Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2021, n. 30602

Appalto, Cessazione, Pagamento delle somme dovute a titolo
di retribuzione, Responsabilità solidale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del
9.11.2017, respingeva il gravame proposto dalla s.p.a. Trenitalia avverso la
decisione del Tribunale capitolino che aveva rigettato l’opposizione della
predetta avverso i decreti ingiuntivi emessi, in favore di F.D.S., A.P. ed
E.F., per il pagamento, quale committente dell’appalto e debitore solidale ai
sensi dell’art. 29 del d. Igs. 10 settembre 2003 n. 276, delle somme dovute a
titolo di retribuzione dal datore di lavoro/appaltatore, SAES s.p.a.

2. Per quel che rileva nella presente sede, la Corte
distrettuale, ritenuta l’applicabilità della norma indicata alle società per
azioni a partecipazione pubblica, osservava che, in assenza di espressa
previsione legislativa, la decadenza biennale dall’esercizio dell’azione
potesse essere impedita da qualsiasi atto scritto stragiudiziale diretto nei
confronti del committente, ed escludeva che nella specie si fosse verificata la
causa dì estinzione dedotta. I crediti azionati erano relativi ad appalto
cessato il 31.7.2009 ed il relativo diritto era stato esercitato a mezzo
lettera raccomandata del 29 luglio 2011.

3. Di tale decisione ha domandato la cassazione la
società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui hanno resistito, con
controricorso, i lavoratori.

4. Entrambe le parti hanno presentato memorie
dinanzi alla VI sezione della Corte di cassazione.

5. Il Collegio della sesta sezione, con ordinanza
interlocutoria del 9 dicembre 2019, n. 32123, ha rimesso la causa alla sezione
ordinaria, per la trattazione in pubblica udienza, in quanto la questione posta
con il secondo motivo di ricorso non risultava essere stata mai affrontata nei
precedenti di legittimità.

6. Il P.G. ha fatto pervenire le sue conclusioni
scritte e Trenitalia s.p.a. ha depositato ulteriore memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il presente procedimento è regolato dall’art. 23,
comma 8-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modificazioni nella
legge 18 dicembre 2020, n. 176, secondo cui “Per la decisione sui ricorsi
proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma degli articoli 374,
375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, la corte di cassazione
procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e
dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale
faccia richiesta di discussione orale”.

2. Né i difensori delle parti, né il Procuratore
Generale hanno fatto richiesta di discussione orale.

3. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia
violazione degli artt. 29, secondo comma, d. Igs. 276/2003, 118, sesto comma,
d. Igs. 163/2006, 1676 c.c., assumendo che la Corte d’appello erroneamente
abbia ritenuto applicabile il regime di responsabilità solidale previsto dalla
prima delle norme citate, nonostante che essa società rivesta la natura di
società per azioni a partecipazione pubblica, laddove dalla successiva norma di
interpretazione autentica (art. 9, co.1, d.l. 28 giugno 2013 n. 76, convertito,
con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 99) é dato evincere che
l’intero impianto normativo regolamenti esclusivamente l’occupazione del settore
privato.

4. Con il secondo motivo, la società ricorrente
lamenta violazione dell’art. 29, secondo comma, del d. Igs. 276/2003, per avere
la Corte capitolina erroneamente ritenuto che la decadenza ivi prevista possa
essere impedita da un atto stragiudiziale, anziché dalla proposizione di
domanda giudiziale.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1. E’ stato reiteratamente affermato da questa
Corte che l’art. 29 secondo comma, del d. Igs. 276/2003 è applicabile alle
società con partecipazione pubblica, dovendo escludersi la sussistenza di un
divieto di applicazione della suddetta norma (divieto, invece, affermato da
Cass. 15432/2014 in riferimento alle pubbliche amministrazioni) nei confronti
dei soggetti privati, quale Trenitalia s.p.a., cui pure si applica il codice
dei contratti pubblici nella sua qualità di “ente aggiudicatore”,
vigendo anche per essi il regime di responsabilità solidale stabilito dall’art.
29, secondo comma, d. Igs. 276/2003, quand’anche committenti in appalti
pubblici e destinatari della relativa disciplina.

5.2. E’ stata, invero, esclusa ogni incompatibilità
o rapporto di reciproca elisione tra le due discipline – cfr. Cass. 10731/2016,
con rinvio alle argomentazioni ivi esposte con riferimento ai diversi ambiti di
incidenza della disciplina di cui al d. Igs. 276/2003, che regola la materia
dell’occupazione e del mercato del lavoro, apprestando una più forte protezione
e tutela ai lavoratori, titolari di un’azione diretta, in via solidale con il
proprio datore di lavoro – nei confronti del committente per ottenere i
trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti in dipendenza
dell’appalto e di quella di cui al d.lgs. 163/2006 che opera, invece, sul
diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, prevedendo ugualmente
una tutela dei lavoratori, ma per effetto di una disciplina sintomatica di una
più preoccupata attenzione legislativa alla corretta esecuzione dell’appalto
pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori, ma anche
l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico, come
osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432 – (cfr., ex aliis, Cass.
17.12.2019 n. 33403, Cass. 18.9.2019 n. 23303, Cass. 2.5.2019 n. 11536, Cass.
5.3.2019 n. 6333, Cass. 15.11.2017 n. 27014; Cass. 3.5.2017 n. 10777, Cass.
6.4.2017 n. 8955; Cass. 17.3.2017 n. 6983; Cass. 19 maggio 2016 n. 10354).

2. Con riguardo al secondo motivo, va premesso che
il testo originario dell’art. 29, comma 2 della I. 276/2003 così disponeva:
“In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di
lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno
dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi e i contributi previdenziali dovuti”.

2.1. L’art. 1, comma 911, della legge 27.12.2006 n.
296 ha previsto che l’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente: “2. In caso di appalto
di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è
obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali
ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione
dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i
contributi previdenziali dovuti”. 2.2. Il d.l. n. 5 del 2012, convertito
con modificazioni dalla legge 4.4.2012 n. 35 (in vigore dal 7.4.2012 al 17
luglio 2012), testualmente ha poi previsto che: «In caso di appalto di opere o
di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in
solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori
entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai
lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine
rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in
relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso
qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell’inadempimento. Ove convenuto in giudizio per il pagamento unitamente
all’appaltatore, il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire,
nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio
dell’appaltatore medesimo. In tal caso il giudice accerta la responsabilità
solidale di entrambi gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata
nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo
l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore. L’eccezione può
essere sollevata anche se l’appaltatore non è stato convenuto in giudizio, ma
in tal caso il committente imprenditore o datore di lavoro deve indicare í beni
del patrimonio dell’appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente
soddisfarsi. Il committente imprenditore o datore di lavoro che ha eseguito il
pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato
secondo le regole generali».

2.4. L’art. 4, co. 31, lett. b) I. 92 del 2012 ha
ulteriormente inciso nei seguenti termini: “All’articolo 29, comma 2, del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti
modificazioni:

a) al primo periodo sono premesse le seguenti
parole: «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali
sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi
e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli
appalti; b) i periodi dal secondo al quinto sono sostituiti dai seguenti : «Il
committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il
pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori
subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire,
nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio
dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il
giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione
esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o
datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio
dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha
eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del
coobbligato secondo le regole generali».

2.5. Infine, il nuovo testo dell’art. 29, comma 2,
d.lgs. 276/2003 così come modificato dal D. L. 25/2017, convertito dalla legge
20 aprile 2017 n.49, prevede che “in caso di appalto di opere o di
servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido
con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il
limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori
í trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto,
nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al
periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi
obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove
previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle
disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato
secondo le regole generali”.

3. In tema di orientamenti giurisprudenziali, va
sottolineato che nei precedenti di questa Corte, Cass. 28.9.2016 n. 19184 e
Cass. 18.7.2017 n. 17725, richiamati nell’ordinanza interlocutoria indicata
nella parte espositiva, ci si limita ad affermare che il termine biennale
previsto dalla norma suindicata è termine dì decadenza, astenendosi, come già
esposto, dall’affrontare espressamente la questione della idoneità anche di
atti stragiudiziali ad impedirne l’operatività e demandando l’esame della
stessa questione alla sezione in pubblica udienza.

3.1. Negli stessi termini anche Cass. 17.3.2017 n.
6983 e, successivamente, Cass. 4.7.2019 n. 18004 hanno ritenuto solo
genericamente che il menzionato termine biennale sia termine di decadenza.

3.2. Analogamente, le successive pronunce
rinvenibili in materia non hanno affrontato specificamente il tema posto con la
presente doglianza, essendosi Cass. 13.2.2019 n. 4237 limitata ad affermare che
il regime di solidarietà in tema di responsabilità del committente è quello
vigente al momento dell’insorgenza del credito del lavoratore e la successiva
Cass. 14.11.2019 n. 29629 avendo solo riaffermato la natura decadenziale del
termine biennale di cui all’art. 29, co. 2 d. Igs. 276/2003 e la decorrenza
dello stesso a far data dalla cessazione dell’appalto (con richiamo alla già
menzionata Cass. 17725/2017).

4. E’ stato evidenziato come il regime della
responsabilità solidale del committente con l’appaltatore di servizi, ex art.
29, co. 2, d. Igs. 276 del 2003, ha riguardo agli emolumenti, al cui pagamento
il datore di lavoro risulti tenuto in favore dei propri dipendenti, di natura
strettamente retributiva e concernenti il periodo del rapporto lavorativo
coinvolto dall’appalto.

4.1. Inoltre, lo stesso articolo, nella versione
anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in
L n. 35 del 2012, e dalla legge n. 92 dei 2012, e rilevante ratione temporis
nell’odierna fattispecie, non prevedeva un regime di sussidiarietà bensì
un’obbligazione solidale del committente con l’appaltatore per il pagamento dei
trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti al dipendente,
come si evince dal tenore letterale della norma nonché dalla sua
“ratio”, intesa ad incentivare un utilizzo più virtuoso dei contratti
di appalto, inducendo i! committente a selezionare imprenditori affidabili, per
evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del
contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno del
lavoratore (cfr. Cass. n. 31768 del 7/12/2018 e Corte Cost. n. 254 del 2017).

4.2. Anche la Cotte di Giustizia aveva confermato la
compatibilità del principio di solidarietà negli appalti con il diritto europeo,
evidenziando che esso è funzionale a consentire una protezione volta a
prevenire la riduzione del costo del lavoro al di sotto del livello minimo che
deve essere garantito (sentenza 12.10.2004, C- 60/2003).

4.3. Nella medesima logica, la solidarietà tra
l’appaltatore ed il committente sancita dall’art. 29, comma 2, del d.lgs. n.
276 del 2003, che garantisce il lavoratore per il pagamento dei trattamenti
retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente dedicato le
proprie energie lavorative, nonché il dato testuale della norma, che fa
riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, impongono di
ritenere che la solidarietà sussiste solo per i crediti maturati con riguardo
al periodo del rapporto stesso, con esclusione di quelli sorti in altri
periodi, ed il termine biennale dalla cessazione dell’appalto previsto dalla
suddetta disposizione ha natura di termine di decadenza (v. nei termini
riportati Cass. 4.7.2019 n. 18004, con richiamo per questi ultimi principi a
Cass. n. 17725 del 2017).

5. Tanto premesso, va osservato che nel caso
considerato l’appalto è cessato pacificamente il 31 luglio 2009 ed i lavoratori
hanno inviato alla società committente lettera raccomandata del 29 luglio 2011,
con la quale hanno inteso esercitare il loro diritto, mentre hanno proposto
l’azione giudiziaria in via monitoria dopo il decorso del biennio.

6. La sentenza impugnata ha aderito alla tesi
secondo cui, in mancanza di una espressa previsione legislativa, anche un atto
scritto stragiudiziale, idoneo a far valere la responsabilità del
committente  rispetto alla pretesa poi
azionata giudizialmente, sia valido ad impedire la decadenza e ciò anche a
giudizio di questo Collegio risulta coerente con la ratio dell’istituto, che è
quella di rendere edotto il committente di rivendicazioni dei lavoratori anche
nei suoi confronti, senza pregiudicare, in mancanza di preminenti ragioni di
ordine pubblico, la posizione dei lavoratori che intendano ottenere le loro
spettanze in conseguenza di una responsabilità solidale del committente
prevista dalla legge.

7. La norma generale di cui all’art. 2966 c.c. è
quella secondo cui “la decadenza non è impedita se non dal compimento
dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”, sicché, in mancanza di
ogni previsione, occorre avere riguardo ad un criterio logico sistematico, che
non può che essere ricondotto alla “ratio” dell’istituto, che è
quella di porre il committente in grado di meglio tutelare i propri interessi,
finalità che può essere soddisfatta anche ove nello stesso termine biennale il
lavoratore manifesti la volontà di far valere la responsabilità solidale in via
stragiudiziale.

7.1. La decadenza è sempre impedita con il
compimento dell’atto che di volta in volta il legislatore ha previsto che debba
essere compiuto dal soggetto onerato (ad es. la domanda amministrativa all’ente
previdenziale per le prestazioni; un’impugnazione stragiudiziale e giudiziale
ai fini del licenziamento; il deposito di un ricorso giudiziale per la
decadenza previdenziale ecc ). Non esiste pertanto una modalità sempre valida
per impedire la decadenza, siccome l’effetto si produce solo con il compimento
dello specifico atto indicato dal legislatore.

7.2. Nella specie, non essendo precisato dalla norma
di riferimento o da altra disposizione quale sia l’atto che deve essere
compiuto per impedire la decadenza, deve considerarsi che l’inciso relativo
all’azione giudiziaria da proporsi sia nei confronti del committente sia nei
confronti dell’appaltatore è stato introdotto solo con la legge n. 92 del 2012,
laddove la previsione del termine di decadenza è precedente e risale al 2003.

7.3. Ciò induce ad escludere che il legislatore del
2003 avesse previsto che la decadenza nella sua originaria formulazione andasse
impedita dall’azione giudiziaria, secondo il riferimento introdotto nella norma
solo nel 2012 che non costituisce oggetto del presente esame.

7.4. Pertanto, risulta maggiormente aderente al
testo della norma ratione temporis vigente giungere alla conclusione che la
decadenza in questione, nel silenzio del legislatore, possa essere impedita non
solo dal deposito del ricorso giudiziario, ma anche dal deposito di un atto
scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, con il quale il
lavoratore chieda a quest’ultimo il pagamento di crediti di lavoro maturati nei
confronti del datore di lavoro appaltatore in esecuzione dell’appalto.

7.5. Né potrebbe sostenersi che ciò si traduca in un
significativo vulnus alla esigenza perseguita con la previsione di una
decadenza, che si sostanzia in quella di certezza, di ordine pubblico, che è
alla  base della regolamentazione dei
diritti, tesa ad evitare che determinate situazioni di dubbio possano essere
protratte al di là di tempi ragionevoli, atteso che la responsabilità del
committente rimane circoscritta ad un periodo di due anni.

 7.6. La
soluzione patrocinata risulta, dunque, coerente con la ratio dell’istituto e
non in contraddizione con la natura di termine decadenziale individuata dalla
giurisprudenza richiamata, avuto riguardo all’ esigenza che la norma pure mira
a salvaguardare, che è quella di consentire al committente di venire a
conoscenza entro un termine ridotto (dalla cessazione dell’appalto), rispetto a
quello di  prescrizione, di rivendicazioni
dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro-appaltatore, affinché a sua
volta possa tutelare i propri interessi, per esempio sospendendo eventuali
pagamenti in favore dell’appaltatore, non liberando cauzioni imposte
all’appaltatore, ecc.

7.7. Peraltro, lo stesso art. 2964 c.c. non indica
che cosa debba intendersi per esercizio del diritto e quindi nulla impedisce
che il diritto possa essere esercitato anche a mezzo di diffida o atto
stragiudiziale, a ciò conseguendo che, ove effettuata nel circoscritto termine
previsto, la comunicazione di un atto nel quale sia chiara la volontà di
richiedere l’operatività della responsabilità del committente ben può ritenersi
anch’essa idonea ad impedire la decadenza di cui si tratta.

7.8. A quest’ultima deve, poi, senz’altro
attribuirsi natura sostanziale, avuto riguardo al tenore della previsione
normativa, che si riferisce all’obbligazione del committente, in solido con
l’appaltatore, nei confronti dei lavoratori, “entro il limite di due anni
dalla cessazione dell’appalto” relativamente ai trattamenti retributivi ed
ai contributi previdenziali dovuti. In tal modo la norma intende avere riguardo
al periodo di operatività della responsabilità del committente e non pone
alcuna prescrizione circa il modo attraverso il quale far valere il
corrispondente diritto da parte del lavoratore, diritto che, in relazione alla
individuata connotazione decadenziale del termine biennale, deve ritenersi non
più sussistente qualora non venga esercitato entro il previsto lasso temporale.

7.9. Né pare al Collegio che in tale disamina possa
attribuirsi una qualche decisività, in un’ottica di contemperamento equilibrato
di interessi confliggenti, alla considerazione che la previsione della
solidarietà ex art. 29, co. 2, d. Igs. 276/2003 costituisce pur sempre un
ampliamento della garanzia patrimoniale fornita ai lavoratori, cui viene
consentito di aggredire sia il patrimonio del datore di lavoro sia quello della
società committente, non potendo superarsi, per le ragioni esposte, il dato
testuale della norma in vigore, la quale non fa riferimento ad un atto
specifico per l’esercizio del diritto.

7.10. Sull’efficacia diretta della richiesta
stragiudiziale rivolta dai lavoratori al committente questa stessa Corte si è,
peraltro, già pronunciata con sentenza n. 9048 del 19/04/2006, sia pure al fine
di consolidare la responsabilità del committente in relazione all’art. 1676
c.c. (che non contempla però decadenza alcuna), ritenendo che nel caso
scrutinato, nell’ipotesi riconducibile alla responsabilità solidale del
committente ex art. 1676 c.c., la richiesta del tentativo di conciliazione
presentata ai sensi dell’art. 410 c.p.c. nell’atto in cui sia comunicata alla
controparte sia idoneo ad interrompere la prescrizione ed a sospendere il
decorso di ogni termine di decadenza.

Ed ancora, sempre esemplificativamente, analoga
rilevanza è stata attribuita, in altro ambito, alla semplice proposizione di
una richiesta stragiudiziale di pagamento da Cass. 26 settembre 2017 n. 22346
in relazione ad un contratto autonomo di garanzia, escludendosi che la
“prima richiesta” prevista dalla norma di riferimento potesse essere
integrata unicamente dall’esercizio di un’azione in giudizio.

8. Alla stregua delle svolte considerazioni, deve
pervenirsi al complessivo rigetto del ricorso.

9. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate in dispositivo, con
attribuzione ai difensori dichiaratisi antistatari.

10. Sussistono per il ricorrente le condizioni di
cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, nonché al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, con
attribuzione agli avv.ti P. e M.N..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
dell’art.13, comma1bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2021, n. 30602
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