è avvenuto nel caso di specie, in cui la Corte distrettuale,
con argomentazioni concise, ma adeguate, anche attraverso richiami frequenti
alla sentenza del primo giudice, ha stabilito che il S. non aveva inadempiuto
al generale precetto di buona fede che, ai sensi dell’art. 1375 c.c., presiede all’esecuzione del
contratto (v. pag. 4 della sentenza impugnata);

che, peraltro, la correttezza (art. 1175 c.c.) e l’obbligo di fedeltà, lealtà e
buona fede (art. 1375 c.c.) costituiscono
disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e
di clausole  generali (Generalklauseln),
il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e
sullo sfondo di quella che è stata definita la “spirale ermeneutica”
(tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della
quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo
dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla
coscienza sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole
proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o
professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare,
altresì, le circostanze più concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole,
a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire,
mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilità della tota
res (realtà fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di
pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà, alla soluzione più conforme
al diritto, oltre che più ragionevole e consona (cfr. Cass., S.U., n.
2572/2012);

che tali specificazioni del parametro normativo
hanno natura di norma giuridica, come in più occasioni sottolineato da questa
Corte, e la disapplicazione delle stesse è deducibile in sede di legittimità
come violazione di legge: e, dunque, come innanzi accennato, l’accertamento
della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli
elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni è
sindacabile, nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non
si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva – come nella
fattispecie -, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli
“standards” conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella
realtà sociale (Cass. n. 25044/15; Cass. n.
8367/2014; Cass. n. 5095/11);

che, quanto alla dedotta violazione della norma
censurata sotto il profilo di abuso del diritto, che avrebbe causato al S. un
sacrificio sproporzionato ed ingiustificato, si osserva che la formulazione del
motivo appare diretta ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in
questa sede (cfr., tra le altre, Cass. nn.
15885/2018; 10568/2013; 7972/2007); ed
inoltre, per ciò che, più in particolare, attiene al vizio sollevato in
riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360
c.p.c., si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa
Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per
effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si
esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
«sufficienza» della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata
pubblicata, come riferito in narrativa, il 13.10.2014, nella fattispecie si
applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art.
360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la
sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio
motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere
di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la
Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento,
alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza
«così radicale da comportare», in linea con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della pronunzia
per mancanza di motivazione», ma critica una valutazione giuridica. E, dunque,
non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione
relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di
legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del
giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n.
25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale
con argomentazioni logico-giuridiche congrue poste a fondamento della decisione
impugnata;

che il quarto motivo è inammissibile: va, infatti,
al riguardo, innanzitutto, rilevato che non è stato prodotto (e neppure
indicato come documento offerto in comunicazione nel ricorso per cassazione),
né trascritto, l’atto di gravame, in ordine al quale, si assume che la Corte di
Appello avrebbe omesso di pronunziare sul motivo relativo alla insussistenza di
condotte contrarie all’obbligo di buona fede; e ciò, in violazione del
principio, più volte ribadito d a questa Corte, che definisce quale onere della
parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si
riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare
ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito
della questione (v., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per
cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi  necessari a costituire le ragioni per cui si
chiede la cassazione della  sentenza di
merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza
che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad
elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra
le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è
stata messa in grado di apprezzare, in modo puntuale, la veridicità delle
doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda
istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto
inammissibili e sfornite di delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass.
nn. 24374/2015; 80/2011);

che, per quanto riguarda il dedotto <<omesso
esame», valgano le considerazioni innanzi svolte;

che il quinto motivo è inammissibile, perché,
all’evidenza, teso ad ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova
valutazione degli elementi delibatori, pacificamente estranea al giudizio di
legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n.
24148/2013; Cass. n. 14541/2014), in quanto <<il compito di valutare
le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via
esclusiva al giudice di merito»; per la qual cosa, <<la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per
omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata
ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice di merito» (cfr., ex multis, Cass., S.U.,
n. 24148/2013; Cass. nn. 14541/2014; 2056/2011);
e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione
impugnata attraverso un iter motivazionale condivisibile dal punto di vista
logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi istruttori addotti
dalle parti;

che il sesto motivo non può essere accolto per le
considerazioni svolte in ordine al quarto motivo, dovendosi, in questo caso,
altresì precisare che, comunque, la Corte di merito, a pag. 4 della sentenza
impugnata, ha valutato, seppure concisamente, la condotta complessiva della
parte nell’esecuzione della propria prestazione secondo buona fede;

che il settimo mezzo di impugnazione non può essere
accolto, in quanto i giudici di seconda istanza, a pag. 5 della sentenza, hanno
fornito una motivazione congrua circa <<il recesso per giusta causa» e,
pertanto, il motivo esorbita da una appropriata censura in base ai vizi di
error in procedendo ed omesso esame denunziati, risolvendosi in una mera
contrapposizione valutativa rispetto al percorso decisionale della Corte;

che l’ottavo mezzo di impugnazione è inammissibile,
per l’assoluta inconferenza della questione, riguardante la illegittimità della
giusta causa di recesso, rigettata in primo grado e di cui è stata accertata la
formazione del giudicato dalla Corte di merito;

che il nono motivo non è fondato; al riguardo, va
premesso che, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di
«omessa pronunzia» o di «ultrapetizione» – fattispecie riconducibile ad una ipotesi
di error in procedendo ex art. 360, n. 4, c.p.c.
-, sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la
pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn.
13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008);
in particolare, per quanto attiene al vizio di «ultrapetizione», dedotto dal
S., la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, precisato che lo
stesso ricorre nell’ipotesi in cui «il giudice di merito, interferendo nel
potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione
(petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta
un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero
attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum
mediato)» (cfr., tra le altre, Cass. nn. 9452/2014;
455/2011; 16809/2008);

che tale vizio non si profila nel caso di specie, in
cui, nella sostanza, viene in considerazione l’interpretazione del contenuto e
dell’ampiezza della domanda; attività, quest’ultima, che integra un
accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile
in Cassazione, se non sotto il profilo della correttezza della motivazione
della decisione impugnata sul punto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 7932/2012;
20373/2008). Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare
giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un
nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la
domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi
su una realtà fattuale non dedotta o allegata in giudizio. Nella fattispecie,
invece, i giudici di merito non hanno introdotto nel processo una causa petendi
diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda, ma, facendo
corretta applicazione del principio iura novit curia di cui all’art. 113, primo comma, c.p.c., da porre in
immediata correlazione con quello sancito al precedente articolo, ed in linea
con quanto richiesto dalla società nella domanda riconvenzionale (v pag. 5,
primi due cpv, della sentenza impugnata), hanno ritenuto che la sentenza di
primo grado fosse «chiara quando, in motivazione, afferma dovere essere
dichiarata la risoluzione giudiziale ex art. 1453
c.c. con conseguente condanna al risarcimento del danno, “pari
a”, espressione seguita dalla sommatoria delle voci anticipate dalla
società»;

che il decimo, l’undicesimo, il dodicesimo, il
tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo ed il sedicesimo motivo – da
trattare congiuntamente perché connessi – sono inammissibili, in quanto
contengono, anche laddove articolati come violazione di legge, contestazioni
della valutazione probatoria con la sollecitazione di un riesame del merito,
insindacabile in sede di legittimità, come, ad esempio, la valutazione sulla
configurabilità o meno del grave inadempimento determinante la risoluzione del
contratto, che, appunto, si risolve in un accertamento di fatto riservato al
giudice di merito, ove, come nella fattispecie, sia stato adeguatamente e
logicamente motivato (cfr., tra le molte, Cass. nn. 6401/2015; 14755/2007;
14974/2006, citt.); al riguardo, valgano, altresì, le considerazioni svolte
relativamente ai primi tre motivi;

che, infine, alla stregua dei costanti arresti
giurisprudenziali di legittimità (cfr., per tutti, Cass., SS.UU., 15486/2017),
<<La

violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c. può essere dedotta come
vizio di legittimità solo lamentando che il giudice ha dichiarato espressamente
di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato
sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa
fuori dai poteri officiosi riconosciutigli. A tanto va aggiunto che, in linea
di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per
cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (tra le varie,
Cass. n. 24434/2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo
testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il
fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di
per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053/2014»;

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso
principale va respinto; che dal rigetto del ricorso principale discende
l’assorbimento di quello incidentale condizionato; che le spese, liquidate come
in dispositivo, seguono la soccombenza e sono dunque da porre a carico del
ricorrente principale;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nei termini di cui al dispositivo

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso principale; assorbito il ricorso
incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma
del comma 1-bis dello stesso articolo
13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12714
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