Anche il licenziamento con efficacia differita è incompatibile con il divieto di licenziamento in corso di gravidanza.
Trib. Napoli 21 novembre 2023, R.G. 4184
Alfonso Tagliamonte
Il licenziamento di una lavoratrice intimato durante il periodo di gravidanza e poi sospeso, con efficacia rinviata al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice stessa, è nullo.
Lo afferma il tribunale di Napoli Nord 21 novembre 2023, R.G. 4184, secondo cui, nel quadro di una tutela della salute psico-fisica della donna in gravidanza anche il licenziamento con efficacia differita è incompatibile con il divieto di licenziamento di cui all’art. 54 d.lgs. 151/2001. Ne consegue che nel periodo coperto da tale divieto non possono essere portati a termine oltre ai licenziamenti anche tutte le attività preparatorie, tra cui rientra la comunicazione del licenziamento medesimo.
Come noto, l’art. 54 cit., stabilisce al co.1 che “Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”, e al co. 2 che “Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, é tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano”. La sanzione è quella della nullità del licenziamento come previsto dal co. 5 del Decreto stesso: “Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, é nullo”.
Tali disposizioni, sottolineano i giudici, allo scopo di proteggere la lavoratrice in gravidanza pongono un divieto di licenziamento sul presupposto che lo stesso: “ancorché, in ipotesi, destinato a produrre effetto in data ad essi successiva, è, di per sé, idoneo ad arrecare grave turbamento alla lavoratrice gestante o puerpera, sia in considerazione del particolare stato fisico e psichico della donna, sia per l’inevitabile apprensione che consegue alla previsione della sicura perdita della retribuzione e dell’incertezza della sua sostituzione con altra adeguata; apprensione suscettibile di aggravamento proprio a causa di quel particolare “stato”. Tutto ciò si verifica (o può verificarsi) già nel momento in cui l’atto di licenziamento giunge a conoscenza della destinataria, sebbene l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro sia differito, ed è proprio questa la “situazione negativa” che la legge intende evitare (“ratio legis”)» (così Cass., n. 1526/1998; v. anche Trib. Milano 15 aprile 2000, in D&L 2000, 785). In questa linea, si è pronunciata anche la giurisprudenza comunitaria (CGUE 11/10/2007 causa C460/06, Pres. A. Rosas Rel. A.O Caoimh, in D&L 2008), secondo la quale il divieto di licenziamento della lavoratrice gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (tutelata ai sensi dell’art. 10, Direttiva 92/85Ce) va interpretato nel senso che “esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo stesso ma anche di prendere misure preparatorie a una tale decisione prima della scadenza di detto periodo”.
Il Tribunale rileva altresì che per determinare il periodo in cui vige il divieto temporaneo di recesso, occorre riferirsi alla presunzione legale dello stato di gravidanza prevista dall’art. 4, D.P.R. n. 1026/1976, secondo cui “Per la determinazione dell’inizio del periodo di gravidanza ai fini previsti dall’art. 2, secondo comma, della legge, si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data del parto, indicata nel certificato medico di cui al successivo art. 14”. “A tale conclusione si perviene anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, quando ha proceduto a licenziare la dipendente, ignorasse senza sua colpa l’evento protetto” (come nel caso in esame). La norma tutela la lavoratrice persino nel caso in cui fosse quest’ultima ad ignorare di essere incinta (v. Cass. Sez. Lav. n. 5749/2008 e n. 9864/2002).
Diversamente, non opera il divieto di licenziamento durante lo stato di gravidanza qualora sia motivato da ragioni che rientrino nei casi tassativamente previsti dal co.3, art. 54 D.Lgs. n. 151/2001 (già art. 2 co. 3° L. n. 1024/1971).