La disciplina del trasferimento di azienda, secondo il diritto dell’Unione, si applica anche nell’ipotesi in cui cedente e cessionario agiscano non solo per la prosecuzione stabile dell’attività ceduta, ma in vista della successiva liquidazione del cessionario, salvo il divieto di cessioni fraudolente. La disciplina in questione può applicarsi persino nel caso in cui l’unità economica distaccata non sia del tutto autosufficiente purché abbia accesso ai fattori di produzione di un terzo senza dipendere dalle scelte unilaterali di questo.

Nota a Corte di Giustizia UE, 13 giugno 2019, C-664/17

Flavia Durval

La regolamentazione europea sul trasferimento d’azienda (Direttiva 2001/23/CE del Consiglio 12 marzo 2001, art. 1, par. 1, lett. a) e b)), “si applica al trasferimento di un’unità di produzione allorché, da un lato, il cedente, il cessionario o entrambi congiuntamente agiscano ai fini della prosecuzione da parte del cessionario dell’attività economica esercitata dal cedente, ma anche in vista della successiva estinzione del cessionario medesimo, nell’ambito di una liquidazione, e, dall’altro, l’unità di cui trattasi, non essendo in grado di raggiungere il proprio scopo economico senza doversi procurare fattori di produzione provenienti da terzi, non sia totalmente autosufficiente, alla condizione, di cui spetta al giudice del rinvio verificare l’adempimento, da un lato, che sia rispettato il principio generale del diritto dell’Unione che impone al cedente e al cessionario di non cercare di beneficiare fraudolentemente e abusivamente dei vantaggi che potrebbero trarre dalla direttiva 2001/23 e, dall’altro, che l’unità di produzione di cui trattasi disponga di garanzie sufficienti che le assicurino l’accesso ai fattori di produzione di un terzo, al fine di non dipendere dalle scelte economiche effettuate da quest’ultimo unilateralmente”.

L’importante principio è enunciato dalla Corte di Giustizia UE (13 giugno 2019, C-664/17) relativamente al ricorso di un’azienda greca (Ellinika Nafpigeia) avverso la sentenza della Corte d’appello di Atene, per la quale l’azienda cessionaria, ETYE, non era mai esistita come entità organica autosufficiente poiché per la produzione e la riparazione del materiale rotabile era indispensabile l’apporto di tutti e quattro i comparti produttivi dell’ azienda cedente, Ellinika Nafpigeia, di modo che, se quest’ultima società avesse cessato ogni attività, sarebbe stato impossibile per l’ETYE costruire e riparare materiale ferroviario. Inoltre, secondo i giudici, l’ETYE non disponeva di propri servizi amministrativi, visto che l’assistenza amministrativa era fornita dall’Ellinika Nafpigeia e, infine, essa non disponeva neppure di un’autonomia finanziaria, in quanto la sua gestione finanziaria doveva essere garantita dall’Ellinika Nafpigeia. Per tali motivi la Corte d’appello di Atene aveva dedotto che non sussisteva trasferimento di impresa o di stabilimento o di parti di stabilimento e che, pertanto, l’Ellinika Nafpigeia era ancora il datore di lavoro dei dipendenti interessati.

La decisione della Corte di Giustizia, che va in direzione opposta a quella della Corte territoriale, si snoda attraverso una serie di considerazioni articolate e sulla base del seguente rigoroso filo logico. Per il Collegio, infatti:

a) non esiste alcuna disposizione che subordini l’applicazione della Direttiva comunitaria 2001/23 alla continuità del cessionario oltre un termine particolare (semmai è al cedente che non si applicano le regole sul trasferimento, nel caso in cui egli sia oggetto di procedure fallimentari o d’insolvenza analoghe aperte in vista della liquidazione dei beni del cedente medesimo);

b) dalla formula contenuta nell’art. 1, par. 1, lett. b), della Direttiva 2001/23, cit., la quale richiede che il trasferimento sia effettuato “al fine di svolgere un’attività economica”, non emerge che tale svolgimento di attività debba essere illimitato nel tempo o che il cedente, il cessionario o entrambi congiuntamente non possano avere anche l’intenzione di far estinguere, successivamente, e dopo aver svolto l’attività di cui trattasi, il cessionario stesso;

c) ne consegue che la Direttiva in questione (art. sopra cit.), in linea di principio, può, “trovare applicazione in una situazione in cui il cedente, il cessionario o entrambi congiuntamente prevedano non solo la prosecuzione, da parte del cessionario, dell’attività dell’entità trasferita, ma altresì la futura liquidazione del cessionario medesimo”;

d) tuttavia, tale procedura non può essere estesa fino a comprendere operazioni finalizzate a beneficiare in modo fraudolento o abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (v. Corte di Giustizia UE, 26 febbraio 2019, C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punti 96 e 97); né la mera prosecuzione, dopo il trasferimento, dell’attività dell’entità trasferita non può di per sé escludere la frode alla legge;

e) per essere regolato dalla Direttiva 2001/23 il trasferimento deve consentire al cessionario la prosecuzione delle attività o di talune attività del cedente “in modo stabile” (v. Corte di Giustizia UE 2 dicembre 1999, punto 37);

f) “il requisito della stabilità va riferito a un insieme coerente di fattori di produzione diversi, segnatamente di elementi materiali o immateriali, nonché di effettivi necessari, che consentono all’entità trasferita la prosecuzione di un’attività economica” (v., in tal senso, Corte di Giustizia UE 19 settembre 1995, punto 21);

g) tale stabilità non sussiste qualora, in seguito alla cessione d’azienda, si generi uno squilibrio tra input e output nella produzione, con il rischio di “condurre al soffocamento di quest’ultima e di giungere, progressivamente ma inevitabilmente, alla cessazione dell’attività trasferita”. In questo caso, potrebbe esserci un intento abusivo degli operatori economici agenti, rinvenibile nell’intento di sottrarsi alle ripercussioni finanziarie negative della futura liquidazione dell’entità trasferita (di cui il cedente avrebbe dovuto farsi carico, mentre il cessionario non ne è in grado);

h) per rientrare nell’ambito di applicazione della Direttiva, il trasferimento deve riguardare una parte dell’impresa cedente che costituisca un’entità economica: 1) “intesa come complesso organizzato di persone e di elementi”; 2) sufficientemente strutturata ed autonoma; 3) idonea a consentire l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo (v., in tal senso, CGUE 13 settembre 2007, punto 31); 4) tale da conservare la propria identità dopo il trasferimento in quanto costituita (v. CGUE 12 febbraio 2009, C-466/07, punto 39); 5) e dotata di autonomia funzionale, nel senso di avere “una pluralità di elementi inscindibili fra loro, quali il personale che la compone, i quadri direttivi, l’organizzazione del lavoro, i metodi di gestione o anche, eventualmente, i mezzi di gestione a sua disposizione” (v. CGUE 20 luglio 2017, C-416/16, punto 43);

i) non è necessario che tale autonomia sia piena, potendosi riferire (ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. a), Direttiva 2001/23) non solo ai trasferimenti di impresa, ma anche ai trasferimenti di una parte dell’impresa;

l) può poi accadere che l’unità di produzione trasferita non sia in grado di funzionare per raggiungere il proprio scopo economico, a meno di non procurarsi fattori di produzione presso terzi. Ciò è ammissibile purché l’unità distaccata mantenga la propria autonomia disponendo di “garanzie sufficienti che le assicurino l’accesso ai fattori di produzione del terzo interessato, al fine di non dipendere dalle scelte economiche effettuate da quest’ultimo unilateralmente”.

Trasferimento d’azienda e successiva liquidazione del cessionario
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