Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2021, n. 7680

Natura subordinata del rapporto, Licenziamento orale,
Ricorso per cassazione, Denuncia della mancata ammissione di mezzi istruttori,
derivanti dal rifiuto del giudice di merito, Onere di indicare specificamente
i mezzi istruttori, Nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e
l’errore addebitato al giudice

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Firenze, respinto il reclamo
proposto dalla società E. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto,
ha accertato la natura subordinata del rapporto intercorrente tra la stessa e
C.C., assunta con mansioni di channel manager per la gestione del portale
informatico per le prenotazioni presso la struttura Argentario Golf Resort di
Porto Ercole, gestita dalla società E., dichiarando nullo il licenziamento
orale comminato alla stessa;

la cassazione della sentenza è domandata dalla E.
s.r.l. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

C.C. ha depositato tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., parte
ricorrente deduce “Errata e falsa applicazione di norme sostanziali (art. 2094 e 2697 c.c.)
Violazione delle norme relative all’onere della prova. Travisamento ed omesso
esame e valutazione delle risultanze processuali su punto decisivo della
controversia e conseguente vizio di motivazione. Erroneo riconoscimento di un
rapporto di lavoro subordinato tra le parti in luogo del ritenuto rapporto
autonomo. Carenza di idonea motivazione su punto decisivo della causa”;

le doglianze della ricorrente si appuntano
sostanzialmente sul presunto malgoverno da parte della Corte d’appello, degli
elementi probatori – sia testimoniali sia documentali – ritenuti da
quest’ultima utili ai fini della qualificazione del rapporto e sulle
conseguenze che tale carenza istruttoria ha prodotto sulla erronea
qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta
“Violazione e falsa applicazione di norma processuale (artt. 253 e 437 cod.
proc. civ.). Mancata ammissione di prove testimoniali tempestivamente
richieste nel grado precedente e non sfogate, in relazione alle quali vi era
impugnazione. Mancata ammissione di prova decisiva al fine di decidere”;

considerata la scarsa chiarezza delle dichiarazioni
testimoniali poste a base dell’accertamento di fatto su aspetti centrali della
controversia, il motivo rileva che la Corte territoriale avrebbe operato un
cattivo governo delle prove, omettendo di ammettere testi decisivi;

il primo motivo è inammissibile;

le prospettazioni del ricorrente deducono solo
apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla
rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al
costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il
ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di
norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal
giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del
giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di
merito.” (Cass. n.18721 del 2018; Cass.
n.8758 del 2017);

sotto il profilo del vizio di motivazione, la
censura fuoriesce dai confini delineati dall’art.
360, co.1 n. 5 cod. proc. civ., il quale, ribadendo la necessità del
rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt.
366, co.1, n. 6, e 369, co.2, n. 4, cod. proc.
civ., ne sottopone l’ammissibilità alla condizione che il ricorrente abbia
indicato il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Sez. Un. n. 8053 del 2014);

la formulazione della doglianza da parte del
ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico
decisivo„ bensì l’omessa valorizzazione di risultanze istruttorie, la quale non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie;

il secondo motivo è parimenti inammissibile;

alla stregua della giurisprudenza di legittimità,
qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di
mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di
merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente
ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le
circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia
l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e
l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore,
sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un
controllo sulla decisività delle prove (Così Cass. n. 23194 del 2017; cfr.
altresì Cass. n. 1754 del 2012);

nel caso in esame, la ricorrente (p. 31 e 33 del
ricorso) ha elencato le prove di cui ritiene sarebbe stata indispensabile
l’acquisizione al giudizio di merito, ma non ne ha né dimostrato il legame
finalistico con l’errore imputato alla Corte d’appello, né ha argomentato in
ordine alla decisività di esse ai fini dell’esito del giudizio, limitandosi a
riportare genericamente i punti rispetto ai quali la loro mancata introduzione
avrebbe inficiato la decisione, tra cui il rapporto della controricorrente con
due diverse società (E. s.r.l. ed A. s.r.I.), i provvedimenti disciplinari, le
mansioni, le ferie, le presenze;

alla stregua dei principi sopra richiamati, la
violazione di norme processuali per la mancata ammissione di prove che si
assumono decisive ai fini della decisione non può dirsi ammissibilmente
prospettata;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della
controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per
cento ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

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