Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2023, n. 5794

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Licenziamento intimato da soggetto privo del potere di rappresentanza, Possibilità di ratifica, Consegna della lettera di contestazione disciplinare nell’imminenza del periodo di ferie, Grave negligenza in servizio e notevole inadempimento, Congruità della sanzione espulsiva, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Velletri, ha – con sentenza n. 2289 depositata il 27.5.2019 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato dalla Provincia religiosa di San Pietro Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, in data 24.7.2017, a G.B., per aver dimenticato di somministrare un farmaco ad un paziente (durante il suo turno di lavoro) e per avere, nonostante ciò, annotato l’avvenuta somministrazione nella scheda di terapia informatizzata.

2. La Corte di appello ha, con riguardo alla lettera di contestazione disciplinare (sottoscritta dal Direttore dell’Area amministrativa e dal Direttore sanitario), richiamato l’orientamento giurisprudenziale circa le persone legittimate a invocare l’annullabilità del processo interno di formazione della volontà a fronte di un licenziamento intimato da soggetto privo del potere di rappresentanza nonché rilevato che la contestazione risultava ratificata con la lettera di licenziamento (in quanto espressamente richiamata); ha rilevato che la lettera di contestazione disciplinare richiamava, con riguardo ai diritti di difesa del lavoratore, l’art. 7 della legge n. 300 del 1970 nonché ricollegava profili di illegittimità della eventuale sanzione ad una sua applicazione precedente il decorso del termine a difesa; ha sottolineato che la mancata indicazione, sempre nella lettera di contestazione, della sanzione irrogabile non era motivo di illegittimità né ledeva i diritti di difesa, nemmeno alla luce della circostanza che la suddetta lettera era stata consegnata il giorno prima di un periodo di ferie programmate, posto che, in ogni caso, non erano state allegate difficoltà concrete che avessero precluso di rassegnare le proprie giustificazioni; infine, il giudice di merito, al pari del giudice di primo grado ed a fronte dell’analitica ricostruzione dei fatti, riteneva di particolare gravità la condotta complessivamente tenuta dal B. posto che la mancata somministrazione del farmaco (a paziente affetto da tumore), la mancata successiva attivazione nei confronti dei soggetti preposti (al fine di far somministrare il farmaco) e la falsificazione del documento informatico violavano i doveri essenziali che caratterizzavano le mansioni di infermiere professionale, con esclusione della sussunzione di tale condotta nell’art. 40 del cod.civ. n. 1 applicato il quale (prevedendo una sanzione conservativa in caso di “grave negligenza in servizio o irregolarità nell’espletamento dei compiti assegnati”) faceva comunque salva l’applicazione della sanzione espulsiva in caso di “notevole inadempimento” e “qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità”, evenienza che ricorreva nel caso di specie.

3. Per la cassazione di tale sentenza il B. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La Provincia religiosa ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

4. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione degli artt. 1175, 1375, 2104, comma 2, cod.civ., 7 della legge n. 300 del 1970 essendo stata, la lettera di contestazione disciplinare, adottata da organi sprovvisti del relativo potere e non essendo suscettibile di ratifica; il B. non era gerarchicamente sottoposto al Direttore amministrativo e al Direttore sanitario; la mancanza della sanzione irrogabile e della facoltà del lavoratore di essere sentito a sua difesa violano le formalità dettate dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970; la consegna della lettera di contestazione nell’imminenza delle ferie violava il dovere di correttezza e buona fede.

2. Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.civ., avendo la Corte di appello ritenuto provato, nonostante diverse emergenze processuali, che il B. non avesse somministrato il farmaco il 14.6.2017, che avesse apposto la spunta sulla scheda terapeutica del paziente, negando ogni forma di disorganizzazione nella distribuzione dei farmaci, e non avendo considerato l’assenza di qualsiasi provvedimento disciplinare nel corso dei 23 anni di durata del rapporto di lavoro; il farmaco era nella esclusiva disponibilità della Coordinatrice, che non lo fece recapitare in reparto.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile e, per la parte residua, infondato.

3.1. I motivi d’impugnazione ripropongono gli stessi motivi di gravame (dunque del reclamo per motivi di merito della decisione di primo grado), senza confrontarsi con le analitiche argomentazioni, in fatto e in diritto, sviluppate dalla sentenza impugnata, e tanto già basta per ritenere inammissibili i mezzi d’impugnazione svolti per essere avulsi dal paradigma dei motivi tassativamente fissato dall’art. 360 cod.proc.civ. (cfr., sulla necessità che il ricorso per cassazione si concreti in una critica della decisione impugnata, Cass. n. 359 del 2005, Cass. n. 22478 del 2018).

3.2. Il motivo viene sviluppato sovrapponendo e confondendo questioni che attengono alla ricostruzione dei fatti oggetto di causa, ossia alla valutazione della condotta tenuta dal B., e profili giuridici: anche sotto tale aspetto le censure appaiono inammissibili, perché l’orientamento secondo cui un singolo motivo può essere articolato in più profili di doglianza, senza che per ciò solo se ne debba affermare l’inammissibilità (Cass. S.U. n.9100 del 2015), trova applicazione solo qualora la formulazione permetta di cogliere con chiarezza quali censure siano riconducibili alla violazione di legge e quali, invece, all’accertamento dei fatti; nel caso di specie, al contrario, le doglianze operano una commistione fra profili di merito e questioni giuridiche, sicché finiscono per assegnare inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 26790 del 2018, Cass. n. 33399 del 2019).

3.3. Il motivo è, inoltre, inammissibile in quanto trascura di considerare che il n. 5 dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., che viene invocato a sostegno della doglianza, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto ad un appello promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014); in questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod.proc.civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura.

3.4. Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, la prevalenza delle censure si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti (con riguardo all’individuazione delle persone gerarchicamente sovraordinate al B., al contenuto della lettera di contestazione disciplinare, alla carenza di allegazioni circa il concreto pregiudizio subìto in ragione della consegna della lettera di contestazione disciplinare nell’imminenza del breve periodo di ferie).

3.5. Il mero accenno alla impossibilità di ratifica di atti unilaterali (peraltro non supportato da alcuna argomentazione giuridica che contrasti la motivazione esposta nella sentenza impugnata) è infondato, avendo questa Corte già affermato che la disciplina dettata dall’art. 1399 cod. civ. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso da soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 cod. civ., anche ai negozi unilaterali come il licenziamento (Cass. n. 17461 del 2003, Cass. n. 28514 del 2008; da ultimo, Cass. n. 28496 del 2019; cfr. altresì Cass. n. 17999 del 2019 che ha distinto l’ipotesi di licenziamento intimato da un soggetto appartenente alla compagine sociale, ma privo del potere rappresentativo, atto che può essere ratificato, dalla diversa ipotesi di un licenziamento intimato da soggetto che non è datore di lavoro, atto inesistente); il ricorrente non indica la ragione per cui le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza (e conformi all’orientamento affermato da questa Corte), siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, e pertanto non prospetta criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, impedendo a questa Corte di adempiere il proprio compito di verificare il fondamento della denunciata violazione.

3.6. Del pari, l’affermazione della necessità – nella lettera di contestazione disciplinare – dell’indicazione della sanzione irrogabile non è supportata da un’analisi del testo normativo invocato (l’art. 7 della legge n. 300 del 1970) ed è priva di argomentazioni logiche, che militano, di converso, nel senso della ragionevolezza (oltre che della legittimità) della scelta della misura sanzionatoria solamente all’esito di tutto il procedimento disciplinare (delineato dalla disposizione normativa richiamata), ossia alla luce delle difese fornite dal lavoratore ed a fronte della compiuta istruttoria svolta dal datore di lavoro, sempre nel rispetto – come più volte ribadito da questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 1248 del 2016) – del principio di immediatezza della contestazione e di tempestivo esercizio dell’azione disciplinare (profili non sollevati nel caso di specie).

4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi motivi.

4.1. Oltre a ricorrere la sovrapposizione e la confusione di questioni che attengono alla ricostruzione dei fatti oggetto di causa, ossia alla valutazione della condotta tenuta dal B., e a profili giuridici (alla stregua di quanto rilevato con riguardo al primo motivo), deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

4.2. Inoltre, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 16078/2015; Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011), censura che non risulta avanzata nel caso di specie.

4.3. La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi e, conformemente al giudice di primo grado, ha valutato la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della condotta tenuta dal B., alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnando rilievo all’intensità dell’elemento intenzionale assunto (mancata somministrazione del farmaco, mancata attivazione per segnalare l’episodio, falsificazione del documento informatico, paziente grave affetto da tumore), al grado di affidamento richiesto dalle mansioni (infermiere professionale), alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.

5. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2023, n. 5794
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: