Il lavoratore migrante all’interno della Comunità ha diritto esclusivamente al sistema di sicurezza sociale dello Stato c.d. di occupazione dove svolge la sua attività lavorativa.

 Nota a CGUE 19 settembre 2019, C-95/18 e C-96/18

 Alfonso Tagliamonte

Interessante principio quello sancito Corte di Giustizia UE 19 settembre 2019, C-95/18 e C-96/18 (in base al principio di unicità e esclusività dei regimi di sicurezza sociale all’interno della Comunità) in una fattispecie in cui alcuni lavoratori residenti nei Paesi Bassi, avendo svolto per alcuni periodi attività lavorativa in Germania, avevano visto decurtata dai Paesi Bassi la pensione di anzianità ed esclusi gli assegni familiari per il periodo di lavoro all’estero, sebbene per esso la Germania non avesse riconosciuto alcuna prestazione previdenziale, a motivo della modestia dei redditi percepiti

La Corte ha affermato che:

a) gli artt. 45 e 48 TFUE devono essere interpretati nel senso di consentire alla normativa di uno Stato membro di stabilire che un lavoratore migrante residente nel territorio di tale Stato membro (Paesi Bassi), soggetto alla normativa previdenziale dello Stato membro di occupazione (Germania), non venga assicurato dal sistema previdenziale di detto Stato di residenza (Paesi Bassi), anche qualora la normativa dello Stato membro di occupazione (Germania) non conferisca a detto lavoratore alcun diritto ad una pensione di vecchiaia o agli assegni familiari (v. art. 13 Reg. CE n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella sua versione modificata e aggiornata dal Regolamento CE n. 118/97, come modificato dal Reg. CE n. 1992/2006);

b) uno Stato membro nel cui territorio risieda un lavoratore migrante (Paesi Bassi) non può, invece (in quanto non competente ai sensi della normativa comunitaria (v. art. 13 Reg. n. 1408/71, nella sua versione modificata e aggiornata dal Reg. n. 118/97, come mod. dal Reg. n. 1992/2006), subordinare la concessione del diritto ad una pensione di vecchiaia a detto lavoratore migrante ad un obbligo di assicurazione che comporta il versamento di contributi obbligatori.

Ciò, in quanto:

– il Regolamento CE n. 1408/71, al fine di assicurare la libera circolazione dei lavoratori nell’Unione accogliendo il principio della parità di trattamento degli stessi, precisa che la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro (art. 13 par. 2, lett. a)); mentre la normativa dei Paesi Bassi applicabile esclude l’iscrizione di una persona residente nel territorio nazionale al sistema previdenziale nazionale qualora tale persona lavori in un altro Stato membro;

– d’altra parte, l’art. 45 TFUE non può essere interpretato nel senso che “conferisce ad un lavoratore migrante il diritto di beneficiare, nel suo Stato membro di residenza, della stessa copertura previdenziale a cui avrebbe diritto se lavorasse in tale Stato membro, quando lavora in un altro Stato membro e non beneficia di una siffatta copertura in virtù delle disposizioni dello Stato membro competente ai sensi dell’art. 13 Reg. n. 1408/71”;

– inoltre, ciascuno Stato membro resta competente a stabilire, nella propria legislazione, nel rispetto del diritto dell’Unione, le condizioni di concessione delle prestazioni di un regime di previdenza sociale (CGUE 12 giugno 2012, C-611/10 e C-612/10, punto 42).

– e imporre (ex art. 48 TFUE) ad uno Stato membro di accordare una copertura previdenziale ad un lavoratore migrante che svolge un lavoro dipendente in un altro Stato membro rimetterebbe in discussione il sistema di coordinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di previdenza sociale che viene concretizzato dal principio di unicità della legislazione applicabile previsto all’art. 13 Reg. n. 1408/71;

– in sintesi (ex artt. 45 e 48 TFUE), non si può costringere uno Stato membro di residenza a concedere prestazioni previdenziali a un lavoratore migrante sul presupposto che quest’ultimo non abbia diritto a tali prestazioni ai sensi della legislazione dello Stato membro di occupazione (competente in forza dell’art. 13 del Reg. n. 1408/71).

– nondimeno (ex art. 17 Reg. n. 1408/71), due Stati membri possono prevedere di comune accordo, nell’interesse di determinate categorie di persone o di specifiche persone, eccezioni al principio di unicità della legislazione applicabile. Ciò, in quanto, “la legge applicabile dello Stato membro di occupazione non conferisce al lavoratore migrante alcun diritto ad una pensione di vecchiaia o agli assegni familiari, mentre lo stesso avrebbe goduto di tali diritti se fosse rimasto disoccupato nel suo Stato membro di residenza”:

– per altro verso, in virtù del principio di unicità della legislazione applicabile, lo Stato membro in cui risiede il lavoratore migrante non può imporre a tale lavoratore un obbligo di assicurazione senza rimettere in discussione il sistema di coordinamento previsto all’art. 48 TFUE;

– infatti, tale “obbligo di assicurazione che comporta il versamento di contributi, imposto da uno Stato membro (che non è competente, ai sensi dell’art. 13 Reg. n. 1408/71), rischierebbe di obbligare il lavoratore migrante a contribuire ai sistemi previdenziali di due diversi Stati membri, il che sarebbe contrario al principio di unicità che il legislatore dell’Unione ha inteso stabilire”.

Sicurezza sociale del lavoratore migrante
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