Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 aprile 2021, n. 10996

Licenziamento ollettivo, Violazione dei criteri di scelta,
Criterio di selezione dei licenziandi, Carichi di famiglia, Mancata
conclusione di un accordo sindacale

Fatti di causa

 

La Corte d’appello di Genova icon sentenza resa
pubblica il 20/12/2017, confermava la pronuncia emessa dal giudice di prima
istanza con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento
intimato dalla C. Soc. Coop. P.A. nei confronti di D. V. nell’ambito di una
procedura di licenziamento collettivo ex lege n.
223/1991, come novellata dalla legge n. 92 del
2012, con gli effetti reintegratori e risarcitori conseguenti alla
violazione dei criteri di scelta.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte
distrettuale osservava, in estrema sintesi, che la società non aveva
adeguatamente interpretato il criterio di selezione dei licenziandi
rappresentato dai carichi di famiglia richiamato dall’art.5 L. 223/91 ed applicato
nella specie, considerata la mancata conclusione di un accordo sindacale.

In assenza di una più specifica previsione
normativa, il giudice del gravame accreditava una nozione ampia di detto
criterio selettivo, traendo dalla ratio ad esso sottesa – volta a tutelare quei
lavoratori che si presentassero maggiormente gravati a causa dell’obbligo di
mantenimento di un familiare – il convincimento che tale criterio non andasse identificato
in base ad una nozione strettamente fiscale, come invece ritenuto dalla società
appellante.

Nell’ottica descritta, considerato dato
incontroverso ed acquisito agli atti di causa che il lavoratore, separato
consensualmente, era tenuto a corrispondere un assegno per il mantenimento
della figlia minore, e benchè non risultasse la sussistenza di carichi
familiari dalla documentazione fornita dal lavoratore alla parte datoriale,
riteneva da questa non assolto l’onere di valutare tutte le situazioni di fatto
rilevanti al fine di predisporre una corretta graduatoria conforme ai dettami
normativi.

Avverso tale decisione la società cooperativa
interpone ricorso per cassazione affidato a tre motivi ai quali oppone difese
D.V. con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 5
L. 223/1991 e dell’art. 41 Cost. in
relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

In relazione all’elenco dei criteri sanciti dall’art.5 L.223/91 alla cui stregua
procedere alla selezione del personale in esubero, si accredita una nozione di
carichi familiari modulata su di un concetto restrittivo, riconducibile ad una
matrice di tipo squisitamente fiscale, richiamandosi a sostegno della critica
taluni arresti di questa Corte di legittimità idonei a valorizzare la nozione
patrocinata.

2. Il secondo motivo concerne violazione e falsa
applicazione dell’art. 5 L.
223/1991 e dell’art. 41 Cost. nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c.
in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si deduce che la società aveva basato il calcolo del
punteggio dei carichi di famiglia dei lavoratori esclusivamente sulla scorta
della documentazione fornita dal dipendente dalla quale non si evinceva la
sussistenza di alcun carico di famiglia. Si prospetta la necessità di
applicazione nella situazione così obiettivata, di un criterio razionale ed
oggettivo, conforme ai principi  di
correttezza e buona fede, che sarebbero stati indubbiamente vulnerati ove si
fosse assegnato un punteggio ad un lavoratore che non avesse figli a carico
secondo il criterio di natura fiscale.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, non sono
fondati.

Essi -si basano, invero, su di una nozione di
carichi di famiglia come richiamata dalla disposizione di cui all’art. 5 L. 223/91, non accolta
dalla giurisprudenza più recente di questa Corte, alla quale si intende dare
continuità.

Facendo leva sui dettami di cui all’art. 5 della legge 23 luglio 1991
n. 223, si è infatti osservato che, allorquando la norma fa riferimento al
criterio dei carichi di famiglia, richiama il criterio previsto dall’accordo
interconfederale del 1965, il quale a sua volta era ispirato a quello del 1950
ove era previsto anche uno specifico criterio avente ad oggetto “la
situazione economica” del lavoratore interessato dalla procedura di
mobilità.

Sebbene le due locuzioni possano apparire diverse,
tuttavia sia l’accordo interconfederale che la disposizione della legge
attribuiscono a tale criterio il compito di individuare i lavoratori meno
deboli socialmente.

Lo scopo della norma è, quindi, quello di avere
riguardo alla situazione economica effettiva dei singoli lavoratori che non può
limitarsi -alla semplice verifica del numero delle persone a carico da un punto
di vista fiscale, integrante una prospettiva riduttiva rispetto al fine
perseguito dal legislatore.

Dalla necessità di tutelare maggiormente i
lavoratori più onerati, deriva che il riferimento ai “carichi di
famiglia” debba essere individuato in relazione al fabbisogno economico
determinato dalla situazione familiare e, quindi, dalle persone effettivamente
a carico e non da quelle risultanti in relazione ad altri parametri che
potrebbero rivelarsi non esaustivi (cfr. in 
termini, in motivazione, Cass. 3/2/2016 n.
2113 cui adde Cass. 2/8/2018 n. 20464).

4. Orbene, la statuizione della Corte di merito si
conforma pienamente ai richiamati dicta, facendo opportuno richiamo ad una
nozione “elastica” dei carichi di famiglia, non limitata al profilo
fiscale, e da applicare mediante lo scrutinio, da parte datoriale, di tutti gli
elementi che possano concorrere a definire in senso sostanziale, gli oneri
economici derivanti dal mantenimento di un familiare e gravanti sul singolo
lavoratore.

In tal senso il richiamo a giurisprudenza (Cass. n.
15210 del 2015), “che non si attaglia precipuamente alla fattispecie
scrutinata – come rilevato dalla società ricorrente, in quanto riferita alla
diversa questione della applicabilità del criterio di scelta del nucleo
familiare, stabilita in sede di accordo sindacale, in deroga al criterio legale
dei carichi di famiglia – non inficia la correttezza e congruenza degli approdi
ai quali è pervenuta la Corte di merito in ordine alla questione sottoposta al
suo vaglio, così  resistendo alle censure
all’esame alle quali è sottesa una nozione restrittiva del criterio sancito
dall’art. 5 L. 223/91 non
meritevole di condivisione alla luce delle ragioni sinora esposte.

5. Con il terzo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione dell’art. 8
L. 300/1970 e degli artt. 2, 3
e 11 d. Igs. n. 196/2003 in
relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si critica la statuizione con la quale i giudici del
gravame hanno ritenuto che il datore di lavoro fosse abilitato a condurre una
verifica sulle circostanze di fatto attinenti alle condizioni personali del
lavoratore ed in particolare, della situazione di separazione coniugale
peraltro non assistita da regime di pubblicità legale.

In tal senso si ritiene che l’onere configurato a
carico della società, di indagare sulla situazione personale del dipendente,
avrebbe arrecato un vulnus al divieto sancito dallo statuto dei lavoratori, di
acquisire informazioni sulla vita privata del dipendente non rilevanti ai fini
della valutazione della attitudine al lavoro (art. 8 L. 300/1970, nonchè artt. 2, 3 e 11 d. Igs. n.196/2003).

6. Il motivo è privo di pregio.

Invero, la sentenza impugnata ha convalidato, sulla
base della valutazione delle risultanze probatorie acquisite, il giudizio
espresso dal giudice di prima istanza circa la sussistenza di una situazione
onerosa a carico del ricorrente, derivante dall’obbligo di mantenimento della
figlia minore, affidata alla madre a seguito di separazione consensuale.

E tale giudizio è stato emesso all’esito dello
scrutinio delle acquisizioni probatorie – segnatamente il provvedimento di
omologa della separazione consensuale emesso dal Tribunale di La spezia in data
23/1/2008 – da cui era – desumibile l’obbligo per il V. di corrispondere per il
mantenimento della figlia minore la somma di euro 350,00 mensili oltre al 50%
delle spese straordinarie.

Si tratta di materiale istruttorio oggetto di piena
valutazione da parte del giudice del gravame in coerenza con il principio di
acquisizione probatoria che governa l’esercizio dei poteri istruttori e che non
involve alcuna problematica attinente alla interpretazione di disposizioni di
legge ovvero alla sussunzione della fattispecie nella normativa di riferimento.

Nel sistema processualcivilistico vigente opera,
infatti, il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova – che trova
fondamento nel principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. – ed in forza del quale ogni
emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal
giudice indipendentemente dalla sua provenienza, comportando l’impossibilità
per le parti di disporre degli effetti delle prove ritualmente assunte, le
quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da
chi le abbia, dedotte (vedi Cass. 25/2/2019 n. 5409, Cass. 25/9/2013 n. 21909).

Sempre sulla medesima linea, deve ritenersi
significativa e non inficiata dalla formulata critica, anche l’ulteriore
statuizione con la quale la Corte di merito ha osservato che dallo stato di
separazione del V., acquisito in giudizio, doveva ritenersi logicamente a lui
ascrivibile un punteggio di 50 punti (considerato che venivano riconosciuti
cento punti per ogni figlio a carico), sul ragionamento presuntivo della sua contribuzione
almeno in misura paritaria, al mantenimento della figlia minore.

La critica articolata con detto terzo motivo
prospetta, dunque, un’erronea ricognizione, da parte del Provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge invocate, che
appare, tuttavia, eccentrica rispetto alla statuizione frutto del vaglio delle
emergenze probatorie, congruamente svolto dal giudice del merito ed al cui
apprezzamento tale giudizio è riservato.

In definitiva, alla stregua delle superiori
argomentazioni, il ricorso è respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del comma
1 quater all’art. 13 DPR 115/2002
– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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