Il c.d. rischio elettivo non gode della tutela risarcitoria o assicurativa. È necessario verificare il c.d. concorso di colpa, ossia le ipotesi in cui il lavoratore può essere considerato corresponsabile dell’infortunio di cui sia stato vittima.

Nota a Cass. (ord.) 15 maggio 2020, n. 8988

Flavia Durval

“Il datore di lavoro… risponde dei rischi professionali propri (e cioè insiti nello svolgimento dell’attività lavorativa) e di quelli impropri (e cioè derivanti da attività connesse a quella lavorativa), ma non di quelli totalmente scollegati dalla prestazione che il lavoratore rende in quanto tale. Se il rischio cui si espone il lavoratore è privo di connessione con l’attività professionale, ed il lavoratore sia venuto a trovarsi esposto ad esso per scelta volontaria, arbitraria e diretta a soddisfare impulsi personali, quello non sarà più un “rischio lavorativo”, ma diviene un “rischio elettivo”, cioè creato dal prestatore d’opera a prescindere dalle esigenze della lavorazione, e quindi non meritevole della tutela risarcitoria od assicurativa da parte dell’assicuratore sociale”.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 15 maggio 2020, n. 8988, parz. difforme da App. Brescia n. 88/2017), la quale, in linea con la costante giurisprudenza di legittimità (v. fra tante, Cass. ord. n. 7649/2019, in questo sito con nota di F. IACOBONE, Rischio elettivo e comportamento colposo del lavoratore; n. 2572/1998), ha precisato che per la configurazione di un rischio elettivo devono sussistere tre elementi: a) un comportamento del lavoratore volontario ed arbitrario, ossia “illogico ed estraneo alle finalità produttive”; b) la finalizzazione di tale comportamento alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) e l’assenza di un nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa (v. Cass. n. 7649/2019, cit.).

In tale ipotesi, “la condotta del lavoratore spezza il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l’infortunio, e la responsabilità datoriale viene meno per mancanza dell’elemento causale”.

In altre parole, la vittima di un infortunio sul lavoro è ritenuta responsabile esclusiva dell’accaduto soltanto in un caso e cioè quando abbia tenuto “‘un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute” (v. Cass. n. 798/2017).

Al di fuori delle ipotesi di rischio elettivo, si tratta di stabilire se ed a quali condizioni il lavoratore possa essere considerato corresponsabile dell’infortunio di cui sia stato vittima.

La precisazione è importante in quanto: a) ai sensi degli artt. 2104 c.c. e 20, D.LGS. n. 81/2008, il lavoratore ha l’obbligo di osservare i doveri di diligenza a tutela della propria o dell’altrui incolumità, (v. Cass. n. 30679/2019, annotata in questo sito da V. DI BELLO, Infortunio e concorso di colpa); b) e in base all’art. 1227, co.1, c.c., “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. Tale disposizione va poi coordinata con le previsioni che conferiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo ed il dovere di salvaguardare l’incolumità dei lavoratori.

Va escluso il concorso di colpa a carico del danneggiato in tre ipotesi. E cioè, quando l’infortunio: 1) sia cagionato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. In tal caso, infatti, non è invocabile la corresponsabilità della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, poiché l’eventuale imprudenza del lavoratore “non è più ‘causa’, ma degrada ad ‘occasione’ dell’infortunio”. Se così non fosse, del resto, “si finirebbe per attribuire al lavoratore l’onere di verificare la pericolosità delle direttive di servizio impartitegli dal datore di lavoro, assumendosene il rischio” (v. Cass. n. 30679/2019, cit); 2) sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo realizzata con modalità contrarie alle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza (v. Cass. n. 12538/2019); 3) si sia verificato a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. In tal caso, infatti, anche se la concausa del danno è rinvenibile nell’imprudenza del lavoratore, la vera causa dell’imprudenza va ricercata nella violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti.

Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello aveva accertato la ricorrenza di tutt’e tre le ipotesi sopra elencate (in cui l’eventuale imprudenza del lavoratore degrada a mera occasione dell’infortunio) in quanto il datore di lavoro non aveva eseguito i doverosi controlli sui macchinari, non aveva fornito le opportune istruzioni al lavoratore, e non gli aveva impartito alcun corso di formazione per quel tipo di lavorazione.

Secondo la Cassazione, dunque, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, avendo violato l’art. 1227 c.c., in quanto la disposizione è stata applicata in una fattispecie cui mancava il nesso di causalità tra la condotta della vittima e l’infortunio.

Infortunio sul lavoro e concorso di colpa
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