Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17423

Arpporto di lavoro, Dirigente,
Dimissioni per giusta causa, Fatto imputabile all’azienda, Danno patrimoniale
per lucro cessante, al danno biologico ed alla vita di relazione

 

Rilevato

 

che il Tribunale di Ascoli Piceno, con la sentenza
n. 171/2015, resa il 24.4.2015, in parziale accoglimento del ricorso proposto
da F.P., nei confronti della S.E.I. S.p.A. (successivamente incorporata nella
M.A.G. S.p.A.), ha condannato quest’ultima al pagamento, in favore del
ricorrente, della somma di Euro 15.000,00 a titolo di danno all’immagine, oltre
interessi dalla pronunzia al saldo, rigettando le altre domande conseguenti al
riconoscimento della giusta causa delle dimissioni comunicate, con lettera in
data 12.2.2007, durante il periodo di prova (pattuito in sei mesi, dal
13.11.2006 al 13.5.2007) – determinate da fatto imputabile all’azienda,
consistito <<nelle ingiurie subite ad opera dell’Amministratore Delegato
dall’inizio del gennaio 2007 fino all’episodio culminante del 10 gennaio
2007>> e specificamente, relative all’indennità di mancato preavviso per
anticipata risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale, al danno
patrimoniale per lucro cessante, al danno biologico ed alla vita di relazione;

che la Corte territoriale di Ancona, con la sentenza
n. 104/2016, pubblicata il 19.5.2016, ha accolto parzialmente l’appello
interposto dal P., avverso la pronunzia di primo grado, ed in parziale riforma
della stessa, ha condannato la M.A.G. S.p.A. al versamento, in favore del
lavoratore, della somma di Euro 39.093,00 (liquidata al 12.2.2007) a titolo di
danno retributivo, nonché della somma di Euro 9.538,20 (liquidata al 5.1.2020)
a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali da ciascun evento di danno al
saldo, confermando, nel resto, la sentenza oggetto di gravame;

che per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso F.P., articolando un motivo;

che la M.A.G. S.p.A. (d’ora in avanti: MAG S.p.A.)
ha resistito con controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale
affidato ad un motivo, cui il P. ha, a sua volta, resistito con controricorso;

che la società ha comunicato memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1. del codice di rito;

che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso
principale e per l’inammissibilità di quello incidentale.

 

Considerato

 

che, con il ricorso principale, si censura la
<<Violazione e falsa applicazione dell’art.
2096 c.c. nonché degli artt. 2119 e 2118 c.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del CCNL per i dirigenti
delle aziende industriali del 24 novembre 2004>> e si deduce che, una
volta <<accertato giudizialmente che le dimissioni del ricorrente siano
state motivate da una giusta causa, ovvero da un fatto che – indipendentemente
dalla circostanza che si sia verificato nella vigenza del patto di prova – non
avrebbe consentito la prosecuzione, nemmeno provvisoria del rapporto>>,
la Corte di merito abbia, poi, errato <<nell’assimilare le conseguenze
del recesso illegittimo durante la prova esercitato dal datore con le
conseguenze di un recesso legittimo del prestatore nel corso di tale
esperimento>>, così quantificando il risarcimento in favore del
prestatore illegittimamente licenziato durante il periodo di prova nella misura
delle retribuzioni eventualmente spettanti sino alla concordata conclusione
dello stesso, senza considerare che <<è la legge stessa – e di rimando la
contrattazione collettiva – a predeterminare il ristoro spettante qualora venga
legittimamente esercitato il diritto di recesso >; pertanto, a parere del
P., ai sensi dell’art. 23 del
CCNL per i Dirigenti delle aziende industriali, allo stesso sarebbe
spettata l’indennità di preavviso nella misura di otto mensilità, <olla luce
dell’anzianità di servizio inferiore a due anni>> e <<non, appunto,
il limitato risarcimento pari alle mensilità dovute e non percepite dalla data
del recesso alla data di ipotetica conclusione del periodo di prova>>;

che, con il ricorso incidentale, si censura la
<<violazione e falsa applicazione degli artt.
1218 e 1223 c.c.>> e si deduce che,
nonostante i giudici di appello, nel quantificare il risarcimento del danno
spettante al P. in ragione delle dimissioni per giusta causa, abbiano
correttamente utilizzato i parametri generali stabiliti dagli artt. 1218 e segg. c.c. per i casi di
inadempimento contrattuale, i medesimi avrebbero, comunque, errato poiché non
avrebbero operato dal quantum riconosciuto a tale titolo al lavoratore,
<<la riduzione in costanza di c.d. aliunde perceptum, cioè di proventi derivanti da altra occupazione
eventualmente percepiti nel periodo di tempo in questione>>; che il
ricorso principale non è meritevole di accoglimento, perché – anche a
prescindere dal fatto che, in violazione del disposto dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c.,
non è stato indicato nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione
unitamente al ricorso per cassazione, il CCNL per i Dirigenti delle Aziende
Industriali, di cui è stato trascritto solo il testo dell’art. 23 – la Corte di Appello
ha condivisibilmente sottolineato che il periodo di
prova non può essere qualificato come un rapporto a tempo indeterminato, ma a
termine (nel caso di specie, pattuito in sei mesi, dal 13.11.2006 al
13.5.2007); per la qual cosa, ha escluso che al P. fosse dovuta l’indennità
sostitutiva del preavviso, secondo quanto disposto dall’art. 2119, primo comma, c.c.. Al riguardo, si
osserva, altresì, che la Corte costituzionale, in più occasioni intervenuta sul
patto di prova, ha evidenziato, per il profilo che in questa sede rileva, che
<<il periodo di prova ha natura nettamente distinta da quella del
contratto di lavoro a tempo indeterminato>>, poiché <<il contratto
di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come
contratto a tempo determinato>> (Corte cost. n. 204/1976);

che, pertanto, correttamente, i giudici di seconda
istanza hanno osservato che, nella fattispecie, non potendosi configurare una
ipotesi di recesso legittimo, ma di dimissioni connotate da giusta causa, durante
il periodo di prova, non è applicabile il disposto di cui al terzo comma dell’art. 2096 c.c., proprio in quanto la parte
datoriale è responsabile di quelle dimissioni che hanno impedito al P.
<<di condurre a termine l’esperimento>>, e, dunque, la risoluzione
anticipata equivale al mancato soddisfacimento dell’obbligazione a carico della
società datrice <<per effetto dell’art. 2096
c.c.>>, divenendo quell’inadempimento fonte di responsabilità
contrattuale e di specifica obbligazione risarcitoria; è ciò, in quanto, avendo
le parti sottoscritto un patto di prova, le stesse sono tenute ad attuarlo per
non dovere rispondere dei danni (v. pag. 12 della sentenza impugnata). Il
Giudice delle leggi, in proposito, ha affermato che <<l’obbligo delle
parti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di
prova>> pone, comunque, <<un primo limite alla discrezionalità
dell’imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento dallo stesso
intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestata dal
lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza
della durata dell’esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo
comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è
preordinato>> (v. Corte cost.
n. 189/1980);

che, per quanto evidenziato, non può, però,
condividersi la tesi del ricorrente principale, secondo cui, quando la motivazione
del recesso risieda non nell’esito negativo della prova, ma nella lesione del
vincolo fiduciario, il lavoratore recedente avrebbe diritto all’indennizzo
predeterminato dall’art. 23 del
CCNL, in caso di risoluzione senza preavviso, da parte del datore di
lavoro, del contratto a tempo indeterminato, poiché – come ribadito anche dalla
giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. nn. 20916/2019;
12268/2018) – il recesso intimato durante il periodo di prova o al termine di
esso, non deve essere motivato, avendo natura discrezionale e risiedendo la
causa del patto di prova per il lavoratore nella possibilità di verificare non
solo l’entità della prestazione richiestagli, ma anche le condizioni di
svolgimento del rapporto di lavoro. E di queste ultime, certamente, fanno parte
i comportamenti datoriali che ledano il rapporto fiduciario in modo tale da non
consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo, pur non essendo collegate,
in senso stretto, all’esperimento della prova;

che, quindi, correttamente, la Corte di merito ha
affermato che, nella fattispecie, <<si tratta di danno retributivo da
c.d. recesso ante tempus, in conformità>> con
gli arresti giurisprudenziali di legittimità, alla stregua dei quali <<In
caso di non giustificato recesso ante tempus del
datore di lavoro da rapporto di lavoro a tempo determinato, il risarcimento del
danno dovuto al lavoratore va commisurato all’entità dei compensi retributivi
che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso fino alla prevista
scadenza del contratto>> (cfr., ex multis, Cass. nn.
12092/2004; 16849/2003; 2822/1997);

che il ricorso incidentale non può trovare
accoglimento, poiché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte
(v., ex plurimis, Cass. nn. 4056/2021; 18093/2013), il c.d. aliunde
perceptum non costituisce oggetto di eccezione in
senso stretto ed è, dunque, rilevabile d’ufficio dal giudice, se le relative
circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo; per la qual
cosa, l’eccezione di detrazione dell’aliunde perceptum non è subordinata alla specifica e tempestiva
allegazione della parte, ove i fatti risultino ex actis,
nel rispetto del disposto di cui all’art. 366,
primo comma, n. 6, del codice di rito: condizione, questa, non soddisfatta
nel caso di specie, in cui l’eventuale percezione di redditi da parte del P.,
successivamente alle rassegnate dimissioni, derivanti da altra occupazione, è
rimasta del tutto priva di elementi delibatori a
sostegno. Ed il datore di lavoro, onerato della <<prova dell’aliunde perceptum da detrarre
dall’ammontare del risarcimento del danno…. non può esonerarsi chiedendo al
giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori
con finalità meramente esplorative>> (cfr., tra le molte, Cass. nn. 5316/2016; 4884/2015);
ma la parte datoriale, nel caso di specie, non ha allegato, né chiesto di
provare, alcuna circostanza finalizzata all’accertamento della effettiva
percezione di altri redditi provenienti da altra occupazione del P., dopo le
dimissioni di cui si tratta, dando per postulato che il medesimo avesse
reperito un nuovo posto di lavoro ad un mese dal recesso; che, per tutto quanto
innanzi esposto, il ricorso principale e quello incidentale devono essere
entrambi respinti;

che le spese del giudizio di legittimità vanno
interamente compensate tra le parti, data la reciproca soccombenza; che, avuto
riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso,
sussistono i presupposti di cui all’art.
13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
nei termini specificati in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Spese compensate.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e
della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed il ricorso
incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17423
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