Ammessa la maggiorazione del risarcimento per danno biologico
Federica Moffa
Il risarcimento del danno non patrimoniale alla salute del lavoratore può essere maggiorato di una congrua percentuale in considerazione del grado di sofferenza patito, detratto l’indennizzo riconosciuto dall’Inail.
Lo ha stabilito il Tribunale di Napoli (27 settembre 2016, n. 6781) in una fattispecie relativa ad un operaio meccanico con mansioni di manutentore meccanico degli autobus, esposto all’inalazione di polveri di amianto derivanti da parti dei veicoli e ad altre fonti di rischio, come fumi e gas.
Al lavoratore era stato diagnosticato un adenocarcinoma polmonare, che aveva determinato un notevole condizionamento della sua vita quotidiana, sotto il profilo personale e sociale, causando difficoltà respiratore e deambulatorie e, di conseguenza, pregiudicando la sua vita di relazione.
Il lavoratore, pertanto, proponeva nei confronti della società datrice di lavoro un’azione di risarcimento del danno non patrimoniale (sul danno biologico, v. art. 13, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) per il ristoro del pregiudizio alla salute, assunto come quantitativamente maggiore rispetto a quello indennizzato dall’Inail.
In merito, i giudici hanno rilevato che l’art. 2087 c.c. obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità psicofisica dei propri dipendenti imponendogli l’adozione di tutte le misure idonee, secondo le comuni tecniche di sicurezza, “a preservare i lavoratori dalla lesione del bene della salute nell’ambiente od in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa speciale”.
La norma è “aperta”, in quanto è volta a supplire alle lacune di una disciplina speciale che non può prevedere specificamente ogni fattore di rischio, ma deve considerare, in via generale, che l’evento dannoso, prodotto da un assetto organizzativo non rispettoso delle norme generali sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, sia evitabile con l’adozione delle cautele e degli accorgimenti tecnici connaturali al tipo di attività esercitata e commisurati al rischio di impresa.
La natura contrattuale dell’obbligo di sicurezza comporta, poi, che per il lavoratore è sufficiente provare il danno alla salute e il nesso causale fra questo e la mancata adozione di misure idonee a garantire la tutela, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento lesivo, tenendo un comportamento in cui non sono ravvisabili profili di colpa.