L’allontanamento, da parte del Direttore generale di una Asl, di un docente universitario medico responsabile di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, commesse nell’esercizio dell’attività assistenziale, non ha carattere disciplinare

 

Nota a Cass. 27 ottobre 2017, n. 25670

  

Maria Novella Bettini

Il potere di sospensione dall’attività assistenziale e di allontanamento dall’Azienda sanitaria dei medici universitari, da parte del Direttore generale dell’azienda medesima (ex art. 5, co. 14, D.Lgs. n. 517/ l 1999), non ha carattere disciplinare. Ciò, “in quanto una simile configurazione si porrebbe in contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, che attribuisce tale potere solo all’Amministrazione datrice di lavoro e ne rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva – ma neppure può considerarsi “strumentale” rispetto al potere disciplinare del Rettore perché questo equivarrebbe a negare l’autonomia e la pari-ordinazione connaturate al rapporto tra Università e Azienda sanitaria da sempre riconosciute nel nostro ordinamento, con la specificazione della conformazione dei reciproci rapporti al principio di leale cooperazione. Ne deriva che il suddetto potere va configurato come un potere autonomo che il Direttore generale è abilitato ad esercitare tutte le volte in cui ritenga che ricorra l’ipotesi di “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio” commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale, alla sola condizione del previo parere espresso, entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito Comitato di tre garanti, (nominati di intesa tra Rettore e Direttore generale), parere che peraltro rappresenta solo un apporto consultivo esterno, che resta distinto dal potere di iniziativa riservato al Direttore generale dell’Azienda sanitaria”.

Così si è espressa la Corte di Cassazione (27 ottobre 2017, n. 25670), cassando la decisione dei giudici di merito, circa l’allontanamento, da parte del Direttore generale di una Asl, di un docente universitario medico, responsabile di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio commesse nell’esercizio dell’attività assistenziale.

La Corte giunge alla sua decisione con una ricostruzione, puntuale e dettagliata, che (in accoglimento del ricorso proposto dall’Azienda Policlinico Umberto I, di Roma, difeso dall’avv. Antonio Vallebona) muove dall’analisi della natura dell’attività di assistenza ospedaliera, la quale, pur essendo caratterizzata da una stretta connessione ed inscindibilità con quella didattico-scientifica affidate al personale medico universitario, non si integra nella medesima, ma ne resta distinta sotto diversi profili (sulla suddetta connessione, v. L. 18 marzo 1958, n. 311; Corte Cost. nn. 71/2001,136/1997,126/1981,103/1977; Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539 e Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933). Ciò, a partire dall’individuazione del giudice cui sono devolute, rispettivamente, le relative controversie. Infatti, secondo l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, “le controversie riguardanti sia l’esercizio dell’attività assistenziale svolta dai professori e dai ricercatori universitari, sia il loro rapporto con le Aziende sanitarie, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario perché ad esse si applicano le norme stabilite per il personale del Servizio Sanitario Nazionale e rispetto ad esse la qualifica di professore universitario funge da mero presupposto del rapporto lavorativo mentre l’attività svolta si inserisce nei fini istituzionali e nell’organizzazione dell’Azienda sanitaria, determinandosi perciò l’operatività del principio generale di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1, che sottopone al giudice ordinario le controversie dei dipendenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Invece le controversie che riguardano direttamente il rapporto di lavoro del professore con l’Università sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4 citato” (v. Cass. SU 6 maggio 2013, n. 10406; 15 febbraio 2007, n. 3370; 5 maggio 2011, n. 9847; 15 maggio 2012, n. 7503).

In questo quadro, rilievo primario riveste il D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 (art. 5, co.1 e 2), secondo cui lo specifico stato giuridico dei professori e dei ricercatori universitari, che svolgono attività assistenziale presso le aziende (ospedaliero-universitarie), resta inalterato anche se il personale universitario risponde al direttore generale dell’Azienda sanitaria dell’adempimento dei doveri assistenziali” (v. Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539 e Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933). È infatti evidente che “l’obbligo dei medici e ricercatori universitari di rispondere dell’adempimento dei propri doveri assistenziali al Direttore generale dell’Azienda sanitaria è il portato del generale principio di buona amministrazione (che ha il suo principale riferimento nell’art. 97 Cost.), il quale ha particolare pregnanza per le Aziende sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale o Regionale, visto che si tratta di enti preposti alla tutela del fondamentale diritto alla salute delle persone, di cui all’art. 32 Cost.”

In coerenza, il D.Lgs. n. 517/1999, all’art. 5, co. 14, stabilisce che: “Ferme restando le sanzioni ed i procedimenti disciplinari da attuare in base alle vigenti disposizioni di legge, nei casi di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, il direttore generale previo parere conforme, da esprimere entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito comitato costituito da tre garanti, nominati di intesa tra rettore e direttore generale per un triennio, può sospendere i professori ed i ricercatori universitari dall’attività assistenziale e disporne l’allontanamento dall’azienda, dandone immediata comunicazione al rettore per gli ulteriori provvedimenti di competenza. Qualora il comitato non si esprime nelle ventiquattro ore previste, il parere si intende espresso in senso conforme”.

Secondo il giudice di legittimità, il suddetto potere di sospensione dall’attività assistenziale e di allontanamento dall’Azienda sanitarianon ha carattere disciplinare”, poiché una simile configurazione, per un verso, contrasterebbe con il D.Lgs. n. 165/ 2001, art. 55, che attribuisce tale potere solo all’Amministrazione datrice di lavoro e ne rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva; e, per l’altro, non può considerarsi “strumentale” rispetto al potere disciplinare del Rettore (come invece affermato del giudice di merito). Ciò, infatti, “equivarrebbe a negare l’autonomia e la pari-ordinazione connaturate al rapporto tra Università e Azienda sanitaria e da sempre riconosciute nel nostro ordinamento, con l’ulteriore specificazione della conformazione dei reciproci rapporti al principio di leale cooperazione”.

a) tuttavia, esso “consente il pieno esercizio del diritto di difesa perché il destinatario viene posto in condizione di conoscere l’iniziativa assunta dall’Amministrazione, l’oggetto del provvedere, nonché l’organo investito dell’eventuale attività istruttoria. Inoltre, l’intervento del Comitato dei garanti – chiamato ad un apporto consultivo esterno, che resta distinto dal potere di iniziativa riservato al Direttore generale dell’Azienda sanitaria – contribuisce ad assicurare la regolarità della procedura. Mentre la brevità del termine assegnato al Comitato per esprimere il proprio parere – entro le ventiquattro ore dalla relativa richiesta – è da collegare alla scelta legislativa di concludere il procedimento in tempi brevi, anche nell’interesse del destinatario, e trova riscontro anche nella previsione di chiusura della disposizione, ove è stabilito – sempre a garanzia della tempestiva conclusione del procedimento – che qualora il Comitato non si esprima nelle ventiquattro ore previste, il parere si intende espresso in senso conforme” (v. Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539);

b)è volto a tutelare interessi pubblici riconducibili all’art. 97 Cost., in un settore di particolare rilievo sociale, e che quindi deve essere esercitato dal Direttore generale dell’Azienda sanitaria nel rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, a fronte di una situazione nella quale il destinatario ha posto in essere un comportamento (gravissime mancanze ai doveri d’ufficio) che si pone certamente in contrasto con le suddette clausole, cui tutti i dipendenti pubblici devono attenersi nello svolgimento del loro lavoro”. Le attività assistenziali, infatti, pur sfuggendo, di per sé, al potere disciplinare delle Università da cui i docenti dipendono – devono nondimeno svolgersi in modo conforme ai doveri che l’interessato ha nei confronti dell’Azienda sanitaria cui è assegnato;

c)è il risultato della scelta effettuata dal Direttore dell’Azienda ospedaliera, a salvaguardia dei superiori interessi di rilievo pubblico inerenti alla corretta erogazione delle prestazioni sanitarie, ed è espressione delle sfera di discrezionalità tecnica di cui detto organo dispone in ordine agli aspetti organizzativi e gestionali del servizio ed è quindi sindacabile in sede giudiziaria, nei limiti stabiliti (vedi: Cons. Stato., Sez. 6, 7 agosto 2007, n. 4384; Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539; Cons. Stato, Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933);

d) deve essere configurato come un “potere autonomo” che il Direttore generale è abilitato ad esercitare tutte le volte in cui ritenga che ricorrano l’ipotesi di “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio” commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale, alla sola condizione del previo parere conforme espresso, entro ventiquattro ore dalla richiesta, da un apposito Comitato di tre garanti, nominati di intesa tra Rettore e Direttore generale;

e) è una manifestazione della responsabilità conferitagli dalla legge in ordine alla buona organizzazione della Azienda sanitaria (v. le disposizioni particolari per i dirigenti del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, riprodotto nel “Nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici – Umberto I – art. 13).

Peraltro, il CCNL Area Medico Veterinaria del SSN 6 maggio 2010 – Contratto integrativo del CCNL 17 ottobre 2008 non contiene, al riguardo, alcuna disposizione specifica, diversamente da quanto accade per i procedimenti disciplinari; e, in ogni caso, l’applicazione del suindicato art. 5, co. 14, è sempre tenuta distinta dalle sanzioni disciplinari e quindi dalla relativa normativa.

Per quanto concerne poi le possibili conseguenze del provvedimento del Direttore generale (consistenti nella sospensione dei professori e dei ricercatori universitari dall’attività assistenziale e nell’allontanamento dall’Azienda sanitaria), si tratta di misure che (riferendosi alla sola attività assistenziale) incidono “esclusivamente sul rapporto di servizio che il docente ha con una certa Azienda sanitaria, mentre non ha di per sé, né potrebbe avere – visto che il Direttore generale non è titolare del potere disciplinare sui medici universitari che lavorano nella Azienda stessa – alcun rilievo sul rapporto di impiego dell’interessato con l’Università. Un simile rilievo può assumere soltanto se – e nella misura in cui – il Rettore (cui il Direttore generale deve dare immediata comunicazione del provvedimento di allontanamento, per l’eventuale adozione degli “ulteriori provvedimenti di competenza) e gli altri organi universitari competenti ritengano che il comportamento posto in essere nell’ambito dell’attività assistenziale sia configurabile “anche” come condotta contraria ai doveri d’ufficio che l’interessato deve rispettare come docente, considerandolo tale “da ledere la dignità e la credibilità della funzione docente e l’immagine pubblica dell’Istituzione universitaria”.

Sospensione dall’attività ed allontanamento di personale medico universitario (Cass. n. 25670/2017)
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: