Qualora un appaltatore succeda nell’appalto di un servizio di ristorazione, subentrando nella gestione dei locali e delle attrezzature di proprietà del committente già utilizzati dal precedente appaltatore, si configura un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.

 Nota a Trib. Trento 5 febbraio 2019, n. 29

 Maria Novella Bettini

Con il c.d. cambio di appalto, due soggetti imprenditori (appaltatore uscente e appaltatore entrante) si susseguono nello svolgimento dell’attività d’impresa in favore del medesimo soggetto committente. Vi è, dunque, un mero “avvicendamento di due soggetti nello svolgimento di un’attività d’impresa che, tendenzialmente, assume caratteri identici o analoghi”. E tale avvicendamento, da parte dell’appaltatore, nell’esercizio della stessa attività economica, si differenza dal trasferimento d’azienda che implica anche il passaggio di un complesso di beni funzionali all’esercizio dell’attività economica del cessionario.

Secondo l’art. 29, DLGS. n. 276/2003 (come mod. dalla L. n. 122/2016), infatti,  “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.

Solamente, dunque, con il trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.) si determina la successione del nuovo imprenditore nei rapporti di lavoro subordinato, con conseguente mantenimento dei diritti in capo ai prestatori. In altre parole, il rapporto di lavoro continua con il cessionario con conservazione in capo al lavoratore di tutti i diritti che da tale rapporto derivano, tra i quali quelli attinenti l’anzianità di servizio, l’illegittimità dei licenziamenti e la solidarietà tra cedente e cessionario in ordine ai crediti maturati dal lavoratore prima del trasferimento medesimo.

È quanto affermato dal Tribunale di Trento 5 febbraio 2019, n. 29, che, in merito ad un cambio appalto nei servizi di ristorazione, ha proceduto ad un’analisi articolata del quadro normativo e degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali circa i diversi criteri di qualificazione giuridica delle vicende di successione negli appalti.

Nello specifico, i giudici rilevano che, quale linea di confine tra cambio d’appalto (con relativa assenza di vincoli in capo all’imprenditore entrante) e trasferimento di azienda (con conseguente mantenimento dei diritti dei lavoratori alle dipendenze dell’imprenditore uscente), l’imprenditore entrante, “fino a quando si limiti a subentrare nell’esercizio della mera attività d’impresa svolta dall’imprenditore uscente non sarà soggetto ad obblighi nei confronti dei lavoratori già alle dipendenze dell’imprenditore uscente”. Diversamente, qualora egli “si avvalga dell’entità economica (o una parte significativa di essa) in precedenza impiegata dall’imprenditore uscente sarà tenuto agli obblighi funzionali al mantenimento dei diritti dei lavoratori alle dipendenze e già utilizzati dall’imprenditore uscente”.

Non ogni cambio di appalto, dunque, integra un trasferimento d’azienda, perché quest’ultimo esige il passaggio, oltre che dell’attività d’impresa (elemento costitutivo della prima fattispecie), anche di un’entità economica. Del resto, rileva il Tribunale, “ritenere  sufficiente, ai fini dell’applicabilità della disciplina del trasferimento d’azienda, la mera circostanza dell’identità tra attività svolta dall’appaltatore entrante e quella esercitata dall’appaltatore uscente condurrebbe ad affermare sempre sussistente il trasferimento d’azienda in ipotesi di cambio di appalto, il cui elemento essenziale, come più volte evidenziato, è costituito dal mero avvicendamento nell’attività d’impresa; quindi, per la mera circostanza di fatto dello svolgimento di un’attività identica o analoga a quella svolta dal precedente appaltatore, l’appaltatore entrante sarebbe assoggettato all’obbligo di succedere nei rapporti di lavoro precedentemente intercorsi con il vecchio appaltatore”.

In particolare, costituisce trasferimento di azienda (che comporta il mantenimento dei diritti in favore di quegli stessi lavoratori – artt. 1, n. 1, lett. b; 3-6 della Direttiva 2001/23/CE, attuata nell’ordinamento italiano dall’art. 2112 c.c.) ”quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.

Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia UE (9 settembre 2015, C-160/14, punto 25; 6 marzo 2014, C-458/12, punto 30 e 11 marzo 1997, C-13/95), per azienda si deve intendere “un’entità economica organizzata in modo stabile” la cui attività non si limita all’esecuzione di un’opera determinata; tale entità può essere “costituita sia da un complesso di beni e rapporti giuridici, sia da un gruppo di lavoratori in grado di svolgere attività funzionalmente collegate, in modo stabile e non temporaneo, funzionali alla produzione di un bene o un servizio”.

Affinché si configuri un trasferimento d’azienda è necessario che l’entità economica trasferita abbia conservato la propria identità dopo il trasferimento (CGUE 20 novembre 2003, C-340/01, CGUE 11 marzo 1997, causa C-13/95, cit.); appare, dunque, necessario compiere un raffronto tra l’entità economica così come strutturata ed organizzata presso il cedente e quella risultante dopo il trasferimento in capo al cessionario. Invece, non è decisiva la circostanza che nel cambio di appalto, di regola, non si costituiscono rapporti contrattuali diretti tra appaltatore uscente e appaltatore entrante, mentre il trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda) avviene in virtù di un negozio traslativo tra l’imprenditore cedente e l’imprenditore cessionario (CGUE 20 novembre 2003, C-340/01, cit., punto 39; CGUE 24 gennaio 2002, causa C-51/00, punto 31; CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, cit., punti 11 e 12).

La fattispecie del trasferimento si perfeziona anche soltanto tramite il passaggio di un numero significativo di lavoratori unitamente al bene immateriale rappresentato dal know how funzionale al perseguimento di un determinato risultato produttivo.

Inoltre, nel caso di un’attività economica c.d. labour intensive, in cui la manodopera presenta carattere preminente per lo svolgimento dell’attività d’impresa, la circostanza che assume maggior rilievo ai fini della conservazione dell’identità dell’entità economica posta in circolazione è rappresentata dalla riassunzione o meno della maggior parte del personale ad opera del nuovo imprenditore (CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, cit.).

In particolare, secondo la Corte di Giustizia, nel caso di attività labour intensive l’identità dell’entità economica “emerge da una pluralità di elementi inscindibili fra loro, quali il personale che la compone, i suoi quadri direttivi, la sua organizzazione di lavoro, i suoi metodi di gestione od anche, eventualmente, i mezzi di gestione a sua disposizione”. Ne consegue un affinamento della nozione di “entità economica” (il cui passaggio con conservazione dell’identità integra il trasferimento d’azienda) quale “complesso di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica che persegua un proprio obiettivo e che sia sufficientemente strutturata e autonoma” (CGUE  9 settembre 2015, C- 160/14, cit., punti da 24 a 27; CGUE 20 gennaio 2011, C-463/09, punto 41; CGUE 13 settembre 2007, C-458/05, punto 31; CGUE 20 novembre 2003, C-340/01, cit., punto 30; CGUE 6 settembre 2001, C- 108/10, punto 42; CGUE 10 dicembre 1998, C-127/96).

Pertanto, nei settori labour intensive, in base ai principi del “diritto eurounitario” il trasferimento d’azienda si può configurare anche in presenza del passaggio di un gruppo organizzato di lavoratori, costituito, sotto il profilo quantitativo, da un significativo numero di lavoratori, e sotto quello qualitativo da quello specifico bene immateriale costituito dal know how organizzativo e operativo (e non, dunque, da modelli gestionali elementari). Sicché agli appalti c.d. “labour intensive” non appartiene l’appalto di servizi di ristorazione con utilizzo dell’apparato organizzativo del committente (né, nel caso di specie esaminato dal Tribunale, assumono rilevanza le modifiche e innovazioni apportate dal subentrante nell’organizzazione del servizio).

Con riguardo poi alla questione se vi sia trasferimento d’azienda (per cui l’appaltatore entrante succede nei rapporti di lavoro precedentemente instaurati con il vecchio appaltatore) quando l’appaltatore entrante abbia acquisito solamente il modello organizzativo e operativo dell’attività d’impresa precedentemente utilizzato dall’appaltatore uscente (con la conseguenza che l’acquisizione del personale rappresenterebbe un effetto e non già la fattispecie), il Collegio rileva che occorre prestare attenzione ad una serie di elementi, quali:

a) la distinzione “tra generico insieme di lavoratori (la cui riassunzione è mero elemento sintomatico) e gruppo organizzato di lavoratori (che può costituire di per sé solo un’entità economica) e quindi individuare il quid pluris immateriale presente nel secondo” (ad es. le competenze dei quadri direttivi) (v. CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, cit., punto 21);

b) il metodo di gestione del lavoro (v. CGUE 20 gennaio 2011, C-463/09, cit., punto 41);

c) la “capacità di perseguire un proprio obiettivo e una sufficiente autonomia strutturale e funzionale” (CGUE 6 settembre 2001, C- 108/10, cit., punto 42).

Quanto agli elementi di discontinuità (che escludono il trasferimento d’azienda in quanto determinano una specifica identità d’impresa), essi vanno riferiti alla struttura organizzativa ed operativa di cui dispone l’appaltatore entrante (su cui incombe l’onere di provare la sussistenza di tali elementi al fine di escludere l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda). Sicché, nel cambio di appalto non si configura un trasferimento d’azienda quando “l’impresa esercitata dall’appaltatore entrante ha, rispetto a quella svolta dall’uscente, una specifica identità determinata da elementi presenti nella struttura organizzativa e operativa dell’entrante che si pongono in discontinuità rispetto a quella di cui si avvaleva l’uscente”; per converso, si ha trasferimento d’azienda nell’ipotesi in cui l’impresa dell’appaltatore entrante non ha una specifica identità, rispetto a quella svolta dall’uscente, poiché “nella struttura organizzativa e operativa dell’entrante non si rinvengono elementi di discontinuità rispetto a quella di cui si avvaleva l’uscente”.

Con riferimento alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, il Tribunale richiama, una precedente sentenza della Corte di Giustizia UE (20 novembre 2003, C-340/01, cit.), secondo cui “ricorre un trasferimento dell’entità economica (e quindi un trasferimento di azienda) allorquando l’appaltatore entrante abbia rilevato gli elementi materiali indispensabili per l’esercizio dell’attività di ristorazione, quali i locali e le attrezzature (in particolare i materiali fissi necessari per confezionare i pasti e le lavatrici), che già il primo appaltatore aveva utilizzato”. E, tale trasferimento non è escluso dalla circostanza che l’ente committente resti proprietario dei locali e delle attrezzature necessarie alla prosecuzione delle attività per cui gli elementi materiali rilevati dal nuovo imprenditore non appartengano al suo predecessore, ma siano stati messi a disposizione del committente.

Sul tema trattato, v. Cass. 29 marzo 2019, n. 8922, secondo cui la successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi e il trasferimento di azienda non sono fattispecie automaticamente sovrapponibili. E ciò perché “la prima integra la seconda, regolata dall’art. 2112 c.c., soltanto qualora sia accertato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti; altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, co. 3,  D.LGS. n. 276/2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, “ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda. Sicché non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante” (v. anche Cass. n. 24972/2016 e Cass. n. 11918/2013).

Cambio di appalto e trasferimento d’azienda
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