Maria Novella Bettini

Tutti i lavoratori subordinati hanno diritto di usufruire di un periodo di ferie annuali retribuite (artt. 36 Cost., 2109 c.c. e 10, D.LGS. n. 66/2003), al fine di recuperare energie e realizzare esigenze anche ricreative personali e familiari.

Si tratta di un diritto irrinunciabile e, dunque, sono nulli i negozi abdicativi o di disposizione del diritto stesso da parte sia della contrattazione collettiva che individuale (con riferimento sia alle ferie da maturare che a quelle maturate, ma non ancora godute).

È inoltre fondamentale il principio di effettività delle ferie, ribadito dall’art. 10, co. 2, D.LGS. n. 66/2003, cit. che, conformemente all’art. 7, Direttiva 2003/88/Ce, stabilisce che il periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane “…non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro”. Ciò, in linea con la giurisprudenza europea, secondo cui, in costanza del contratto di lavoro, i giorni di ferie non goduti nel corso dell’anno non possono essere sostituiti con un’indennità corrisposta successivamente (v. Corte Giustizia UE 6 aprile 2006, C-124/05, RIDL, 2007, II, 509, con nota di G. RICCI).

Solo alla cessazione del rapporto di lavoro spetta al lavoratore il diritto alla c.d. indennità di ferie non godute ed il risarcimento del danno per il mancato riposo (v. R. PESSI, Il diritto alle ferie tra vecchie e nuove problematiche, ADL, 2006, 806).

A tale ipotesi va “aggiunta quella patologica delle ferie non concesse tempestivamente e di cui non sia più utile e quindi possibile, il godimento, neppure mediante adempimento tardivo” (A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Rapporto di lavoro, Cedam, 2017, 235). Se le ferie non godute nel periodo prescritto, non sono più fruibili per impossibilità, come in caso di malattia, licenziamento, morte, dimissioni e prepensionamento, al prestatore spetta l’indennità sostitutiva (in tal senso, Cass. 9 luglio 2012, n. 11462, FI, 2012, I, 3382, con nota di G. RICCI e Cass. 27 novembre 2012, n. 21028, GI, 2013, 2077, con nota di F. TESTA). Mentre la suddetta indennità non spetta qualora il mancato godimento sia dipeso dal rifiuto irrazionale del  lavoratore nel periodo indicato (v. Cass. 8 giugno 2005, n. 11960, MGL, 2005, 603, con nota di S. FIGURATI Cass. 25 ottobre 2004, n. 20673, LG, 2005, 127, con nota di P. DUI; ma v., in senso contrario, Cass. 29 novembre 2007, n. 24905, FI, 2008, I, 509).

Con particolare riferimento al pubblico impiego, come noto, è intervenuto l’art. 5, co. 8, D.L. n. 95/2012 (convertito dalla L. n. 135/2012), secondo cui “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche…., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile. Il presente comma non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie” (v. anche Dip. funzione pubblica, nota n. 32937, 6 agosto 2012 e nota n. 40033, 8 ottobre 2012).

Come si vede, la c.d. monetizzazione delle ferie, ovverosia il compenso dei periodi feriali non fruiti, non è consentita. Al riguardo, tuttavia, è intervenuta la Corte Costituzionale la quale ha affermato che spetta l’indennità sostitutiva delle ferie se la mancata fruizione non dipende dalla volontà del lavoratore. Nello specifico:

1) In una prima sentenza (n. 286/2013), i giudici hanno affermato che, pur a fronte del divieto di monetizzazione, non si può prescindere “dalla tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole. Tant’è che nella prassi amministrativa si è imposta un’interpretazione volta ad escludere dalla sfera di applicazione del divieto” (di cui al D.L. n. 95/2012, cit.) le ipotesi “di cessazione dal servizio in cui l’impossibilità di fruire le
ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente” (v. parere Dip. funzione pubblica 8 ottobre 2012, n. 40033). Con la conseguenza di ritenere tuttora monetizzabili le ferie in presenza di “eventi estintivi del rapporto non imputabili alla volontà del lavoratore ed alla capacità organizzativa del datore di lavoro”.

2) Con una seconda decisione (n. 95/2016), la Corte ha precisato che il legislatore correla “il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età) che, comunque, consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie”.

Sicché, la normativa (come peraltro interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile) va interpretata nel senso di “escludere dall’ambito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (1 febbraio 2018, n. 2496, di conferma del giudizio di merito), in relazione al collocamento d’ufficio in ferie di un lavoratore (dipendente dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA) senza assorbimento al momento del pensionamento dell’intero monte ferie spettante e senza che risultasse il suo rifiuto di godere delle ferie in un periodo indicato e comunicato dal datore di lavoro.

I giudici si pongono in linea con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità (v. Cass. n. 3860/2000), secondo cui, laddove sia divenuto impossibile per l’imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l’obbligazione di consentire la fruizione delle ferie, si configura, dal mancato godimento delle stesse, il diritto del lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva. Tale diritto, secondo il Collegio:

a) “costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali”;

b) ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione (ex artt. 1463 e 2037 c. c.) del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica (su questo punto la giurisprudenza è divisa. Per il carattere risarcitorio dell’indennità, con conseguente prescrizione estintiva decennale, v. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1756, GI, 2016, 1178, con nota di F. LUNARDON e Cass. 12 gennaio 2016, n. 276).

c) non può essere escluso per l’assenza di un’espressa previsione contrattuale;

d) “non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così nella “mora del creditore”)”.

Questa interpretazione, chiarisce la Corte di Cassazione, non pregiudica il diritto inderogabile alle ferie di cui all’art. 36, co. 3, Cost., e non contrasta con le fonti internazionali (Convenzione OIL, n. 132/1970, sui congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, art. 31, co. 2; e Direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro, poi confluita nella Direttiva n. 2003/88/CE, che codifica la materia).

“Il diritto alle ferie sarebbe invece violato se con la cessazione dal servizio si vanificasse, senza alcuna compenso di tipo economico, il godimento delle ferie “compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore” (nota prot. n. 0094806, Dip. Ragioneria generale dello Stato).

 

Diritto alle ferie e monetizzazione dei periodi non fruiti
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