Giurisprudenza – CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 25 novembre 2020, n. C-302/19

Direttiva 2011/98/UE,
Diritti dei lavoratori di paesi terzi titolari di un permesso unico, Articolo 12, Diritto alla
parità di trattamento, Sicurezza sociale, Normativa di uno Stato membro che
esclude, per la determinazione dei diritti a una prestazione familiare, i
familiari del titolare di un permesso unico che non risiedono nel territorio di
tale Stato membro

 

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione dell’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica
di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di
paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un
insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una
controversia tra l’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Italia) e
WS in merito al rigetto di una domanda di assegno familiare per periodi durante
i quali la moglie e i figli dell’interessato hanno risieduto nel loro paese
terzo di origine.

 

Contesto normativo

 

Diritto dell’Unione

 

3 I considerando 2, 19,
20, 24 e 26 della direttiva 2011/98 enunciano quanto segue:

«(2) Il Consiglio europeo ha riconosciuto, nella
riunione speciale svoltasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, la necessità di
armonizzare le normative nazionali relative alle condizioni di ingresso e
soggiorno dei cittadini di paesi terzi. In questo contesto ha affermato, in
particolare, che l’Unione europea dovrebbe garantire l’equo trattamento dei
cittadini dei paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli
Stati membri e che una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a
garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’Unione.
Conseguentemente, il Consiglio europeo ha chiesto al Consiglio di adottare
strumenti giuridici sulla base di proposte della Commissione. La necessità di
raggiungere gli obiettivi definiti a Tampere è stata ribadita dal programma di
Stoccolma adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.

(…)

(19) In mancanza di una normativa orizzontale a
livello di Unione, i cittadini dei paesi terzi hanno diritti diversi a seconda
dello Stato membro in cui lavorano e della loro cittadinanza. Al fine di
sviluppare ulteriormente una politica di immigrazione coerente, di ridurre la
disparità di diritti tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi
che lavorano regolarmente in uno Stato membro e di integrare l’acquis esistente
in materia di immigrazione, è opportuno definire un insieme di diritti al fine,
in particolare, di specificare i settori in cui è garantita la parità di
trattamento tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi
che non beneficiano ancora dello status di soggiornanti di lungo periodo. Tali
disposizioni mirano a creare condizioni di concorrenza uniformi minime
nell’Unione, a riconoscere che tali cittadini di paesi terzi contribuiscono
all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro versamenti di imposte e a
fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale tra i cittadini di uno
Stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante dall’eventuale sfruttamento
di questi ultimi. Ai fini della presente direttiva un lavoratore di un paese
terzo dovrebbe essere definito, fatta salva l’interpretazione del concetto di
rapporto di lavoro in altre disposizioni del diritto dell’Unione, come un
cittadino di un paese terzo che è stato ammesso nel territorio di uno Stato
membro, che vi soggiorna regolarmente e a cui è ivi consentito lavorare
conformemente al diritto o alla prassi nazionale nel contesto di un rapporto di
lavoro retribuito.

(20) Tutti i cittadini di paesi terzi che
soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare
quanto meno di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di
trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a prescindere dal
fine iniziale o dal motivo dell’ammissione. Il diritto alla parità di
trattamento nei settori specificati dalla presente direttiva dovrebbe essere
riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno
Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che sono stati ammessi per
altri motivi e che hanno ottenuto l’accesso al mercato del lavoro di quello
Stato membro in conformità di altre disposizioni del diritto dell’Unione o
nazionale, compresi i familiari di un lavoratore di un paese terzo che sono
ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva
2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al
ricongiungimento familiare [(GU 2003, L 251, pag. 12)] (…).

(…)

(24) I lavoratori di paesi terzi dovrebbero
beneficiare della parità di trattamento per quanto riguarda la sicurezza
sociale. I settori della sicurezza sociale sono definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei
sistemi di sicurezza sociale [(GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica GU 2004, L
200, pag. 1)]. Le disposizioni della presente direttiva relative alla parità di
trattamento in materia di sicurezza sociale dovrebbero applicarsi anche ai
lavoratori ammessi in uno Stato membro direttamente da un paese terzo. La
presente direttiva, tuttavia, non dovrebbe conferire ai lavoratori di paesi
terzi diritti maggiori di quelli che il diritto vigente dell’Unione già prevede
in materia di sicurezza sociale per i cittadini di paesi terzi che si trovano
in situazioni transfrontaliere. La presente direttiva non dovrebbe neppure
conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall’ambito di
applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in relazione a familiari
soggiornanti in un paese terzo.

La presente direttiva dovrebbe conferire diritti
soltanto in relazione ai familiari che raggiungono lavoratori di un paese terzo
per soggiornare in uno Stato membro sulla base del ricongiungimento familiare
ovvero ai familiari che già soggiornano regolarmente in tale Stato membro.

(…)

(26) Il diritto dell’Unione non limita la facoltà
degli Stati membri di organizzare i rispettivi regimi di sicurezza sociale. In
mancanza di armonizzazione a livello di Unione, spetta a ciascuno Stato membro
stabilire le condizioni per la concessione delle prestazioni di sicurezza
sociale nonché l’importo di tali prestazioni e il periodo durante il quale sono
concesse. Tuttavia, nell’esercitare tale facoltà, gli Stati membri dovrebbero
conformarsi al diritto dell’Unione».

4 L’articolo
1 della direttiva 2011/98, intitolato «Oggetto», è così formulato:

«1. La presente direttiva stabilisce:

 (…)

b) un insieme comune di diritti per i lavoratori di
paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, a prescindere
dalle finalità dell’ingresso iniziale nel territorio dello Stato membro in
questione, sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini di
quello Stato membro.

(…)».

5 L’articolo
2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», enuncia:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a) “cittadino di un paese terzo” chi non è cittadino
dell’Unione ai sensi dell’articolo
20, paragrafo 1, TFUE;

b) “lavoratore di un paese terzo” un cittadino di un
paese terzo, ammesso nel territorio di uno Stato membro, che soggiorni
regolarmente e sia autorizzato a lavorare in tale Stato membro nel quadro di un
rapporto di lavoro retribuito conformemente al diritto o alla prassi nazionale;

c) “permesso unico” un permesso di soggiorno
rilasciato dalle autorità di uno Stato membro che consente a un cittadino di un
paese terzo di soggiornare regolarmente nel territorio di quello Stato membro a
fini lavorativi;

(…)».

6 L’articolo
3 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», prevede, al
paragrafo 1, quanto segue:

«La presente direttiva si applica:

(…)

c) ai cittadini di paesi terzi che sono stati
ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o
nazionale».

7 Ai sensi dell’articolo 12 della medesima
direttiva, intitolato «Diritto alla parità di trattamento»:

«1. I lavoratori dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere
b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato
membro in cui soggiornano per quanto concerne:

(…)

e) i settori della sicurezza sociale definiti nel
regolamento [n. 883/2004];

(…)

2. Gli Stati membri possono limitare la parità di
trattamento:

(…)

b) limitando diritti conferiti ai lavoratori di
paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senza restringerli per i
lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa
per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati.

Inoltre, gli Stati membri possono decidere che il
paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si
applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel
territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai
cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai
cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto;

c) in ordine al paragrafo 1, lettera f), per quanto
concerne le agevolazioni fiscali, limitando l’applicazione ai casi in cui i
familiari del lavoratore di un paese terzo per i quali si chiedono le
agevolazioni abbiano il domicilio o la residenza abituale nel territorio dello
Stato membro interessato;

(…)».

8 L’articolo
3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, come modificato
dal regolamento (CE) n. 988/2009 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (GU 2009, L 284, pag.
43) (in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004),
prevede che quest’ultimo si applichi a tutte le legislazioni relative alle prestazioni
familiari. Lo stesso regolamento non si applica, invece, secondo il disposto
del suo articolo 3, paragrafo
5, lettera a), all’assistenza sociale e medica.

 

Diritto italiano

 

9 Dall’ordinanza di rinvio risulta che il decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 – Norme in
materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali
ed altre disposizioni urgenti (GURI n. 61 del 14 marzo 1988), convertito dalla legge 13 maggio 1988, n. 153 (GURI n. 112 del 14
maggio 1988) (in prosieguo: la «legge n. 153/1988»),
ha istituito l’assegno per il nucleo familiare, di importo commisurato al
numero di figli minori di 18 anni e al reddito del nucleo familiare stesso (in
prosieguo: l’«assegno per il nucleo familiare»).

10 L’articolo
2, comma 6, della legge n. 153/1988 dispone:

«Il nucleo familiare è composto dai coniugi, con
esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed
equiparati, (…), di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di
età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta
e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. Del nucleo
familiare possono far parte, alle stesse condizioni previste per i figli ed
equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti di età inferiore a 18 anni
compiuti ovvero senza limiti di età, qualora si trovino, a causa di infermità o
di difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di
dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi
i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti».

11 Conformemente all’articolo 2, comma 6 bis, della
legge n. 153/1988, non fanno parte del nucleo familiare di cui a tale legge
il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la
residenza nel territorio della Repubblica italiana, salvo che dallo Stato di
cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei
confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione
internazionale in materia di trattamenti di famiglia.

12 Il recepimento della direttiva
2011/98 nel diritto nazionale è avvenuto con il decreto
legislativo 4 marzo 2014, n. 40 – Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura
unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini
di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a
un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro (GURI n. 68 del 22 marzo 2014) (in prosieguo:
il «decreto legislativo n. 40/2014»), che ha
istituito il «permesso unico di lavoro».

 

Procedimento principale e questione pregiudiziale

 

13 WS è un cittadino di paese terzo titolare, dal 9
dicembre 2011, di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato e, dal 28
dicembre 2015, di un permesso unico di lavoro ai sensi del decreto legislativo n. 40/2014. Nei periodi da
gennaio a giugno 2014 e da luglio 2014 a giugno 2016, sua moglie e i suoi due
bambini hanno risieduto nel loro paese d’origine, lo Sri Lanka.

14 Poiché l’INPS ha rifiutato, sul fondamento dell’articolo 2, comma 6 bis, della
legge n. 153/1988, di versargli l’assegno per il nucleo familiare
relativamente a tali periodi, WS ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale del
lavoro di Alessandria (Italia), dinanzi al quale ha dedotto una violazione
dell’articolo 12 della direttiva
2011/98 e il carattere discriminatorio di tale diniego. Il Tribunale adito
ha respinto il ricorso.

15 WS ha impugnato la decisione di rigetto di detto
giudice dinanzi alla Corte d’appello di Torino (Italia), la quale ha accolto
tale appello considerando che l’articolo
12 della direttiva 2011/98 non fosse stato trasposto nel diritto interno e
che l’articolo 2, comma 6 bis,
della legge n. 153/1988 non fosse compatibile con tale direttiva.

16 Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso
dinanzi al giudice del rinvio, la Corte suprema di cassazione (Italia),
sollevando un unico motivo, vertente sulla falsa applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2011/98
e del decreto legislativo n. 40/2014.

17 Il giudice del rinvio espone che la soluzione
della controversia principale dipende dall’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98 e dalla questione se tale disposizione implichi
che i familiari del cittadino di paese terzo titolare di un permesso unico e
del diritto all’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare, di cui all’articolo 2 della legge n. 153/1988,
siano inclusi nel novero dei familiari beneficiari di tale prestazione pur
risiedendo fuori dal territorio italiano.

18 Detto giudice precisa, al riguardo, che il nucleo
familiare individuato dall’articolo
2 della legge n. 153/1988 non solo è base di calcolo dell’assegno in
oggetto, ma ne è anche il beneficiario, per il tramite del titolare della
retribuzione o della pensione cui l’assegno accede. Quest’ultimo costituisce
un’integrazione economica di cui beneficiano, in particolare, tutti i
prestatori di lavoro che svolgono la loro attività sul territorio italiano,
purché abbiano un nucleo familiare che produce redditi non superiori ad una
determinata soglia. Per il periodo compreso tra il 1º luglio 2018 e il 30
giugno 2019, il suo importo, nella misura intera, era di EUR 137,50 al mese per
redditi annui fino a EUR 14 541,59. A corrisponderlo è il datore di lavoro,
contestualmente alla retribuzione.

19 Il giudice del rinvio indica altresì che la Corte
suprema di cassazione ha già avuto modo di evidenziare, nella sua
giurisprudenza, la duplice natura dell’assegno per il nucleo familiare. Da un
lato, tale assegno, raccordato al reddito di qualsiasi natura del nucleo
familiare e diretto a garantire un reddito sufficiente alle famiglie che ne
siano sprovviste, ha natura di trattamento previdenziale. In coerenza con i
criteri generali del sistema della sicurezza sociale nel quale tale assegno si
inserisce, la tutela per le famiglie dei lavoratori in servizio si realizza
mediante l’integrazione della retribuzione rapportata al lavoro prestato.
L’assegno, finanziato dai contributi versati da tutti i datori di lavoro, cui
si aggiunge il concorso integrativo dello Stato, è anticipato dal datore di
lavoro, che è autorizzato a porre a conguaglio quanto versato con il proprio
debito contributivo. Dall’altro lato, tale assegno è una forma di assistenza
sociale, in quanto il reddito preso a parametro viene elevato, all’occorrenza,
per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali ovvero
minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni
proprie della loro età. Si tratta, ad ogni modo, secondo il giudice del rinvio,
di una misura che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo l, lettera
e), della direttiva 2011/98.

20 Il giudice del rinvio sottolinea che i componenti
del nucleo familiare assumono un rilievo essenziale nella struttura del
trattamento dell’assegno e sono considerati esserne i sostanziali beneficiari.
Dalla circostanza, tuttavia, che la legge individua i familiari componenti il
nucleo familiare quali sostanziali beneficiari di una prestazione economica che
ha diritto di ricevere il titolare della retribuzione a cui accede l’assegno,
nasce il dubbio se l’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 osti ad una disposizione
come l’articolo 2, comma 6 bis,
della legge n. 153/1988. Il dubbio si appunta in particolare
sull’interpretazione di tale direttiva alla luce degli obiettivi enunciati ai
suoi considerando 20 e 24.

21 È in tale contesto che la Corte suprema di
cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte
la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 (…) nonché il
principio di parità di trattamento tra titolari di permesso unico di soggiorno
e di lavoro e cittadini nazionali, debbano essere interpretati nel senso che
ostano a una legislazione nazionale in base alla quale, al contrario di quanto
previsto per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli appartenenti al
nucleo familiare, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare,
vanno esclusi i familiari del lavoratore titolare del permesso unico ed
appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano presso il paese terzo
d’origine».

 

Sulla questione pregiudiziale

 

22 Con la sua questione il giudice del rinvio
domanda, in sostanza, se l’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 debba essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in
forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione
di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del
titolare di un permesso unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della
medesima direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro,
bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del
cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo.

23 Occorre ricordare che, come enuncia il
considerando 26 della direttiva 2011/98, il diritto dell’Unione non limita la
facoltà degli Stati membri di organizzare i loro regimi di sicurezza sociale.
In mancanza di armonizzazione a livello di Unione, spetta a ciascuno Stato
membro stabilire le condizioni per la concessione delle prestazioni di
sicurezza sociale nonché l’importo di tali prestazioni e il periodo per il
quale sono concesse. Tuttavia, nell’esercitare tale facoltà, gli Stati membri
devono conformarsi al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov, C-173/09,
EU:C:2010:581, punto 40).

24 L’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98, in combinato disposto
con l’articolo 3, paragrafo
1, lettera c), della stessa, impone agli Stati membri di far beneficiare della
parità di trattamento, per quanto concerne i settori della sicurezza sociale
definiti nel regolamento n. 883/2004, i
cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi
a norma del diritto dell’Unione o nazionale. Ebbene, è questo il caso di un
cittadino di paese terzo, titolare di un permesso unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della
direttiva 2001/98, dato che, in forza di detta disposizione, il permesso
unico consente a un tale cittadino di soggiornare regolarmente a fini
lavorativi nel territorio dello Stato membro che l’ha rilasciato (v., in tal
senso, sentenza del 21 giugno 2017, Martinez
Silva, C-449/16, EU:C:2017:485, punto 27).

25 Tuttavia, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera
b), primo comma, della direttiva 2011/98, gli Stati membri possono limitare
i diritti conferiti dall’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della medesima direttiva ai lavoratori di
paesi terzi, se questi non svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa per
un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati. Inoltre,
conformemente al secondo comma del medesimo articolo 12, paragrafo 2,
lettera b), gli Stati membri possono decidere che l’articolo 12, paragrafo 1,
lettera e), della citata direttiva, per quanto concerne i sussidi familiari,
non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a
lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei
mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a soggiornarvi a scopo
di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di
un visto (sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva,
C-449/16, EU:C:2017:485, punto 28).

26 Così, analogamente alla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25
novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano
soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), la direttiva 2011/98 prevede, in favore di taluni
cittadini di paesi terzi, un diritto alla parità di trattamento, che
costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe a tale diritto che gli
Stati membri hanno la facoltà di istituire, da interpretare invece
restrittivamente. Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora gli
organi competenti nello Stato membro interessato per l’attuazione di tale
direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse (sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C-449/16,
EU:C:2017:485, punto 29).

27 A tal riguardo, si deve constatare che non
risulta da alcuna delle deroghe ai diritti conferiti dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98, previste all’articolo 12, paragrafo 2, di
quest’ultima, una possibilità per gli Stati membri di escludere dal diritto
alla parità di trattamento il lavoratore titolare di un permesso unico i cui
familiari risiedono non già nel territorio dello Stato membro interessato,
bensì in un paese terzo. Al contrario, dalla chiara formulazione dello stesso articolo 12, paragrafo 1,
lettera e), come ricordata al punto 24 della presente sentenza, risulta che un
tale lavoratore deve beneficiare del diritto alla parità di trattamento.

28 Inoltre, mentre l’articolo 12, paragrafo 2,
lettera c), di detta direttiva dispone che gli Stati membri possono prevedere
limiti alla parità di trattamento per quanto concerne le agevolazioni fiscali,
restringendone l’applicazione ai casi in cui i familiari del lavoratore di
paese terzo per i quali si chiedono le agevolazioni abbiano il domicilio o la
residenza abituale nel territorio dello Stato membro interessato, una simile
deroga non è prevista per quanto riguarda le prestazioni di sicurezza sociale.
Risulta quindi che il legislatore dell’Unione non ha inteso escludere il
titolare di un permesso unico i cui familiari non risiedono nel territorio
dello Stato membro interessato dal diritto alla parità di trattamento previsto
dalla direttiva 2011/98 e che ha precisato i
casi in cui tale diritto può essere limitato, per tale motivo, dagli Stati
membri.

29 Poiché il giudice del rinvio nutre dubbi
sull’interpretazione dell’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 alla luce dei
considerando 20 e 24 di quest’ultima, occorre constatare che il considerando 20
della direttiva 2011/98 enuncia che il diritto
alla parità di trattamento dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini
di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, ma
anche a coloro che sono stati ammessi per altri motivi, compresi i familiari
ammessi in conformità della direttiva 2003/86,
che vi siano stati poi autorizzati a lavorare in virtù di altre disposizioni
del diritto dell’Unione o nazionale.

30 Tuttavia si deve rilevare, da un lato, che dalla
formulazione del considerando 20 della direttiva 2011/98 risulta che
quest’ultimo, nell’elencare i cittadini di paesi terzi ammessi a fini diversi
da quelli lavorativi e, successivamente, autorizzati a lavorare in virtù di
altre disposizioni del diritto dell’Unione o nazionale, si riferisce, in
particolare, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 53
delle sue conclusioni, alla situazione in cui i familiari di un lavoratore di
paese terzo titolare di un permesso unico beneficiano direttamente del diritto alla
parità di trattamento previsto all’articolo
12 della direttiva in parola. Vale a dire, beneficiano di tale diritto
nella loro qualità di lavoratori, sebbene siano potuti entrare nello Stato
membro ospitante per il fatto di essere familiari di un lavoratore cittadino di
paese terzo.

31 Dall’altro lato, quanto al considerando 24 della
direttiva 2011/98, va constatato che esso è volto a precisare, tra l’altro, che
tale direttiva non accorda essa stessa, al di là della parità di trattamento
con i cittadini dello Stato membro ospitante, diritti in materia di sicurezza
sociale ai cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico. Pertanto,
essa non impone di per sé, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 55
delle sue conclusioni, agli Stati membri di corrispondere prestazioni di
sicurezza sociale ai familiari che non risiedono nello Stato membro ospitante.
In ogni caso, si deve osservare che il contenuto di tale considerando, e in
particolare della sua ultima frase, non è stato ripreso in alcuna delle
disposizioni di detta direttiva.

32 Orbene, il preambolo di un atto dell’Unione non
ha alcun valore giuridico vincolante e non può essere invocato né per derogare
alle disposizioni stesse dell’atto in questione, né per interpretare queste
disposizioni in un senso manifestamente contrario al loro tenore letterale (v.,
in tal senso, sentenze del 19 novembre 1998, Nilsson e a., C-162/97,
EU:C:1998:554, punto 54, e del 19 dicembre 2019, Puppinck e a./Commissione,
C-418/18 P, EU:C:2019:1113, punto 76).

33 Di conseguenza, dai suddetti considerando non si
può desumere che la direttiva 2011/98 debba
essere interpretata nel senso che il titolare di un permesso unico i cui
familiari non risiedono nel territorio dello Stato membro interessato, bensì in
un paese terzo, è escluso dal diritto alla parità di trattamento previsto da
tale direttiva.

34 Peraltro, nella misura in cui l’INPS e il governo
italiano fanno valere che l’esclusione del titolare di un permesso unico i cui
familiari non risiedono nel territorio dello Stato membro interessato sarebbe
conforme all’obiettivo di integrazione perseguito dalla direttiva 2011/98, in quanto l’integrazione presuppone
una presenza in tale territorio, occorre constatare che, come rilevato già
dall’avvocato generale ai paragrafi 62 e 63 delle sue conclusioni, risulta in
particolare dai considerando 2, 19 e 20 nonché dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera
b), di tale direttiva che quest’ultima tende a favorire l’integrazione dei
cittadini di paesi terzi garantendo loro un trattamento equo grazie alla
previsione di un insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento
con i cittadini dello Stato membro ospitante. La direttiva mira altresì a
creare condizioni uniformi minime nell’Unione, a riconoscere che i cittadini di
paesi terzi contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro
versamenti di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale
tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante
dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi.

35 Ne consegue che, contrariamente a quanto
sostenuto dall’INPS e dal governo italiano, escludere dal diritto alla parità
di trattamento il titolare di un permesso unico, qualora i suoi familiari non
risiedano, durante un periodo che può essere temporaneo, come dimostrano i
fatti della controversia principale, nel territorio dello Stato membro
interessato, non può essere considerato conforme a tali obiettivi.

36 L’INPS e il governo italiano adducono anche che
l’esclusione del titolare di un permesso unico i cui familiari non risiedono
nel territorio dello Stato membro interessato dal diritto alla parità di
trattamento previsto dalla direttiva 2011/98
sarebbe confermata dall’articolo 1
del regolamento (UE) n. 1231/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 24 novembre 2010, che estende il regolamento n.
883/2004 e il regolamento (CE) n. 987/2009
ai cittadini di paesi terzi cui tali regolamenti non siano già applicabili
unicamente a causa della nazionalità (GU 2010, L 344, pag. 1), il quale dispone
che il regolamento n. 883/2004 e il regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di
applicazione del regolamento n. 883/2004 (GU
2009, L 284, pag. 1), si applicano ai cittadini di paesi terzi cui tali
regolamenti non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità,
nonché ai loro familiari e superstiti, purché risiedano legalmente nel
territorio di uno Stato membro e si trovino in una situazione che non sia
confinata, in tutti i suoi aspetti, all’interno di un solo Stato membro.

37 Tuttavia, anche se, come rilevato in sostanza
dall’avvocato generale ai paragrafi 58 e 59 delle sue conclusioni, l’articolo 1 del regolamento n.
1231/2010 ha lo scopo di creare un diritto alla parità di trattamento espressamente
a favore dei familiari di un cittadino di paese terzo che risiedano nel
territorio di uno Stato membro e che si trovino in una situazione contemplata
da tale regolamento, non se ne può affatto dedurre che il legislatore
dell’Unione abbia inteso escludere dal diritto alla parità di trattamento
previsto dalla direttiva 2011/98 il titolare
di un permesso unico i cui familiari non risiedano nel territorio dello Stato
membro interessato.

38 Contrariamente a quanto sostengono l’INPS e il
governo italiano, una tale esclusione non può neppure trovare un fondamento nel
mero fatto che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi soggiornanti di
lungo periodo, che beneficiano di uno status privilegiato, la direttiva 2003/109 prevede, al suo articolo 11, paragrafo 2, che lo
Stato membro interessato possa limitare la parità di trattamento, per quanto
riguarda le prestazioni sociali, ai casi in cui il familiare per cui essi
chiedono la prestazione abbia eletto dimora o risieda abitualmente nel suo
territorio. Infatti, come risulta dal punto 26 della presente sentenza, le
deroghe al diritto alla parità di trattamento previsto dalla direttiva 2011/98 devono essere interpretate
restrittivamente. Orbene, la deroga contenuta all’articolo 11, paragrafo 2, della
direttiva 2003/109 non è prevista dalla direttiva
2011/98. Ne consegue che non può ammettersi che le deroghe elencate nella direttiva 2011/98 siano interpretate in maniera
da includerne una supplementare per il solo motivo che tale ulteriore deroga figura
in un altro atto di diritto derivato.

39 Di conseguenza, fatte salve le deroghe consentite
dall’articolo 12, paragrafo 2,
lettera b), della direttiva 2011/98, uno Stato membro non può rifiutare o
ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al titolare di un
permesso unico per il fatto che i suoi familiari o taluni di essi risiedono non
nel suo territorio, bensì in un paese terzo, quando invece accorda tale
beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro
familiari risiedano.

40 Per quanto concerne la controversia principale,
occorre constatare, in primo luogo, che il giudice del rinvio indica esso
stesso che l’assegno per il nucleo familiare ha la natura di un trattamento
previdenziale cui è applicabile l’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98. Infatti, si tratta,
secondo quanto detto giudice indica, di una prestazione in contanti concessa al
di fuori di qualsiasi valutazione individuale e discrezionale delle necessità
del richiedente, sulla base di una situazione definita per legge, finalizzata a
compensare carichi di famiglia. Una tale prestazione costituisce una
prestazione di sicurezza sociale, rientrante nel novero delle prestazioni
familiari di cui all’articolo 3,
paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004 (v., al riguardo, sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C-449/16,
EU:C:2017:485, punti da 20 a 25).

41 In secondo luogo, il medesimo giudice afferma che
il nucleo familiare costituisce la base di calcolo dell’importo di tale
assegno. L’INPS e il governo italiano sostengono, al riguardo, che l’omessa
considerazione dei familiari non residenti nel territorio della Repubblica
italiana incide solo sull’entità dell’importo, essendo quest’ultimo pari a
zero, come precisato dall’INPS in udienza, se tutti i familiari risiedono fuori
dal territorio nazionale.

42 Orbene, occorre osservare che tanto l’omesso
versamento dell’assegno per il nucleo familiare quanto la riduzione
dell’importo di quest’ultimo, a seconda che tutti i familiari o alcuni di essi
non risiedano nel territorio della Repubblica italiana, sono contrari al
diritto alla parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98, dal momento che integrano una disparità di
trattamento tra i titolari di permesso unico e i cittadini italiani.

43 Nonostante il diverso avviso dell’INPS al
riguardo, una tale disparità di trattamento non può essere giustificata dal
fatto che i titolari di permesso unico e i cittadini dello Stato membro
ospitante si troverebbero in situazioni differenti in ragione dei loro
rispettivi legami con tale Stato, essendo tale giustificazione contraria all’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98 che, conformemente agli obiettivi di
quest’ultima ricordati al punto 34 della presente sentenza, impone una parità
di trattamento tra loro in materia di sicurezza sociale.

44 Allo stesso modo, come discende da una
giurisprudenza costante, neanche le eventuali difficoltà di controllo sulla
situazione dei beneficiari per quanto riguarda le condizioni di concessione
dell’assegno per il nucleo familiare qualora i familiari non risiedano nel
territorio dello Stato membro interessato, eccepite dall’INPS e dal governo
italiano, possono giustificare una disparità di trattamento (v., per analogia, sentenza del 26 maggio 2016, Kohll e Kohll-Schlesser,
C-300/15, EU:C:2016:361, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

45 In terzo luogo, il giudice del rinvio sottolinea
che, secondo il diritto nazionale, sono i familiari i sostanziali beneficiari
dell’assegno per il nucleo familiare. Tuttavia, il beneficio di tale assegno
non può per questo essere rifiutato al titolare di un permesso unico i cui
familiari non risiedano nel territorio della Repubblica italiana. Infatti, se è
vero che sono i familiari che beneficiano di detto assegno, ciò che costituisce
l’oggetto stesso di una prestazione familiare, dalle indicazioni fornite dal
medesimo giudice, esposte ai punti 18 e 19 della presente sentenza, risulta che
l’assegno è versato al lavoratore o pensionato, componente a propria volta del
nucleo familiare.

46 Ne consegue che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98 osta a una disposizione, come l’articolo 2,
comma 6 bis, della legge n. 153/1998, secondo la quale non fanno parte del
nucleo familiare ai sensi di tale legge il coniuge nonché i figli ed equiparati
del cittadino di paese terzo che non abbiano la residenza nel territorio della
Repubblica italiana, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia
riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani
ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti
di famiglia.

47 Tutto ciò considerato, occorre rispondere alla
questione sollevata dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera
e), della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso
osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della
determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono
presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso unico, ai sensi
dell’articolo 2, lettera c),
della medesima direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato
membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i
familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo.

 

Sulle spese

 

48 Nei confronti delle parti nel procedimento
principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al
giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute
da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo
a rifusione.

 

P.Q.M.

 

Dichiara:

L’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica
di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di
paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un
insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che esso
osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della
determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono
presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso unico, ai sensi
dell’articolo 2, lettera c),
della medesima direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato
membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i
familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo.

Giurisprudenza – CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 25 novembre 2020, n. C-302/19
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