La traslazione da un’impresa a un’altra di una preesistente articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda costituisce trasferimento di ramo d’azienda. 

Nota a Cass. 5 luglio 2021, n. 18948 e 4 agosto 2021 n. 22249

Valerio Di Bello

Per ramo d’azienda s’intende ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità “sul presupposto di una preesistenza, potendo conservarsi solo qualcosa che già esista, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità” (art. 2112 c.c., come novellato dal D.LGS. n. 276/2003, art. 32; Direttiva 2001/23/CE; Cass. n. 1769/2018 e Cass. n. 11247/2016). La cessione di ramo d’azienda è pertanto configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti già al momento dello scorporo dal complesso cedente, quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica (senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario), funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (v., fra tante, Cass. n. 22125/2006).

Per converso, non si può configurare un ramo d’azienda suscettibile di cessione quando difetti la preesistenza di una realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, ma sia stata creata ad hoc una struttura produttiva in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio (cfr., per tutte, CGUE 6 marzo 2014, C-458/12, punto 34). Né il ramo d’azienda può essere identificato come tale solo al momento della cessione, altrimenti all’imprenditore sarebbe di fatto consentita l’estromissione di lavoratori, senza le garanzie che al riguardo sono previste dalla legge (Cass. n. 20012/2005).

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 5 luglio 2021, n. 18948, riaffermato anche dalla più recente Cass. 4 agosto 2021, n. 22249, in relazione ad un caso in cui oggetto del trasferimento alla cessionaria non era stata l’unità produttiva nella sua iniziale consistenza ed interezza, poiché alcuni servizi della stessa non erano stati trasferiti, così come singoli ed autonomi reparti o settori facenti parte degli altri servizi trasferiti, che erano stati scorporati. Inoltre: a) la suddetta riorganizzazione si era realizzata meno di un mese prima della effettività della cessione del ramo d’azienda; b) non erano stati ceduti i softwares applicativi per l’espletamento delle attività oggetto della cessione, rimasti in proprietà del cedente che li aveva concessi in uso alla società cessionaria, creata come new company costituita proprio per l’acquisizione dell’entità trasferita.

Con la conseguenza che l’esistenza di due contratti di appalto stipulati per rendere possibile la funzionalità del ramo ceduto “contraddiceva la sostenuta preesistenza dell’autonomia funzionale della struttura ceduta, indicata significativamente come complesso di beni organizzati dal venditore per la prestazione di servizi di back office, costituito da attività, passività e rapporti giuridici in esso indicati, senza alcuna precisazione degli specifici servizi di back office trasferiti, il che si traduceva in un’impossibilità di identificare il compendio ceduto”.

Nella fattispecie, la Cassazione ha precisato che:

a) “non è consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito” (tra altre, Cass. n. 19141/ 2015 e Cass. n. 8757/2014);

b) in particolare, non è consentito rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo, poiché in tal modo si fa dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della normativa di riferimento;

c) nondimeno, i giudici hanno ritenuto legittime le cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni. Tale fenomeno, registratosi essenzialmente nel campo della successione negli appalti laddove sono i lavoratori ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c., per transitare nell’impresa subentrante, ha indotto la giurisprudenza ad ammettere il trasferimento anche di un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (v. Cass. n. 9957/2014 e Cass. n. 21917/2013). Ciò, pur confermando il compito del giudice del merito di verificare quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”, così “scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev’essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato” (in termini Cass. n. 11247/2016).

Trasferimento di ramo d’azienda
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