L’Agenzia delle Entrate ha precisato che eventuali maggiori contributi che il lavoratore è tenuto a restituire al datore di lavoro costituisce un’integrazione di contributi obbligatori per legge, sicché sono deducibili ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. e), del TUIR.

Nota a AdE Risp. 6 aprile 2022, n. 117

Antonio Guidone

Con la Risposta ad interpello n. 117 del 6 aprile 2022, l’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti relativi sia alle modalità attraverso cui il lavoratore dovrà restituire, al datore di lavoro, eventuali contributi previdenziali non versati, sia alla loro deducibilità dal reddito complessivo.

Nel caso in esame, l’istante faceva presente che l’INPS aveva agito nei confronti del datore di lavoro per il recupero dei c.d. “contributi da eccedenza massimale”, ai sensi dell’art. 2 co. 18, L. 8 agosto 1995, n. 335, con riferimento alla posizione previdenziale del lavoratore istante relativa agli anni 2015, 2016 e 2017. Il datore di lavoro, a seguito di una mancata comunicazione da parte del lavoratore circa l’esistenza di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti il 1°gennaio 1996, aveva omesso di versarli.

Più in dettaglio, da un lato, l’INPS contestava l’omissione contributiva poiché erano emersi versamenti contributivi solo figurativi in epoca antecedente al 1° gennaio 1996, dall’altro, disconosceva l’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile per i lavoratori iscritti a forme pensionistiche obbligatorie dopo il 1° gennaio 1996 e privi di anzianità contributiva precedente.

Ciò posto, l’istante chiedeva chiarimenti circa le modalità attraverso cui poter procedere alla restituzione dei contributi non versati al datore di lavoro e alla eventuale deducibilità degli stessi dal suo reddito complessivo.

Nel rispondere al quesito, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che, ai sensi dell’art. 10, co.1, lett. e), del TUIR, i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza di disposizioni di legge nonché quelli versati in modo facoltativo all’ente che gestisce la forma pensionistica di appartenenza, sono deducibili dal reddito complessivo del lavoratore (salvo che non lo siano già nella determinazione delle singole categorie reddituali), essendo indifferente la causa dalla quale origina il versamento.

L’Agenzia ha altresì chiarito che i contributi succitati sono deducibili qualora risultino effettivamente a carico del contribuente e purché debitamente documentati; inoltre, ai sensi del c.d. “principio di cassa”, sono deducibili fino a concorrenza del reddito complessivo con riferimento al periodo d’imposta in cui sono versati.

Ciò premesso, la maggiore quota contributiva a carico dell’istante, che, nel caso di specie, lo stesso è tenuto a restituire al datore di lavoro, sarà deducibile, costituendo una mera integrazione dei contributi non versati nei periodi d’imposta 2015, 2016 e 2017 (obbligatori per legge).

Inoltre, in aderenza con il menzionato criterio di cassa, gli oneri saranno dedotti nel periodo d’imposta in cui saranno rimborsati al datore di lavoro e non quando quest’ultimo è stato chiamato a versare la maggior quota contributiva a favore del dipendente.

Sul piano formale, le somme andranno indicate nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai “Contributi previdenziali e assistenziali” (RIGO E21).

L’istante, inoltre, dovrà documentare il sostenimento dell’onere mediante una certificazione unica rilasciata dal datore di lavoro che attesti le somme oggetto di deduzione, inserendo un’annotazione a contenuto libero (codice ZZ).

Deducibili nel periodo d’imposta i contributi eccedenti il massimale restituiti al datore di lavoro
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