Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27564

Rapporto di lavoro, Pluralità di contratti a termine,
Termine di prescrizione dei crediti retributivi

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Messina, con sentenza
pubblicata il 24.3.2017, ha accolto parzialmente il gravame interposto da C.
C., quale erede di D. C., nei confronti di F. R., avverso la sentenza del
Tribunale della stessa sede n. 2033/2014, resa il 20.6.2014, con la quale era
stata accolta la domanda del lavoratore diretta ad ottenere il pagamento delle
differenze retributive asseritamente spettanti a titolo di lavoro
straordinario, festività, ferie, permessi non goduti e TFR, per l’attività
prestata, ininterrottamente, dal gennaio 1976 sino al giugno 2005, alle
dipendenze del C., con mansioni di barista;

che, pertanto, la Corte di merito, in parziale
riforma della sentenza impugnata, ha condannato C. C. al pagamento, in favore
del R., della somma di Euro 71.790,64, oltre interessi e rivalutazione sulle
somme annualmente rivalutate dalle singole maturazioni al saldo;

che per la cassazione della sentenza ricorre F. R.
articolando due motivi, cui resistono con controricorso E.L. e R. L., in
qualità di eredi di C. C.;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si denunzia: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2935 e 2948 n. 4 c.c., e si deduce la sussistenza di un unico
rapporto di lavoro intercorso con D. C.

dall’1.1.1976 al 5.1.2005, mentre la Corte
territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che fossero intercorsi due distinti
rapporti di lavoro, il primo dall’1.1.1976 al 24.9.1984, ed il secondo dal
5.12.1984 al 5.1.2005 e che, conseguentemente, dovesse applicarsi la prescrizione
per tutte le pretese nascenti dal rapporto conclusosi nel settembre del 1984;
2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, per omessa motivazione in ordine alla configurazione del rapporto di cui
si tratta come lavoro a termine, anziché a tempo indeterminato;

che il primo motivo non è fondato, avendo la Corte
distrettuale analiticamente e doviziosamente spiegato che dall’istruttoria
espletata era emerso inequivocabilmente che, nel caso di specie, si trattava di
due distinti rapporti di lavoro (v., in particolare, le pagg. 4-7 della
sentenza impugnata) e, ciò premesso, alla stregua degli arresti
giurisprudenziali di legittimità, <<nel caso in cui tra le stesse parti
si succedano due o più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei quali
legittimi ed efficace, il termine di prescrizione dei crediti retributivi, di
cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1, c.c., inizia a decorrere, per
i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro
insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione del rapporto, a partire
da tale momento, dovendo, ai fini della decorrenza della prescrizione, i
crediti scaturenti da ciascun contratto considerarsi autonomamente e
distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere alcuna
efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti tra un
rapporto lavorativo e quello successivo, stante la tassatività della
elencazione delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c., e la
conseguente impossibilità di estendere tali cause al di là delle fattispecie da
queste ultime norme espressamente previste (cfr., tra le molte, Cass. nn.
22146/2014; 575/2003);

che il secondo motivo è inammissibile perché, nella
sostanza, pone una quaestio facti ed è diretto a sollecitare una diversa
interpretazione dei contratti di cui si tratta rispetto a quella fornita dalla
Corte di merito che, motivatamente, ha reputato che si trattasse di due
distinti rapporti a termine, ed altresì per la formulazione non più consona,
relativa, all’evidenza, ad un vizio di motivazione non più deducibile con la
nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360 del codice di rito;

che per le considerazioni che precedono, il ricorso
va rigettato;

che le spese – liquidate come in dispositivo e da
distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore, del difensore di E. L. e
R.L., avv. E. B., dichiaratasi antistataria – seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.. n. 115 del 2002, secondo quanto
specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00
per compenso professionale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali
nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
– bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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