L’art. 40 D.LGS. n. 198/2006 stabilisce non un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime ordinario. La disposizione prevede, infatti, a carico del soggetto convenuto, in linea con l’art. 19 della Direttiva 2006/54/CE, “l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, solo una volta che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto idonei a fondare la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso” (Cass. nn. 25543/2018 e 2113/2016). Sancendo un principio analogo (in relazione all’art. 19, Direttiva cit.), la Corte di Giustizia UE ha evidenziato che spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza nei propri confronti del principio della parità di trattamento dimostrare, dinanzi ad un organo giurisdizionale ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (CGUE 21 luglio 2011,  C-104/10, punto 29). Pertanto, solo nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova si verifica un’inversione dell’onere della prova e spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (CGUE C – 531/15; CGUE, C-104/10, punto 30).

F. A.

Discriminazione: onere della prova
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