Il licenziamento è legittimo se le mansioni non soppresse sono residuali e non autonome.
Nota a Cass. ord. 30 gennaio 2024, n. 2739
Francesco Belmonte
Nel caso di soppressione parziale del posto di lavoro, integrante il giustificato motivo di recesso, l’attività residuale, che il lavoratore licenziato potrebbe continuare a svolgere per il solo fatto che già la espletava in precedenza, deve rivestire una sua oggettiva autonomia, nel senso che non deve risultare intimamente connessa con le mansioni (prevalenti) soppresse. Il residuo impiego, anche part-time nelle mansioni non soppresse, non può rappresentare la creazione di una diversa ed autonoma posizione lavorativa, con indebita alterazione dell’organizzazione produttiva dell’impresa.
Così si è espressa la Corte di Cassazione 30 gennaio 2024, n. 2739, in relazione al licenziamento intimato ad una lavoratrice a cui erano affidate mansioni (principali) di centralinista ed ulteriori compiti residuali ed occasionali.
In particolare, l’attività svolta della lavoratrice, dedita principalmente allo smistamento delle telefonate, era ritenuta dall’azienda non più proficuamente utilizzabile e quindi sostituita dall’“introduzione del sistema automatico di risposta telefonica”. In relazione invece alle mansioni residuali, l’impresa aveva proceduto ad una loro redistribuzione all’interno dell’ufficio tra i colleghi.
In ragione della modifica organizzativa scaturita dall’innovazione tecnologica, giustificante la soppressione della posizione lavorativa, l’azienda procedeva al licenziamento per ragioni economiche della dipendente. Quest’ultima, tuttavia, impugnando il recesso datoriale, contestava all’azienda la possibilità di una sua possibile utilizzazione, anche part-time, nelle mansioni residuali non soppresse.
La Cassazione, investita della questione ha ribadito che: “ai fini della configurabilità della ipotesi di soppressione del posto di lavoro, integrante il giustificato motivo oggettivo di recesso, non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, nel senso della loro assoluta e definitiva eliminazione nell’ottica dei profili tecnici e degli scopi propri dell’azienda di appartenenza” (in questo senso, v. l’orientamento consolidatosi a partire da Cass. n. 8135/2000; Cass. n. 13021/2001; Cass. n. 21282/2006, richiamate anche da Cass. n. 11402/2012).
In relazione, poi, alla possibilità di un utilizzo parziale del lavoratore nella medesima posizione lavorativa (se del caso ridotta con l’adozione del part-time), la Suprema Corte precisa che “l’attività – pur minoritaria – non oggetto di soppressione dovrebbe qualificarsi in termini di effettiva autonomia, sì da poter ritenere che la posizione lavorativa fosse connotata in termini di affiancamento di diverse mansioni, ciascuna delle quali indipendente e distinta – anche in termini logistici e temporali – dallo svolgimento dell’altra e non già intimamente connesse fra loro, come dovrebbe invece ritenersi laddove le mansioni non soppresse fossero svolte in via sostanzialmente ausiliaria o complementare di quelle oggetto di soppressione” (Cass. n. 11402/2012, cit.).
Per i giudici di legittimità, il necessario carattere di oggettiva autonomia del complesso delle mansioni non soppresse “deve essere escluso non solo allorché risultino intimamente connesse con quelle (prevalenti) soppresse, ma anche quando – come nella specie stato accertato dalla Corte territoriale – abbiano un carattere residuale non quantitativamente rilevante, occasionale, promiscuo e ancillare rispetto ai compiti di altri dipendenti”.
Infine, in merito alla ridistribuzione delle mansioni residuali operata dall’azienda tra gli altri lavoratori, la Cassazione ha ritenuto tale scelta lecita in quanto le mansioni non soppresse “ben possono essere soltanto diversamente ripartite e attribuite nel quadro del personale già esistente, secondo insindacabili e valide, o necessitate, scelte datoriali relative ad una ridistribuzione o diversa organizzazione imprenditoriale, senza che detta operazione comporti il venir meno della effettività di tale soppressione” (Cass. n. 8135/2000, cit.; Cass. n. 13021/2001, cit; Cass. n. 21282/2006, cit. e Cass. n. 11402/2012, cit.).
Tuttavia, la redistribuzione in questione sarà possibile solo “dopo che sia stata esclusa, per ragioni tecnico-produttive, la possibilità di espletamento, ad opera del lavoratore solo parzialmente eccedentario, della parte di prestazione lavorativa liberatasi per effetto della parziale soppressione del posto ricoperto” (cfr. Cass. n. 6229/2007).