Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 giugno 2021, n. 17420
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordnato, Indennità
sostitutiva delle ferie non fruite, Compenso per lavoro straordinario,
Differenze retributive
Fatti di causa
La Corte territoriale di Messina, con sentenza
depositata il 18.12.2014, respingeva il gravame interposto da C.T., nei
confronti di E.R., G.R. e A.R., quali eredi di G.R., avverso la sentenza del
Tribunale della stessa sede, n. 1107/2010, emessa il 9.4.2010, con la quale era
stata rigettata la domanda del T. diretta a conseguire la condanna di G.R. a
corrispondergli la somma complessiva di Euro 106.088,84 a titolo di differenze
retributive, 13’14A mensilità, TFR, indennità sostitutiva delle ferie non
fruite e compenso per lavoro straordinario, previo riconoscimento della natura
subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 30.10.1986 al
16.6.1996, con mansioni riconducibili al quarto livello del CCNL del settore
terziario.
La Corte di Appello, per quanto ancora di interesse
in questa sede, riteneva che G.R. non fosse la persona cui faceva capo la
titolarità del rapporto di lavoro di cui si tratta, <<non potendosi
imputare al medesimo le attività svolte dal lavoratore nelle abitazioni dei
vari componenti il nucleo familiare R.: ossia G., A., E. ed A.>> e
neppure quelle <<svolte per le diverse società del gruppo familiare
(ditta E.R., società SPE, società S., società C.S.>, anche perché <<il
T. era stato assunto da E.R. e non da G.R.>>.
Per la cassazione della pronunzia ricorre C.T.
articolando due motivi, cui resistono con controricorso E.R., A.R. e l’avv.
S.G., amministratore di sostegno di A.R., quali eredi di G.R. e di A.M.,
suocera di quest’ultimo, anch’essa deceduta in corso di causa, successivamente
al medesimo R.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt. 414, n. 4, e 420 c.p.c. <<che regolano il sistema delle
preclusioni;»>, in riferimento all’art. 360,
primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., ed in particolare, si lamenta che i giudici
di appello avrebbero erroneamente ritenuto che la produzione (consistente in
due lettere del 13.6.2000 e del 25.10.2000, e nel verbale di conciliazione del
12.3.2001) allegata dal ricorrente – e comprovante l’interruzione della
prescrizione del diritto ad ottenere le differenze retributive richieste –
fosse stata depositata irritualmente ed avrebbero, pertanto, disatteso il
chiaro principio di diritto fissato, nella materia, dalla giurisprudenza di
legittimità con la sentenza n. 8202/2005 delle Sezioni Unite, non considerando
che i documenti attestanti l’interruzione della prescrizione erano stati
prodotti nel primo momento difensivo successivo a quello in cui l’eccezione di
prescrizione era stata sollevata e, dunque, tempestivamente, nel rispetto del
sistema delle preclusioni dettato dagli artt. 414
e 420 c.p.c.
2. Con il secondo motivo si denunzia la
<<violazione e falsa applicazione dell’art.
2094 c.c., in riferimento all’art. 360, primo
comma, nn. 3 e 5, c.p.c.. Insufficiente e contraddittoria motivazione.
Legittimazione passiva di parte resistente>>, e si deduce che la Corte di
merito non avrebbe vagliato e valutato con esattezza le risultanze istruttorie,
<<nella parte in cui ha ritenuto che la titolarità del rapporto di lavoro
svolto dal ricorrente non fosse imputabile in via esclusiva a R. G., violando
l’art. 2094 che fissa i criteri per stabilire a
chi sia imputabile il rapporto di lavoro>>, commettendo, altresì, in tal
modo, un errore di qualificazione del rapporto di cui si tratta, al quale, a
parere del ricorrente, si sarebbe dovuto riconoscere, contrariamente alle
conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale, il connotato della
subordinazione.
1.1. Il primo motivo non è meritevole di
accoglimento. Va premessa, innanzitutto la inconferenza del parametro di
riferimento di cui all’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., privo di alcuna specificazione, anche nel corpo del motivo. E va,
altresì, sottolineato, quanto al dedotto errore di sussunzione, che il
ricorrente non ha prodotto, né trascritto, né indicato tra gli atti allegati al
ricorso di legittimità i documenti attraverso i quali poter ritenere delibata
la interruzione della prescrizione; e, soprattutto il verbale <<in cui
l’eccezione di prescrizione è stata sollevata dalle controparte>>, né
quello in cui si dà atto della produzione di quei documenti; e ciò, in
violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte (arg. ex art. 360, primo comma, n. 6, c.p.c.), che
definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico
atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di
legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni
prima di esaminare il merito della questione (v., tra le altre, Cass. n.
14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli
elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione
della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di
tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso
e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di
merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016;
23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa,
questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della
doglianza svolta, al riguardo, dal ricorrente.
2.2. Neppure il secondo motivo può essere accolto.
Al proposito, si osserva che la censura che attiene alla <<insufficiente
e contraddittoria motivazione;» > è inammissibile per la formulazione non
più consona, con le modifiche introdotte al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.l.
n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. n. 134 del 2012, applicabile, ratione
temporis, al caso di specie, poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, il 18.12.2014.
Inoltre, la censura che attiene alla violazione
dell’art. 2094 c.c., pur riferita al parametro
di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360 del codice di rito, in realtà
sollecita una nuova lettura del materiale istruttorio, dolendosi di una errata
valutazione degli elementi delibatori – relativamente alla legittimazione passiva
di G.R. ed al riconoscimento del vincolo della subordinazione con il medesimo
-, attività istituzionalmente riservata ai giudici di merito, non sindacabile
in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del
relativo apprezzamento, che, nella fattispecie, appare congrua, condivisibile e
scevra da vizi logico-giuridici (cfr., ex plurimis, Cass.
nn. 6644/2020; 17611/2018; 13054/2014). Peraltro, il ricorrente non ha
specificato i punti ritenuti fondamentali, nella valutazione degli elementi di
prova, su cui la decisione impugnata si fonda, al fine di consentire il vaglio
di decisività che avrebbe, eventualmente, dovuto condurre la Corte di merito ad
una differente pronunzia con l’attribuzione di una diversa valutazione e di un
diverso rilievo probatorio agli elementi istruttori, relativamente ai quali si
denunzia il vizio.
E, comunque, i giudici di merito hanno
condivisibilmente argomentato, esaminate le risultanze istruttorie, in ordine
al fatto che G.R. non fosse la persona cui faceva capo la titolarità del
rapporto di lavoro con il T., peraltro assunto da E.R. per svolgere attività
presso le abitazioni dei diversi componenti il gruppo familiare e per le
diverse società dello stesso gruppo (si vedano, in particolare, le pagg. 4 e 5
della sentenza impugnata), e, pertanto, attraverso un percorso motivazionale
del tutto coerente, sono pervenuti ad escludere, nella fattispecie, la
sussistenza del vincolo della subordinazione tra il T. e G.R.
3. Per tutto quanto esposto, il ricorso va
rigettato.
4. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza.
5. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.