Reintegrato il dipendente che in malattia esce di casa per svolgere commissioni in auto ed in scooter.

Nota a Cass. 7 ottobre 2016, n. 20210

Francesco Belmonte

Non si può affermare che il lavoratore “in malattia” che si allontana dalla propria abitazione per compiere attività “private” (commissioni in auto ed in scooter), pregiudichi automaticamente  la propria guarigione e non ponga in essere una condotta inadempiente nei confronti del datore di lavoro, tale da legittimarne un licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c. c. Spetta invece al datore di lavoro dimostrare che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, tale condotta contrasta con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro.

In tale linea si è pronunziata la Cassazione (7 ottobre 2016, n. 20210) la quale, confermando il ragionamento dei giudici d’Appello, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un prestatore assente dal lavoro per malattia (lombosciatalgia, comportante forti dolori alla schiena ed al piede –  certificata da TAC e visita ortopedica – tale da impedirgli di recarsi in ufficio e rimanervi seduto alla scrivania),  spostatosi ripetutamente dalla propria abitazione con l’automobile o un motociclo.

Nel caso di specie, in seguito agli accertamenti investigativi disposti dal datore, era emerso che il dipendente si era allontanato, nelle fasce di reperibilità, dal proprio domicilio durante gli ultimi giorni di assenza dal lavoro, durata 2 mesi, nei quali, tuttavia, era risultato reperibile in casa in occasione delle sei visite di controllo medico. Il lavoratore era, poi, regolarmente rientrato al lavoro alla scadenza del periodo di sospensione indicato nel certificato medico.

La Corte ha ribadito, pertanto, il proprio orientamento, secondo cui l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia – benché possa dar luogo a sanzioni comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità durante le fasce orarie (ex art. 5, co. 14, L. n. 638/ 1983),  non integra di per sé un inadempimento sanzionabile con il licenziamento.  Il giudice del merito infatti, può motivatamente ritenere che “la cautela della permanenza in casa – benché prescritta dal medico – non sia necessaria al fine della guarigione e della conseguente ripresa della prestazione lavorativa, trattandosi di obbligazione preparatoria, che è strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto e come tale non è esigibile di per sé indipendentemente dalla sua influenza sullo svolgimento della prestazione lavorativa.” Né rileva – “al fine della valutazione della gravità dell’inadempienza del lavoratore e della conseguente sua configurazione come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento – la circostanza che l’inadempimento suddetto abbia pregiudicato, seppur gravemente, la attività produttiva e l’organizzazione del lavoro nell’impresa del datore di lavoro”( Cass. 6 luglio 1988, n. 4448).

L’interesse del datore di lavoro a controllare le assenze per malattia del lavoratore va contemperato con l’esigenza di libertà del lavoratore. Sicché la legittimità del licenziamento per giusta causa va valutata non solo nel suo contenuto oggettivo, ma anche nella sua portata soggettiva. Ciò, al fine di verificare se, in relazione alle circostanze del caso concreto, la condotta del lavoratore appaia meritevole della massima sanzione espulsiva anche avuto riguardo al principio di proporzionalità stabilita dall’art. 2106 cod. civ.(Cass. 25 settembre 1986, n. 5747).

Illegittimità del licenziamento durante la malattia.
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