Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 maggio 2021, n. 12030

Rapporto di lavoro, Incarico di direttore amministrativo,
Pagamento delle retribuzioni spettanti fino alla naturale scadenza del
contratto, Illegittimità dell’atto di annullamento in autotutela del
conferimento dell’incarico, Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, previa riunione
dei giudizi, ha riformato le sentenze n. 1628 del 2014 e n. 662 del 2015 con le
quali il Tribunale di Cosenza aveva accolto le domande proposte da F.F.C. nei
confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza e aveva, con la prima
decisione, dichiarato l’illegittimità della delibera n. 3201/2012 di revoca
dell’incarico di direttore amministrativo e condannato l’Azienda al pagamento
delle retribuzioni spettanti fino alla naturale scadenza del contratto; con
l’altra accertato l’illegittimità dell’atto di annullamento in autotutela del
conferimento dell’incarico, perché adottato quando già il rapporto era stato
risolto a seguito di revoca.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il
contratto sottoscritto dalle parti fosse affetto da nullità perché il C. non
era in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dall’art. 3 del d.lgs. n. 502/1992. Ha
rilevato che l’esperienza quinquennale di direzione tecnica o amministrativa
fatta valere dall’appellato non era stata maturata presso strutture sanitarie
pubbliche o private di medie o grandi dimensioni, bensì alle dipendenze di
società operanti in settori diversi da quello sanitario.

3. Il giudice d’appello ha evidenziato che la
violazione della norma imperativa di legge rendeva illegittima la scelta del
soggetto al quale conferire l’incarico dirigenziale e improduttivo di effetti
il contratto stipulato, giacché il legislatore, per mezzo della disposizione
inderogabile, aveva inteso assicurare il corretto funzionamento delle aziende
sanitarie e limitare la discrezionalità attribuita al direttore generale nella
individuazione dei suoi collaboratori.

4. Per la cassazione della sentenza F.F.C. ha
proposto ricorso affidato ad un’unica censura, alla quale ha replicato con
tempestivo controricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza.

5. Entrambe le parti hanno depositato una prima
memoria ex art. 378 cod. proc. civ. in vista
dell’udienza pubblica dell’11 marzo 2020, rinviata d’ufficio, ed hanno
rinnovato il deposito dopo la fissazione della nuova udienza di discussione
della causa.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso denuncia con un unico motivo,
formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n.
502/1992 nonché dell’art. 12 delle preleggi
e rileva, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’escludere il
possesso dei requisiti indicati dalla disposizione indicata in rubrica, perché
la norma, nel richiedere una «qualificata attività di direzione tecnica o
amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o
grande dimensione», valorizza l’attività prestata presso qualsivoglia «ente» e
richiede la ricorrenza di ulteriori condizioni solo per la direzione tecnica ed
amministrativa delle «strutture». Il ricorrente evidenzia che allorquando
l’aggettivo è preceduto da due sostantivi, di cui uno di genere maschile e
l’altro di genere femminile, le regole grammaticali impongono di concordare
l’attributo al maschile plurale, se lo si vuole riferire ad entrambi i
sostantivi, sicché nella specie il tenore letterale induce necessariamente ad
escludere che il legislatore abbia voluto estendere anche agli enti i requisiti
richiesti per le sole strutture. Aggiunge che in tal senso la norma è stata
interpretata da altre aziende sanitarie e sostiene che ad integrare il
requisito soggettivo richiesto dal richiamato art. 3, comma 7, del d.lgs. n.
502/1992 era sufficiente l’esperienza maturata in qualità di direttore
generale di Fincalabra nonché di amministratore delegato della s.p.a. Siracusa
Risorse e di altre società miste.

2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del
ricorso, sollevata dalla difesa dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza.

Nello storico di lite si è evidenziato che la Corte
territoriale, previa riunione dei giudizi, ha ritenuto sufficiente per
rigettare tutte le domande proposte dal C. l’assenza del requisito richiesto
dall’art. 3, comma 7, del d.lgs.
n. 502/1992.

Il motivo censura in modo specifico l’unica ratio
decidendi della pronuncia, confutandola con argomenti di diritto e non di
fatto, sicché nessun giudicato interno è configurabile nella fattispecie.

2.1. Non è poi sostenibile che il C. non abbia
interesse all’impugnazione, a fronte di una pronuncia di integrale rigetto di
tutte le domande.

Da tempo questa Corte ha affermato che l’interesse
all’impugnazione, manifestazione del più generale principio dell’interesse ad
agire, va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del
gravame possa derivare alla parte che lo propone e viene, pertanto, a
collegarsi alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio (cfr. fra
le tante Cass. n. 13395/2018, Cass. n. 594/2016,
Cass. S.U. n. 24470/2013) sicché, mentre va escluso nei casi in cui
l’impugnazione si riferisca unicamente alla motivazione della sentenza gravata,
della quale si domanda solo la correzione (Cass. n. 6894/2015), deve essere
ritenuto sussistente ogniqualvolta il gravame sia volto ad impedire il
passaggio in giudicato della decisione sfavorevole per la parte e sia
ravvisabile un’utilità per l’impugnante, conseguente alla rimozione della
pronuncia (Cass. S.U. n. 12637/2008). Detta utilità è senz’altro ravvisabile
nella fattispecie posto che solo l’esclusione della nullità del contratto,
dichiarata dalla Corte territoriale, potrebbe consentire l’accoglimento della
domanda volta ad ottenere il pagamento delle retribuzioni che sarebbero state
corrisposte sino alla scadenza naturale del rapporto.

3. Peraltro il ricorso, seppure ammissibile, è
infondato.

Questa Corte ha già affermato che la norma, con la
quale il legislatore ha richiesto requisiti di specifica esperienza
professionale per il soggetto chiamato a ricoprire l’incarico di direttore
amministrativo della ASL, ha carattere imperativo sicché la violazione della
stessa determina la nullità del contratto stipulato dall’azienda con persona
priva dei necessari requisiti soggettivi. E’ stato precisato al riguardo che la
disposizione persegue la finalità di assicurare alla struttura sanitaria
pubblica dirigenti di vertice di comprovata esperienza e capacità e, pertanto,
solo la sanzione della nullità può essere ritenuta idonea ad assicurare
effettività alla prescrizione legale (Cass. n. 16281/2005).

Il principio, condiviso dal Collegio, deve essere
qui ribadito perché lo stesso si armonizza con l’orientamento, più generale,
formatosi in tema di nullità virtuale, ravvisata dalle Sezioni Unite di questa
Corte a fronte di norme inderogabili che « in assoluto, oppure in presenza o in
difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o
indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto» ( Cass. S.U. n.
26724/2007).

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha
ritenuto assorbente rispetto ad ogni altro profilo l’assenza del requisito
richiesto dall’art. 3, comma 7,
del d.lgs. n. 502/1992, dalla quale ha fatto discendere la nullità del
contratto stipulato dalle parti.

4. Parimenti condivisibile è la sentenza impugnata
nella parte in cui ritiene che solo l’esperienza di direzione tecnica o
amministrativa maturata nel settore sanitario legittimi il conferimento
dell’incarico, precluso a soggetti che quella esperienza abbiano acquisito in
altri campi.

L’art.
3, comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 nella sua versione originaria prevedeva,
per quel che in questa sede rileva, che «Il direttore amministrativo ed il
direttore sanitario sono assunti con provvedimento motivato dal direttore
generale.

Il direttore sanitario è un medico in possesso della
idoneità nazionale di cui all’art.
17 che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia
svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione
tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media
o grande dimensione  Il direttore
amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non
abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno
cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in
enti o strutture pubbliche o private di media o grande dimensione».

La disposizione, quindi, era chiara nel
differenziare, quanto all’esperienza, il requisito soggettivo richiesto
rispettivamente al direttore sanitario ed a quello amministrativo perché solo
per quest’ultimo il legislatore aveva ritenuto di non dovere inserire alcuna
specificazione in merito al settore di maturazione dell’esperienza stessa.

4.1. Con il d.lgs. n. 517/1993, art. 4,
comma 1, lett. e), la disposizione è stata riformulata nella parte che qui
interessa e, quanto alla natura degli enti e delle strutture in precedenza
diretti, si è utilizzata per entrambe le dirigenze la medesima dizione ed è
stata richiesta, per il direttore sanitario, la «direzione tecnico-sanitaria» e
per quello amministrativo la «direzione tecnica o amministrativa» ma sempre in
«enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione» (
il testo riformulato è, infatti, del seguente tenore: II direttore sanitario è
un medico in possesso della idoneità nazionale di cui all’art. 17 che non abbia compiuto il
sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni
qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture
sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione Il direttore
amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non
abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno
cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in
enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione).

In tutte le successive versioni dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n.
502/1992 quest’ultimo inciso è rimasto immutato sia per il direttore
sanitario che per quello amministrativo, sicché, a fini interpretativi, rileva
anche l’art. 2 del d.P.R. n. 484/1997 con il quale il legislatore,
nell’adottare il regolamento per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale,
ha precisato che «per enti o strutture sanitarie di media o grande dimensione,
si intendono: a) le unità sanitarie locali, te aziende ospedaliere, i
Policlinici universitari, gli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico; gli enti ed istituti di cui all’articolo 4, commi 12 e 13, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni; i
dipartimenti, le divisioni, i servizi e gli uffici, che svolgono attività
d’interesse sanitario, del Ministero della sanità, delle regioni, delle
province autonome di Trento e di Bolzano, dell’Agenzia per i servizi sanitari
regionali; le strutture sanitarie complesse dell’Istituto nazionale per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Istituto nazionale previdenza
sociale e degli enti pubblici che svolgono attività sanitaria; b) le case di
cura private con un numero di posti letto non inferiore a duecentocinquanta; le
strutture ed i servizi sanitari di istituzioni ed aziende private che impiegano
in attività sanitarie un numero di dipendenti appartenenti alle categorie
professionali del ruolo sanitario non inferiore a trecento.».

4.2. Dalla comparazione fra i due testi normativi,
quello originario e quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 517/1993, si desume che il legislatore,
a partire dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto, da un lato
ha voluto rendere coincidenti le due figure dirigenziali quanto al settore di
maturazione dell’esperienza pregressa, dall’altro ha voluto limitare
quest’ultima al solo ambito sanitario, imprescindibile, come è intuitivo, non
per il solo direttore sanitario, ma anche per quello amministrativo, in
relazione al quale la norma è formulata nei medesimi termini letterali.

4.3. La tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui
l’aggettivo sanitario andrebbe riferito alle sole strutture e non anche agli
enti, non è quindi predicabile, innanzitutto perché la stessa disconosce ogni
portata innovativa della modifica operata dal d.lgs.
n. 517/1993. Gli enti sanitari, infatti, erano all’evidenza ricompresi nel
previgente testo della norma sicché la modifica, per essere utiliter data, non
poteva che essere finalizzata a circoscrivere al solo ambito sanitario
l’esperienza valorizzabile ai fini del conferimento dell’incarico.

4.4. D’altro canto, poiché, come già detto, nel
testo normativo la medesima espressione «enti o strutture sanitarie pubbliche o
private di media o grande dimensione» è utilizzata per il direttore
amministrativo e per quello sanitario, non è pensabile che alla stessa possa
essere attribuito un significato diverso a seconda della natura della dirigenza
che viene in rilievo, sicché la limitazione al campo sanitario dell’esperienza
pregressa va affermata in entrambi i casi, a fronte di testi sovrapponibili dal
punto di vista letterale.

4.5. L’esegesi qui sostenuta, che valorizza l’intero
testo dell’art. 3, comma 7,
nonché la ratio della norma e della sua riformulazione, trova riscontro nei
decreti legge succedutisi negli anni 1995/1996, mai convertiti, con i quali il
potere esecutivo sollecitò il Parlamento a reintrodurre una maggiore
flessibilità quanto alla nomina del direttore amministrativo ( con i decreti
legge nn. 320/1995, 411/1995, 511/1995, 36/1996, 178/1996, 299/1996, 377/1996 e
478/1996 si previde, infatti, di riformulare la disposizione nei termini che
seguono «Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o
economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia
svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o
amministrativa in enti pubblici o privati o strutture sanitarie pubbliche o
private di media o grande dimensione »), sollecitazione non raccolta dal
legislatore che, invece, pur essendo successivamente intervenuto più volte a
modificare il richiamato art. 3,
comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 ( il comma è stato modificato dall’articolo 2, comma 1 quinques, del
d.l. n. 583/1996, dall’articolo
3, comma 2, del d.lgs. n. 229/1999, dall’articolo 15, comma 13, lettera
f-bis, del d.l. n. 95/2012 e, da ultimo dall’articolo 45, comma 1-quater, del
d.l. n. 124/2019 convertito dalla I. n.
157/2019) ha sempre lasciato immutato il riferimento agli «enti o strutture
sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».

4.6. A fronte dei plurimi argomenti sopra
valorizzati a fini interpretativi, non è sufficiente, per giustificare una
diversa esegesi, richiamare la regola grammaticale che impone di concordare al
maschile plurale l’aggettivo, se lo si vuole riferire a due soggetti di genere
diverso.

Si tratta, infatti, di una regola che ammette
eccezioni qualora, come nella fattispecie, il nome femminile sia contiguo
all’aggettivo ed i nomi interessati dalla concordanza esprimano entità inanimate.

A prescindere da detto rilievo, va osservato che
l’interpretazione della legge, da condurre nel rispetto dell’art. 12 delle preleggi, deve doverosamente
arrestarsi al dato letterale nel solo caso in cui quest’ultimo sia sufficiente
ad esprimere un significato chiaro ed univoco della disposizione, mentre
occorre fare ricorso al criterio ermeneutico sussidiario della ricerca della
mens legis allorquando la lettera della norma sia ambigua. Qualora, poi,
l’elemento letterale e l’intenzione del legislatore, utilizzati singolarmente,
si rivelino entrambi insufficienti a fini interpretativi, gli stessi acquistano
a fini esegetici un ruolo paritetico, sì che il secondo funge da criterio
comprimario di ermeneutica, idoneo ad ovviare all’equivocità della formulazione
del testo da interpretare ( in tal senso fra le più recenti Cass. n.
24165/2018).

Nel caso di specie la regola grammaticale invocata
dal ricorrente può, al più, ingenerare un margine di equivocità della
disposizione, che si supera comparando il testo a quello previgente ed
apprezzando le ragioni della modifica normativa.

4.7. In via conclusiva il ricorso deve essere
rigettato perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto di
seguito enunciato: « l’art. 3,
comma 7, del d.lgs. n. 502/1992, come riformulato dal d.lgs. n. 517/1993, richiede, a pena di nullità
del contratto, che l’incarico di direttore amministrativo dell’azienda
sanitaria venga conferito a soggetto che in precedenza abbia svolto per almeno
cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in
materia sanitaria».

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la
soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in
dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 200,00 per
esborsi ed € 6.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese
generali del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 maggio 2021, n. 12030
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