Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 maggio 2021, n. 14819
Rapporto di lavoro, Personale Ata, Riconoscimento
dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza
– Peggioramento retributivo
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Milano, giudice del rinvio
a seguito della sentenza di questa Corte n. 7297/2013, ha riformato le sentenze
nn. 471/2005, 472/2005 e 638/2005 del Tribunale di Monza che avevano accolto i
ricorsi proposti da M.B. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe,
appartenenti ai personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola
(ATA), ed avevano dichiarato il diritto degli stessi ex art. 8, comma 2, della
legge n. 124/1999 al riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera
anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza,
condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal
gennaio 2000;
2. la Corte
territoriale, riassunti i fatti di causa, ha premesso che la sentenza
rescindente, con la quale era stata cassata la sentenza n. 572/2008 della
stessa Corte d’Appello di Milano che aveva rigettato le domande, aveva
demandato al giudice del rinvio di accertare se al momento del passaggio
dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una riduzione sostanziale del
trattamento retributivo ed aveva precisato che il confronto doveva essere
globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e che non potevano
assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i lavoratori già in
servizio presso il cessionario;
3. la Corte milanese ha evidenziato che nel ricorso
in riassunzione il peggioramento retributivo era stato ancorato solo alla
mancata conservazione del premio incentivante, del quale l’amministrazione non
aveva tenuto conto nell’effettuare la temporizzazione, ed ha innanzitutto
rilevato la novità dell’allegazione e, quindi, la sua inammissibilità in
ragione del carattere, cosiddetto chiuso, del giudizio di rinvio;
4. ha aggiunto che la mancata inclusione
nell’assegno ad personam di voci retributive può essere apprezzata,
nell’indagine volta ad accertare un eventuale peggioramento retributivo, solo
qualora venga in rilievo un emolumento, corrisposto in via continuativa ed in
connessione all’organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione,
rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale allo Stato;
5. i ricorrenti si erano limitati a fare leva sulla
mancata inclusione del premio incentivante nella retribuzione percepita dopo il
trasferimento senza dedurre alcunché in merito al carattere continuativo della
voce retributiva;
6. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, illustrati
da memoria, ai quali non ha opposto difese il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, il quale ha solo depositato atto di
costituzione riservandosi di illustrare le proprie ragioni all’udienza di
discussione.
Considerato che
1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. e addebitano alla Corte territoriale
di avere omesso la verifica della sussistenza o meno del peggioramento
retributivo sostanziale che andava, invece, effettuata perché richiesta dalla
sentenza rescindente;
1.1. sostengono che il giudice del rinvio avrebbe
dovuto verificare se il MIUR avesse correttamente applicato la temporizzazione
prevista dall’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, diversa e di miglior
favore rispetto a quella disciplinata dall’Accordo ARAN 20/7/2000 che includeva
nella base di calcolo solo parte del trattamento accessorio goduto presso
l’ente locale;
1.2. precisano che l’accertamento doveva essere
effettuato in quanto alla data di proposizione degli originari i ricorsi era
vigente il solo art. 8, comma 2, della legge n. 124/1999 e la legge di
interpretazione autentica era intervenuta in corso di causa, al pari della
sentenza della Corte di Giustizia, con la quale la compatibilità dell’art. 1, comma
218, della legge n. 266/2005 con la direttiva 77/187 CE era stata affermata a
condizione che venisse salvaguardato il trattamento economico in precedenza
goduto;
2. con la seconda censura è dedotta la violazione
dell’art.1, comma 218 della legge n. 266/2005 e si sostiene che il Ministero
avrebbe dovuto tener conto, ai fini della temporizzazione, di tutte le
indennità corrisposte al personale ATA e, quindi, anche del premio incentivante
che era stato costantemente corrisposto, come provato dalla documentazione
depositata;
3. infine con il terzo motivo è denunciato ex art.
360 n. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
ravvisato nella mancata valorizzazione dei documenti depositati con il ricorso
in riassunzione dai quali emergeva che la retribuzione complessiva percepita
nell’anno 2000 era stata inferiore a quella goduta nel 1999;
4. il ricorso deve essere rigettato, con parziale
correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384, comma 4,
cod. proc. civ., per le medesime ragioni evidenziate con le recenti ordinanze
nn. 14892, 22996 e 23382 del 2020 alla cui motivazione si rinvia ex art. 118
disp. att. cod. proc. civ.;
5. occorre premettere che, in caso di ricorso
proposto avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione
la portata del decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel
verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da
essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla
questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte
(Cass. n. 3955/2018);
6. nel caso di specie questa Corte, con la sentenza
n. 7297/2013, non ha affatto demandato al giudice del rinvio di verificare se
l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio
2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta legge n. 266/2005, art. 1, comma
218, né ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, doveva
essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perché ha chiesto solo
al giudice del merito di «verificare la sussistenza o meno di un peggioramento
retributivo sostanziale all’atto del trasferimento» ed i criteri fissati ai
fini della comparazione sono solo quelli indicati al punto 13 della pronuncia,
ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del
passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i
dipendenti già in servizio presso il cessionario;
6.1. la sentenza rescindente non ha posto alcun
altro limite all’esame demandato al giudice del rinvio e, in particolare, non
ha indicato quali fossero le componenti del trattamento economico fondamentale
e accessorio da apprezzare ai fini della comparazione «globale»;
7. ciò detto osserva il Collegio che la Corte
territoriale ha indubbiamente errato nel ritenere la novità delle allegazioni
del ricorso in riassunzione, perché il principio del carattere chiuso del
giudizio di rinvio non può operare nei casi in cui le nuove attività assertive
e probatorie siano rese necessarie dalla sopravvenienza, in corso di causa, di
una nuova disciplina di legge applicabile anche ai giudizi in corso, di una
pronuncia di illegittimità costituzionale, ed in genere di ius superveniens,
del quale la sentenza rescindente abbia fatto applicazione ( Cass. n.
14892/2020 che richiama Cass. n. 34209/2019, Cass. n. 10845/2017, Cass. n.
13458/2016, Cass. n. 422/2014);
8. tuttavia l’errore commesso dalla Corte
territoriale non giustifica la cassazione della pronuncia ed un nuovo giudizio
di rinvio, perché le allegazioni sulle quali i ricorrenti fanno leva per
sostenere la tesi del peggioramento retributivo sostanziale, non sono idonee
allo scopo, e ciò a prescindere dalla loro verifica in fatto;
8.1. un peggioramento «sostanziale», impedito dalla
tutela che la direttiva eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel
trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della
comparazione globale, emerga una diminuzione «certa» del compenso che sarebbe
stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle
medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli
importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non
costituivano il «normale» corrispettivo della prestazione, perché, in quanto
legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di
quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi
non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa
non fosse stata realizzata;
8.2. il principio di irriducibilità della
retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr.
fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non
si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto
perché, se la direttiva 77/187 «non può essere validamente invocata per
ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni
lavorative in occasione di un trasferimento di impresa» (punto 77 sentenza
Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto
a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente;
8.3. ciò detto rileva il Collegio che nel ricorso e
nella memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. i ricorrenti, per sostenere la
tesi di un peggioramento sostanziale, verificatosi nonostante il riconoscimento
dell’assegno personale, fanno leva sulla mancata valorizzazione del premio
incentivante, ossia di una voce del trattamento accessorio priva dei requisiti
di fissità e di continuità, che devono ricorrere ai fini del rispetto del
divieto di reformatio in peius;
8.4. deve essere qui ribadito il principio di
diritto già affermato da Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019 secondo cui i
premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del CCNL 1°
aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali non possono
avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di voci
del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e
di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel
quantum;
9. è utile rammentare al riguardo che,
nell’interpretare l’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 che detta la disciplina
generale del passaggio dei dipendenti in conseguenza del trasferimento di
attività, questa Corte ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che le
disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento
del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale
parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il
datore di lavoro di destinazione, in quanto la prosecuzione giuridica del
rapporto se, da un lato, rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa
venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo,
diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il
trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già
acquisito dal lavoratore;
9.1. muovendo da detta premessa si è evidenziato che
l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il
lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere
salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino
benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità
comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto
dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n.
22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n.
17081/2007);
9.2. l’anzianità pregressa, invece, non può essere
fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla
base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass. S.U. n.
22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), né può essere opposta al nuovo datore per
ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché
l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel
patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle
mere aspettative ( cfr. fra le più recenti Cass. n. 4389/2020 e quanto agli
scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019);
9.3. corollario di detto principio è quello,
egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività
concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno
personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non
già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di
precarietà e di accidentalità il dipendente non può riporre affidamento, o
perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal
raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da
stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le
esigenze finanziarie dell’amministrazione ( cfr. fra le tante Cass. n.
31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012);
9.4. la sentenza rescindente, come già detto, non ha
precisato quali emolumenti dovessero essere apprezzati per verificare se si
fosse verificata una «posizione globalmente sfavorevole» sicché il principio di
diritto ben può essere armonizzato con l’orientamento consolidato della
giurisprudenza di questa Corte espresso in tema di quantificazione dell’assegno
personale;
10. non occorre provvedere sulle spese del giudizio
di legittimità perché il Ministero, pur avendo sanato con l’atto di
costituzione la nullità della notifica del ricorso introduttivo (l’atto risulta
inviato ad un indirizzo di posta elettronica del destinatario –
roma@mailcert.avvocaturastato.it – diverso da quello inserito nel Registro
generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia-
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it – cfr. sul punto Cass. n. 11574/2018 ) ha
depositato l’atto di costituzione «al fine dell’eventuale partecipazione
all’udienza di discussione della causa» e non ha svolto ulteriori attività
difensive ;
11. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto,
ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della
ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio
del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla sulle spese
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit.
art. 13, comma 1-bis, se dovuto.